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Daily focus

Africa: tour de force

24 gennaio 2023

Lavrov e Yellen in tour in Africa: offensiva diplomatica nel continente africano all’ombra della guerra in Ucraina.

 

Sergei Lavrov torna in Africa per la seconda volta in un anno. Ieri il capo della diplomazia russa ha incontrato a Pretoria, in Sudafrica, la sua omologa Naledi Pandor, in vista di un vertice Russia-Africa che si terrà a San Pietroburgo in luglio. Dal Sudafrica i due ministri hanno annunciato esercitazioni militari congiunte, a cui parteciperà anche la Cina, che si terranno nell'oceano Indiano davanti alla costa fra Durban e Richard's Bay. Il tour del ministro degli Esteri russo – la cui agenda non è stata resa nota – dovrebbe proseguire in Botswana, Eswatini e Angola. Lavrov tornerà poi in Nordafrica a febbraio per visitare Tunisia, Mauritania, Algeria e Marocco. Un’offensiva diplomatica che conferma la centralità del continente nella competizione di influenza tra Washington e Mosca. Finora infatti numerosi paesi del continente si sono mantenuti ‘equidistanti’ tra Russia e Occidente, di cui non hanno condiviso le sanzioni, mentre molti non hanno votato la risoluzione Onu di condanna per l’invasione dell’Ucraina e l’annessione dei territori occupati. L’equidistanza africana, a ben guardare, si basa però su un antiamericanismo di fondo e un forte risentimento nei confronti delle ex potenze coloniali, particolarmente evidente in questi mesi nel Sahel dove la Francia è in crescente difficoltà.

 

 

Competizione a tre?

Il primo ad aprire le danze era stato, la scorsa settimana, il nuovo ministro degli Esteri cinese Qin Gang, visitando Etiopia, Gabon, Angola, Benin ed Egitto. E non è un caso se, mentre Lavrov è in visita a Pretoria, la segretaria al Tesoro degli Stati Uniti, Janet Yellen, atterra a Lusaka, in Zambia, seconda tappa di un tour africano che l'ha già vista in Senegal e che la porterà successivamente in Sudafrica. Parlando ai giornalisti Yellen ha sottolineato che ristrutturare il debito dello Zambia – primo paese africano dall'inizio della pandemia a dichiarare il default – è “un obiettivo di fondamentale importanza”, aggiungendo che l'eccesso di debito del paese rappresenta “un freno per la sua economia” e che la Cina costituisce “un ostacolo” alla soluzione del problema. Il suo è un approccio che rientra in una più ampia strategia dell’amministrazione americana – spiega Axios – che vuole presentarsi al continente come un’alternativa su più fronti, sostituendosi ai russi nel settore delle forniture militari e della sicurezza e ai cinesi in quello degli investimenti per le infrastrutture. Un imperativo reso ancora più urgente agli occhi di Washington dalle riserve naturali e minerali custodite nel sottosuolo africano, cruciali ai fini dei piani dell'amministrazione Biden per una transizione energetica green.

 

Equidistanza strategica?

La guerra russa in Ucraina ha sollevato timori di un forte impatto economico in tutto il continente africano, mettendo in discussione la sua traiettoria di ripresa post-pandemia. Spinti dall'Occidente a condannare l'invasione, ma non vedendo alcun vantaggio nell'alienarsi una delle parti, alcuni paesi hanno semplicemente cercato di non schierarsi nel conflitto, cercando anche di preservare legami con la Russia che per molti è il primo esportatore di armi e con cui molte economie hanno rapporti consolidati. Come se non bastasse – osserva Bbc – il ricordo della Guerra fredda “è ancora vivo in Africa, dove la logica dei blocchi ha alimentato conflitti e arrestato lo sviluppo”. In questo momento, il costo vertiginoso di cibo e carburante preoccupa molti osservatori e anche diversi leader, consapevoli che l’inflazione galoppante rischia di trasformarsi in instabilità politica. Se regioni come il Corno d'Africa e l'Africa occidentale sono particolarmente vulnerabili alle crisi e all'insicurezza alimentare, le implicazioni del conflitto sono molteplici: mentre emergono nuove opportunità di partnership nel settore energetico, sorgono interrogativi sulle prospettive di un riposizionamento.

 

Il ritorno dei BRICS?

Il caso del Sudafrica è emblematico. Per due volte il paese, prima economia del continente, si è astenuto dal votare risoluzioni di condanna nei confronti della Russia all’Assemblea Onu. Al pari di altri paesi del continente guarda al conflitto come una guerra tra ‘europei’ che svela ancora una volta la doppia morale dell’Occidente in politica estera. Per questo il ministro degli Esteri Naledi Pandor ha rivendicato il diritto del Sudafrica di tenere esercitazioni militari “senza che questo implichi che abbiamo abbandonato la nostra posizione di neutralità sulla guerra”. Diversi osservatori, tuttavia, fanno notare che le esercitazioni si terranno durante il primo anniversario dell’invasione russa dell’Ucraina. Nel corso dell’incontro con Lavrov, i due ministri hanno discusso anche dei BRICS, il ‘club’ delle economie emergenti, che la guerra ha riportato al centro dell’agenda globale e di cui il Sudafrica detiene la presidenza annuale. “C’è una convinzione condivisa nel gruppo, secondo cui l’era degli Stati Uniti come unica superpotenza sia finita – spiega a The Globe and Mail, Steven Gruzd, capo del programma di ricerca Russia-Africa presso l'Istituto sudafricano per gli affari internazionali – Penso che la guerra abbia dato nuove prospettive ai BRICS che potrebbero espandersi entro il prossimo anno per includere possibili nuovi membri come Nigeria, Egitto, Venezuela, Iran, Argentina o Arabia Saudita, configurandosi a tutti gli effetti come una sorta di rivale del G7”.

 

Il commento

di Eleonora Tafuro Ambrosetti, Senior Research Fellow ISPI

"Le narrazioni russe sui doppi standard e gli atteggiamenti paternalistici occidentali hanno un’eco molto forte in Africa e si rifanno alla storia dell'URSS come sostenitrice dei movimenti anticoloniali. Oggi queste narrazioni sono parte fondamentale della strategia russa di soft power e contribuiscono a spiegare l’esitazione di molti paesi africani a schierarsi risolutamente contro la guerra. Molti governi africani vedono infatti la guerra come il risultato di una provocazione occidentale, in particolare della NATO. Altri pensano che quello ucraino sia solo uno dei tanti conflitti nel mondo e lo vedono addirittura come una prova dei doppi standard degli occidentali, che non prestano attenzione ai conflitti e alle crisi umanitarie che si verificano fuori dal loro continente. Infine, molti stati africani condannano la guerra, ma non vogliono “provocare” Mosca per mantenere con essa legami economici".

 

***

A cura della redazione di  ISPI Online Publications (Responsabile Daily Focus: Alessia De Luca,  ISPI Advisor for Online Publications.

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University of Manchester

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Africa Sergei Lavrov Stati Uniti Crisi Russia Ucraina
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