La proposta di creare una banca con azionariato di maggioranza asiatico per finanziare investimenti in infrastrutture venne lanciata nell’ottobre 2013 durante le visite nel sud est asiatico del presidente cinese Xi Jinping e del primo ministro Li Keqiang per partecipare al vertice Asean e a quello della Cooperazione economica Asia-Pacifico (Apec), proprio quando il presidente Obama, che aveva fatto del “Pivot to Asia” uno dei temi della sua politica estera, si vedeva costretto a cancellare la sua presenza ai due summit per affrontare sul fronte domestico le trattative per l’innalzamento del tetto sul debito pubblico.
Oltre alla ovvia motivazione economica (secondo stime della Banca Asiatica di Sviluppo – Bas o in inglese Adb, Asian Development Bank - il fabbisogno d'infrastrutture in Asia nel decennio 2010-2020 supera gli 800 miliardi di dollari all’anno), l’Asian Investment Infrastructure Bank (Aiib) era vista anche come una risposta al continuo stallo del parlamento statunitense alle proposte di riforma del potere di voto al Fondo Monetario Internazionale, che avrebbero dato alla Cina un maggiore ruolo, più consono con la sua cresciuta dimensione economica e influenza politica.
Chi è dentro, chi è fuori, e perché? Contrariamente a dubbi espressi da più parti e a pressioni da parte degli Stati Uniti per scoraggiare l’adesione, ventidue paesi asiatici firmarono a Pechino il 24 ottobre 2014 un memorandum d’intesa per fondare l’Aiib - con sede a Pechino - e creare un segretariato ad interim per portare avanti negoziati più dettagliati. Il fatto che il memorandum fosse firmato in anticipo, e non al vertice Apec che si svolgeva una settimana dopo sempre a Pechino, venne interpretato come un segnale che l’Aiib sarebbe stata un'istituzione parallela ma secondaria rispetto ad altre banche di sviluppo, quali la Bas, che vanta un azionariato più ampio e rappresentativo anche dei paesi industrializzati occidentali e della regione e un’esperienza di quasi 50 anni.
L’adesione della Gran Bretagna agli inizi di marzo, seguita a ruota da tutti i principali paesi europei, ha portato il numero dei potenziali paesi fondatori a 57, un numero assai vicino ai 67 paesi (di cui 47 in Asia e Pacifico) membri della Bas, e ne ha notevolmente ampliato la base azionaria e la rappresentatività. Secondo i programmi annunciati, i negoziati con i paesi fondatori dovrebbero concludersi in giugno, e l’Aiib aprire entro dicembre 2015.
Ancora fuori dall’Aiib è rimasto il Giappone, uno dei più forti alleati nella regione degli Stati Uniti e tra i concorrenti economici e politici della Cina. Rispetto alla Bas mancano anche Afghanistan, Bhutan, Armenia, Turkmenistan, 14 piccoli paesi del pacifico, Hong Kong e Taiwan, la cui proposta di adesione è stata rifiutata perché avanzata sotto un “nome non appropriato”, un chiaro segnale della valenza politica dell’istituzione. Sono invece presenti Brasile, Russia e Sud Africa, a dimostrazione del supporto dei Brics che hanno anche separatamente lanciato nel luglio 2014 la loro “Nuova Banca di Sviluppo”, e un nutrito numero di paesi del Medio Oriente(1).
Banca cinese o Banca asiatica? Nelle prime dichiarazioni del segretario generale e probabile futuro presidente Liqun Jin (che era stato in precedenza un vicepresidente alla Bas) l’Aiib sarà “lean, clean, and green”, cioè efficiente, esente da corruzione, e attenta agli aspetti ambientali. Questo da un lato lancia una sfida alla Bas, le cui procedure sono ritenute ancora eccessivamente lente e rigide da molti paesi membri, nonostante recenti riforme, e dall’altro è una chiara concessione alle richieste europee che vengano osservati standard internazionali nella gestione dei contratti, le valutazioni d'impatto ambientale, e la compensazione degli effetti sociali negativi dei progetti finanziati. Come l’esperienza della Bas e delle altre banche di sviluppo dimostra, questi obiettivi sono parzialmente in conflitto, perché sono proprio l’attenzione alla trasparenza e agli impatti ambientali e sociali che si traducono in procedure più complesse e lente. Portando una ventata di concorrenza, l’Aiib potrebbe però avere il risultato positivo d'indurre a una nuova considerazione di questo qui pro quo e all’introduzione di approcci innovativi.
La reazione della Bas ha registrato un'evoluzione. Dalle iniziali dichiarazioni che c’è abbastanza spazio per tutti dato l’enorme bisogno d'investimenti infrastrutturali in Asia, si è passati a un avvicinamento evidente nel corso dell’assemblea generale della Bas che si è svolta a Baku, in Azerbaijan, ai primi di maggio. Il presidente della Bas, Takehiko Nakao, e il segretario generale dell’Aiib, Liqun Jin, si sono incontrati per un’ora e hanno rilasciato dichiarazioni che le due istituzioni collaboreranno e finanzieranno congiuntamente progetti senza annacquare gli standard nella preparazione ed esecuzione. La Bas si presentava all’incontro in una posizione di maggior forza, avendo appena concluso – unica tra le banche multilaterali di sviluppo - un'operazione di congiunzione dei propri fondi agevolati e commerciali che di fatto aumenta considerevolmente, e a costo zero per gli azionisti, la dotazione di capitale e permette quasi un raddoppio del volume di prestiti, da 23 miliardi di dollari nel 2014 a circa 40 negli anni a venire. L’attivo più importante per la Bas nella futura relazione con l’Aiib non sarà però la capacità finanziaria, ma la credibilità internazionale e l’esperienza nell'individuazione, preparazione, e gestione dei progetti, mentre la sfida tra le due istituzioni si giocherà sul terreno dell’efficienza e della capacità di risposta alle esigenze dei clienti. Il potenziale maggiore per il finanziamento congiunto sarà nei megaprogetti infrastrutturali.
Valenza politica dell’Aiib. Indubbiamente la massiccia adesione di paesi interni ed esterni alla regione rappresenta un successo per la diplomazia economica e politica cinese, e un insuccesso dei tentativi d'isolamento da parte degli Stati Uniti, cha hanno criticato l’adesione del Regno Unito, vista come un tentativo d'ingraziarsi la Cina, possibilmente in cambio di un ruolo importante della piazza di Londra nell’espansione delle attività finanziarie cinesi. Anche gli altri paesi europei non hanno apprezzato che Londra rompesse per primo gli indugi, ma il fatto che tutti gli altri principali paesi abbiano manifestato la loro adesione nel giro di una settimana dimostra che in realtà tutti stavano portando avanti negoziati, paralleli e che la critica ha piuttosto a che fare con la presa di posizione unilaterale, a cui sarebbe stata preferita una concertazione europea. Gli Stati Uniti hanno quindi registrato una sconfitta diplomatica, e dal punto di vista americano gli europei hanno dimostrato ancora una volta che le motivazioni economiche e il conseguente desiderio di buone relazioni con la Cina prevalgono sull’alleanza tra paesi occidentali. Il Giappone, preoccupato per il crescente ruolo del grande vicino, e coerentemente con il desiderio di un maggiore profilo regionale dimostrato dall’attuale governo, ha annunciato a sua volta a Baku un'iniziativa per realizzare infrastrutture di qualità in Asia, promuovendo le tecnologie giapponesi attraverso canali finanziari sia pubblici che privati.
C’è però una seconda e più sottile interpretazione. Fermo restando il successo dell’iniziativa cinese, la presenza relativamente massiccia dei paesi europei può spingere all’adozione di standard di trasparenza, ambientali e sociali maggiori, che rendano questa istituzione più simile alle altre banche multilaterali e più allineata a valori “occidentali”. Per un decennio la Cina ha investito massicciamente in infrastrutture in paesi dell’Africa e dell’America Latina in cambio dell’accesso a risorse naturali, spesso in maniera poco trasparente, appoggiando governi discutibili, e con risultati a volte inferiori alle aspettative. La scelta di un canale multilaterale, sia pure controllato in misura maggiore, può essere un segnale di una disponibilità e interesse a seguire più da vicino le regole del gioco accettate dalla comunità internazionale, e un segnale di maturazione della diplomazia economica cinese. Un’evoluzione da seguire con attenzione.
Alessandro Pio, consigliere scientifico dell'ISPI e visiting professor all'Università Bocconi. Ha ricoperto ruoli di responsabilità nell'Asian Development Bank.