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Commentary

Al Cairo il pluralismo si fa rischioso

19 luglio 2011

La rivolta del 25 gennaio 2011 in Egitto, che si è conclusa con la defenestrazione del presidente Hosni Mubarak, ha visto la piena partecipazione della moltitudine del popolo egiziano che si è erto a protagonista e rivendicatore del proprio destino. L’esercito ha benevolmente mantenuto una posizione di neutralità, consentendo ai rivoltosi, con il suo non-intervento, di ottenere il maggiore degli obiettivi che si erano proposti (appunto l’abbattimento dell’odiato presidente) e ponendo nel contempo un freno ai desideri di rivalsa, anche violenta, di coloro che col regime di Mubarak avevano prosperato o che del regime di Mubarak avevano costituito l’ossatura repressiva. Le forze islamiste, e in primo luogo i Fratelli Musulmani, hanno prima mantenuto una posizione incerta per poi decidersi a partecipare al movimento popolare, da un lato temendo di essere emarginati, e dall’altro cercando di sfruttare l’opportunità di partecipazione politica, dopo decenni di emarginazione, che il rivolgimento garantiva. Moltitudine, esercito e forze islamiste sono tuttora i tre protagonisti di una scena politica che rivela alcuni aspetti di rapida evoluzione e altri di incipiente involuzione.

La partecipazione popolare e di massa è sempre alta e attiva. La moltitudine si rivela protagonista tornando a riempire piazza Tahrir e a chiedere, innanzitutto, processi rapidi ed equi per l’ex presidente, per gli esponenti più compromessi del vecchio regime e per i capi delle forze segrete e di polizia responsabili dei tentativi di repressione. Questa spinta democratica di movimenti di massa non sembra tuttavia essersi ancora coagulata in un fronte comune effettivamente strutturato e operativo, e i partiti si sono moltiplicati anche oltre il lecito e l’auspicabile. Una direzione egemonica del movimento è indispensabile, ma l’eccessiva frantumazione del quadro politico potrebbe alla lunga rivelarsi negativa e pericolosa per il futuro del processo costituente. I giovani, le donne, i cittadini di Tahrir sembrano pronti a riprendere le proteste se le loro aspettative non verranno esaudite dal consiglio militare che attualmente governa l’Egitto, ma occorre attenzione a che la debolezza organizzativa non allenti le maglie della contestazione consentendo l’infiltrazione di agenti provocatori che potrebbero trarre giovamento da un’eventuale destabilizzazione.

L’esercito, da parte sua, non sembra affatto desideroso di premere sull’acceleratore delle riforme. A tutt’oggi non sono sicure le date né delle elezioni politiche né di quelle presidenziali e le istituzioni non sembrano nemmeno aver fretta di perseguire e punire i gerarchi del vecchio regime. Questo potrebbe suggerire l’impressione che l’esercito si comporti gattopardescamente: cambiare tutto affinché nulla cambi. Di fatto non è chiaro se la troika militare desideri davvero andare incontro alle richieste dei movimenti popolari o se, dopo aver garantito una transizione morbida, non miri in realtà a non consentire troppo radicali e traumatiche trasformazioni del quadro politico egiziano. Per tradizione in Egitto l’esercito è protagonista della vita politica; qui si tratta di de cidere se tale protagonismo rispetterà le rivendicazioni delle masse o sarà più preoccupato di salvaguardare le vecchie strutture di potere.

I movimenti islamisti, dal canto loro, sono in pieno fermento. Rompendo gli indugi di una decennale incertezza, i Fratelli Musulmani hanno costituito una propria formazione, Libertà e Giustizia, con cui parteciperanno alle prossime elezioni sperando di riscuotere un risultato importante che li proietti in parlamento come il primo partito della scena politica egiziana. Tuttavia, le aspettative potrebbero non essere rosee, in quanto i Fratelli Musulmani sono lacerati da lotte intestine. Almeno tre esponenti di spicco dell’organizzazione, Muhammad Habib, Ibrahim al-Zaafarani e soprattutto ‘Abd al-Mon’eim Abu’l-Futuh hanno abbandonato la casa madre per costituire propri partiti. Habib e Zaafarani hanno converso nel Partito della rinascita; Abu’l-Futuh ha avviato una propria formazione e ha annunciato addirittura di volersi candidare alle elezioni presidenziali. Se i Fratelli Musulmani potevano sperare di svolgere quel ruolo egemonico che si è rivelato carente nei movimenti popolari di massa, le defezioni cui abbiamo accennato potrebbero spegnere siffatte speranze. I contrasti tra la vecchia guardia conservatrice e, soprattutto, i giovani più dinamici e democratici potrebbero far deflagrare i Fratelli Musulmani con conseguenze imprevedibili. D’altro canto, anche i salafiti e gruppi ancor più tradizionalisti dell’establishment musulmano si stanno organizzando politicamente; e forze salafite, in consonanza con esponenti prestigiosi dell’Università di al-Azhar, hanno riagitato la bandiera dello stato islamico e della necessità di una applicazione della shari’a in Egitto.

Il quadro è dunque particolarmente movimentato e non è possibile arguire quali saranno gli sviluppi futuri, se la transizione alla democrazia sarà lineare o se la complessità delle forze in campo renderanno il percorso particolarmente tortuoso. Un modello militare, un modello democratico occidentale e un modello islamico stanno contendendosi l’area istituzionale. Il pluralismo delle posizioni lascia ben sperare nell’evoluzione della situazione, ma è altrettanto foriero di potenziale confusione.

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