Il quarto mandato di Bouteflika tiene tutti con il fiato sospeso. O meglio: da quando il presidente algerino era stato vittima di un’ischemia nell’aprile 2013 (e dopo aver evitato la morte nel 2005 per un’ulcera emorragica), gli algerini si interrogano sulle sue condizioni di salute, ipotizzando un avvicendamento al vertice, che tuttavia per ora, contro tutti i pronostici, non è ancora avvenuto. Dalla primavera 2013, Bouteflika è assente dalla scena politica, se non per brevi e fugaci comparse, ed è riuscito in un’impresa che è quanto meno singolare. Durante la lunga e misteriosa convalescenza in Francia, si è atteso invano quel passo indietro, peraltro da lui stesso annunciato in un celebre discorso a Sétif l’anno precedente, nel 2012, quando ancora il vento delle Primavere arabe e delle “transizioni” soffiava sul Nord Africa. L’opinione pubblica nazionale e internazionale era già immersa nel dibattito sulle candidature per le presidenziali dell’aprile 2014, quando l’anziano e malato presidente ha annunciato a sorpresa la sua stessa candidatura per un quarto mandato. Da quel momento si è innestata la macchina della campagna elettorale, che è stata condotta per procura dal primo ministro, senza che Bouteflika comparisse in pubblico, se non per brevi istanti e poi su una sedia a rotelle al momento del voto. La vittoria con l’81% dei consensi, accolta senza troppe sorprese pur nell’assurdità della situazione, ha mostrato tutto il potenziale dell’apparato di potere che circonda il presidente.
Mentre il dibattito sul suo stato di salute pare essere lo sport preferito dall’opinione pubblica nazionale, Bouteflika vive sulla costa a qualche chilometro da Algeri, nella località turistica di Zeralda, in un’enorme residenza prima di proprietà dei Servizi segreti e ora attrezzata per il presidente sulla sedia a rotelle, dotata anche di una clinica interna dove un’équipe di medici belgi e cinesi si prende cura, nel massimo riserbo, della sua riabilitazione. I brevi soggiorni a Barcellona o a Grenoble per cure sono occultati o ammessi a denti stretti dagli uomini di governo, preferibilmente dopo aver fatto circolare immagini che ritraggono il presidente a colloquio (con un fil di voce) con diplomatici o personalità politiche provenienti dai paesi vicini. L’obiettivo dell’establishment è, infatti, quello di evitare che sia anche solo ventilata la possibilità di adottare l’articolo 88 della Costituzione, che prevede la destituzione del presidente in caso di malattia grave e duratura. Per arginare questo pericolo, oltre alla retorica di stato che promuove un’immagine in costante miglioramento delle condizioni di salute del presidente, Bouteflika ha sempre fatto in modo di avere solo persone fidate alla guida del Consiglio costituzionale, l’unico organo che può constatare l’empêchement. Alla neutralizzazione del Consiglio costituzionale, ne se sono seguite altre, attraverso la cooptazione o eliminazione di papabili alla carica di presidente e tramite il ridimensionamento del settore della sicurezza.
Il presidente è oggi attorniato da un gruppo di consiglieri tra i quali spiccano: il fratello minore, Saïd Bouteflika – sempre al suo fianco, gestisce l’agenda degli incontri a Zeralda e, secondo alcuni, ha un’influenza talmente profonda sul fratello malato da firmare lui stesso decreti presidenziali e nomine di ministri; il primo ministro Abdelmalek Sellal – uomo di assoluta fiducia, che ha condotto la campagna elettorale e si fa portavoce del presidente; il direttore del Gabinetto presidenziale, Ahmed Ouyahia – che è stato riammesso tra le fila dei fedelissimi, dopo che era stato allontanato dalla carica di segretario di uno dei due partiti al governo, il Rassemblement national démocratique (Rnd), nel 2012, perché, dopo aver guidato per tre volte l’esecutivo (tra il 2003 e il 2012), era stato visto con timore dal “clan Bouteflika” come un possibile competitor alle elezioni presidenziali. Dimostrando invece la sua piena lealtà e appoggiando la candidatura per il quarto mandato, Ouyahia è stato oggi cooptato dalla presidenza, che preferisce non alienarsi un personaggio di tale statura. Sorte opposta è toccata invece ad Abdelaziz Belkhadem, ex-segretario generale dell’altro partito di governo, lo storico Front de libération nationale (Fln), eliminato dopo una contestazione interna, ma vittima presumibilmente delle macchinazioni di Saïd Bouteflika, che ha preferito mettere al suo posto il docile Amar Saidani, togliendo in questo modo quella base necessaria a Belkhadem per spiccare il volo verso le presidenziali. L’umiliazione è arrivata dopo le elezioni del 2014, quando Belkhadem è stato definitivamente silurato da Bouteflika che l’ha destituito dall’incarico di ministro consigliere della presidenza, mettendo inoltre «fine alle sue attività in relazione all’insieme delle strutture dello Stato». Infine, per quanto riguarda l’ala militare e quella della sicurezza, la questione è in realtà solo parzialmente controllata da Bouteflika, conscio del pericolo d'inimicarsi i due pilastri sul quale, oltre a quello della presidenza, si regge il sistema politico algerino. La minaccia maggiore proviene dal Département du renseignement et de la sécurité (Drs) che, nonostante sia stato privato da Bouteflika di un numero consistente di colonnelli presenti nei ministeri e nell’amministrazione, è guidato dal 1990 dal potente Mohamed Mediène, detto Toufik. Sospettato di essere dietro alle inchieste sugli affari di corruzione (Sonatrach, autostrada Est-Ovest) che hanno allarmato il governo negli ultimi anni, “l’uomo più misterioso d’Algeria” è forse l’unico vero oppositore dell’apparato di Bouteflika.
Se è vero pertanto che la malattia del presidente e la fumosità attorno alle sue condizioni di salute tengono tutti col fiato sospeso, è anche vero che il presidente e il suo entourage stanno facendo di tutto per mantenere Bouteflika al suo posto fino all’ultimo, continuando ad adoperarsi per una transizione che, se e quando verrà, sarà nella continuità. La questione della riforma della Costituzione, ventilata fin dal 2012, è stata affidata a Ouyahia, che ha imbastito i primi colloqui con partiti e associazioni. Chi si oppone alla revisione costituzionale controllata dal “sistema” è un variegato e non più solo elitario ventaglio di partiti, movimenti, associazioni che vanno dai più liberali e progressisti a quelli più conservatori e islamisti. Il fatto che si uniscano oggi sigle così differenti fra loro per elaborare una proposta alternativa di Costituzione è sintomo di una società civile che si sta ricomponendo e risvegliando dopo gli anni bui della guerra civile e quelli “apatici” del processo di Riconciliazione nazionale. Dal 2011, inoltre, il paese è teatro di proteste popolari non di massa, ma continue e capillari. Se si guarda all’incessante calo del prezzo del petrolio e alla più generale crisi del commercio degli idrocarburi (che rappresentano la quasi totalità delle esportazioni algerine) si potrebbe pensare alla possibilità per questo paese del ripresentarsi di una situazione incandescente simile a quella del 1986-1988 quando il crollo del 40% del costo al barile portò ai moti dell’ottobre 1988 e al “decennio nero”. L’establishment non sembra tuttavia troppo preoccupato dall’incognita degli idrocarburi e punta tutto sulla ricerca di nuovi giacimenti e sullo sfruttamento del gas scisto. A ogni modo, se la situazione dovesse precipitare e se si arrivasse a moti insurrezionali gli algerini saprebbero oggi gestirli e canalizzarli, facendo tesoro dell’esperienza di chi ha già vissuto ed è sopravvissuto a fin troppi “eccezionalismi”.