Mentre si avvicina alle prossime elezioni presidenziali, l’Algeria continua a mantenere delle caratteristiche peculiari all’interno del quadro regionale nordafricano. Sebbene vi siano degli elementi di comunanza con gli altri paesi dell’area, soprattutto dal punto di vista politico e sociale (meno dal punto di vista economico), l’Algeria è riuscita fino a ora a resistere alle pressioni dal basso per un cambiamento strutturale del sistema politico e, unica insieme al Marocco – in cui però il fattore della monarchia ha sicuramente inciso in questo senso –, non ha subito gli effetti diretti della cosiddetta Primavera araba. Quanto durerà questa calma apparente? È difficile dirlo con esattezza, ma sempre in merito alla questione della stabilità e della sicurezza, va anche sottolineato come l’Algeria sia stato – e per alcuni versi sia ancora – il paese dell’area storicamente più esposto al terrorismo di matrice qaidista e, allo stesso tempo, quello che ha adottato le strategie e le tattiche anti-terroristiche più efficaci, al punto da aver temporaneamente rigettato le sacche di jihadismo al di fuori dei propri confini.
La questione della sicurezza è cruciale per una realtà che, solo vent’anni fa, era nel pieno di una cruenta guerra civile che vedeva contrapposti gruppi terroristici di matrice islamista ed esercito regolare. L’esercito del paese, con i suoi circa 150.000 uomini attivi, è in assoluto il più grande di tutta l’Africa dietro l’Egitto. Il governo investe molte risorse nel proprio apparato di difesa, al punto da essere il primo paese africano per spese militari, con un budget che nel 2013 ammontava a 10 miliardi di dollari e un aumento rispetto all’anno precedente del 15%. A livello di esperienza, gli anni della guerra civile e della lotta ai gruppi islamisti armati come il Gia (Gruppo islamico armato) e il Gspc (Gruppo salafita per la predicazione e il combattimento), hanno fatto divenire l’esercito algerino quello più preparato alla lotta al terrorismo. Negli ultimi anni, però, l’apparato di sicurezza algerino ha dovuto far fronte alle nuove tendenze del jihadismo nell’area e ha in parte ridisegnato le proprie strategie e il proprio modus operandi. In cosa consistono le novità nell’anti-terrorismo – e, a monte, del terrorismo – algerino?
Prima di tutto, vi è da riconoscere l’efficacia della lotta al terrorismo, al punto che oggi i nuclei operativi di Al-Qaida nel Maghreb Islamico (Aqim), vale a dire la diretta evoluzione del Gspc degli anni Novanta, sem-brano agire in altri paesi della fascia del Sahel e ai confini meridionali dell’Algeria. In questo senso, l’attacco del gennaio 2013 contro l’impianto di In Amènas, per quanto abbia messo in luce alcune falle del sistema di sicurezza algerino, e per quanto sia stato mediaticamente e strategicamente molto rilevante, ha rappresentato piuttosto un’eccezione rispetto al trend che vede il terrorismo scemare in Algeria. Allo stesso tempo, però, ciò non vuol dire che il paese possa considerarsi immune dal fenomeno del terrorismo di matrice islamica, né che la minaccia non sia ancora reale. Piuttosto, Aqim – il cui obiettivo primario era originariamente, e continua a essere nel lungo termine l’Algeria – è in una fase di riorganizzazione e si sta concentrando su obiettivi di breve termine come il reclutamento di nuovi membri e il fundraising (tramite sequestri di persona, coinvolgimento in traffici illeciti di droga, armi, sigarette, automobili rubate…), spostando il proprio raggio d’azione nella fascia saheliana, che va dal Mali al Niger. Contemporaneamente, il nuovo contesto d’instabilità creatosi in Libia favorisce il flusso di armi da questo paese verso il Sahel stesso, senza tener conto dell’instabilità diffusa che coinvolge il confine tra Algeria e Tunisia, un fronte del jihadismo del tutto inedito, e il Mali, non ancora del tutto pacificato.
È di fronte a tali cambiamenti che l’Algeria sta ripensando la propria politica di sicurezza e anti-terrorismo. La presenza al di fuori dei propri confini di militanti che, come obiettivo ultimo, hanno quello di tornare a sferrare degli attacchi al cuore dell’Algeria (il nucleo storico di Aqim è quasi esclusivamente algerino), costringe le forze di sicurezza algerine a non abbassare la guardia e, soprattutto, interessarsi in maniera più diretta di quanto accade fuori dai propri confini territoriali. È così che, per la prima volta nella sua storia, l’esercito nei mesi scorsi è stato autorizzato a compiere azioni all’interno di territori stranieri, come nel caso della Tunisia, mentre storicamente si concentrava esclusivamente sulle minacce interne.
Quello del passaggio del jihadismo da minaccia nazionale a minaccia transnazionale non è l’unico elemento di novità. Risultano nuove anche le tattiche: l’episodio di In Amènas dimostra la volontà di colpire il cuore dell’economia algerina, l’industria degli idrocarburi, laddove tradizionalmente gli attacchi erano rivolti quasi esclusivamente contro obiettivi governativi e delle forze di sicurezza stesse; le stesse direttrici geografiche della nuova minaccia sono in parte cambiate e, mai come adesso, l’Algeria ha dovuto interessarsi dei propri confini orientali, con la Libia e la Tunisia. Ciò ha determinato uno spostamento del baricentro delle azioni anti-terroristiche, sempre più verso i confini e non più nelle aree interne del paese, dal centro alla periferia. Inoltre, la nuova strategia anti-terroristica algerina prevede un livello di cooperazione sempre maggiore con le forze di intelligence e sicurezza degli altri paesi interessati dal jihadismo regionale, come Mali, Libia e Tunisia, con lo scopo di smantellare le reti del terrore – ormai molto più ampie – e creare nuovi framework di cooperazione. È in questa direzione che va il Cemoc (Comitato congiunto operazionale degli stati maggiori), una commissione per l’anti-terrorismo cui partecipano Algeria, Mali, Mauritania e Niger, con sede proprio in Algeria, nella città di Tamanrasset.
Spostamento di risorse verso i confini; cooperazione con gli altri attori regionali; smantellamento dei network e dei traffici criminali nella fascia del Sahel: queste sono le priorità dell’anti-terrorismo algerino oggi. La minaccia posta dal nuovo qaidismo regionalizzato è ancora reale e, qualora la situazione in Algeria dovesse destabilizzarsi, gli attori jihadisti potrebbero gettare benzina sul fuoco, partendo dalle loro nuovi basi operative per tornare a colpire l’Algeria. È anche per questo che la questione della sicurezza resta cruciale per l’Algeria e il paese continua a essere il capofila della lotta al jihadismo nel Nord Africa. Tuttavia, come dimostrato dall’episodio di In Amènas, le nuove tattiche jihadiste pongono serie sfide all’apparato di sicurezza algerino. Soltanto un’azione coordinata con gli altri attori regionali – e supportata dall’Europa e dagli Stati Uniti – potrà essere la chiave per affrontare il nuovo terrorismo nell’area.
Stefano M. Torelli, ISPI Research Fellow
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