Da oltre 50 giorni l’Algeria sembra un paese paralizzato a causa delle incerte condizioni di salute del presidente Abdelaziz Bouteflika, colpito il 27 aprile scorso da un’ischemia e ricoverato d’urgenza all’ospedale militare di Vil-de-Grâce di Parigi. Sebbene fin da subito il governo abbia provato a minimizzare l’accaduto e a tenere sotto controllo ogni informazione circolante , i sospetti sulle reali condizioni del capo di stato algerino hanno immediatamente infiammato il dibattito interno su quale sorte potrà attendere il paese nordafricano. Nel 2005 un altro ricovero per un'ulcera perforante fece molto discutere perché anche allora “Boutef” scomparve dalle scene per diversi giorni. Rispetto a otto anni fa, quel che ha sorpreso maggiormente stampa e opinione pubblica non è stata la malattia o l’aggravarsi della stessa – la quale è nota da anni –, quanto piuttosto l’atteggiamento di assoluta segretezza in merito da parte delle autorità algerine. Ad alimentare questa incertezza hanno inciso, da un lato, i dubbi sulle reali capacità del presidente di riprendere i suoi impegni politici, dall’altro, la necessità di trovare un successore capace di mettere d’accordo tutte le anime del regime.
L’art.88 della Costituzione algerina definisce molto chiaramente i canoni entro cui possa avvenire un passaggio di poteri e/o si possano indire nuove consultazioni. Alla presenza di un «malanno fisico grave e duraturo del capo di Stato», le due camere del Parlamento si riuniranno in seduta comune per deliberare a maggioranza dei 2/3 sullo stato d’impedimento del presidente, consegnando i poteri per un periodo non superiore ai 45 giorni al presidente del Consiglio della Nazione (la Camera Alta del Parlamento). Superato tale limite costituzionale, scatteranno automaticamente le dimissioni e saranno indette elezioni anticipate. Nel caso di dimissioni volontarie, il presidente del Consiglio della Nazione assumerà l’incarico di capo di Stato per un periodo di 60 giorni entro i quali dovranno essere indette le consultazioni.
Tuttavia l’applicazione o meno di questo articolo non risolverà il problema di fondo del rebus algerino, ossia la scelta di un successore capace di garantire gli attuali equilibri interni. Fin dall’indipendenza del 1962, la scelta del candidato presidente è sempre scaturita da un accordo condiviso tra i tre principali attori politici nazionali: Fronte di Liberazione Nazionale (FLN), Raggruppamento Nazionale Democratico (RND) e militari. Sebbene non esista un candidato ufficiale alle prossime presidenziali – fissate alla scadenza naturale del mandato, ossia al 2014 –, qualsiasi cambio di rotta o decisione sul futuro presidente dovrà necessariamente avvenire attraverso un accordo tra questi attori. Al momento, i candidati più accreditati sembrano essere l’attuale primo ministro Abdelmalek Sellal, il suo collega di governo e ministro dell’Interno Dahou Ould Kablia, il presidente del Consiglio della Nazione Abdelkader Bensalah e gli ex premier Ahmed Benbitour, Abdelaziz Belkhadem, Mouloud Hamrouche e Ahmed Ouyahia, anche se quest’ultimo non è particolarmente gradito a Bouteflika e al suo entourage. Ciononostante la parola fine sulla scelta definitiva di un candidato spetterà come sempre al generale Mohamed “Tewfik” Mediène, capo del Département du Renseignement et de la Sécurité (DRS) – l’apparato di intelligence militare algerino –, unico deus ex machina della politica e dell’economia algerina fin dai tempi della guerra civile.
Ma l’esercito è pronto ad accettare le incertezze che accompagnano un qualsiasi processo di democratizzazione? Attualmente, le lotte intestine al regime impedirebbero un qualsiasi cambiamento reale favorendo piuttosto soluzioni di compromesso anche e soprattutto per paura che fattori esterni possano destabilizzare i delicati equilibri nazionali. Oltre alle incognite politiche, permangono, infatti, numerosi timori sulla gestione della sicurezza nel paese. Alcune settimane fa il governo di Algeri aveva alzato il livello di allerta impegnandosi in una campagna di rafforzamento dei controlli lungo le frontiere con Tunisia, Libia e Marocco. Parallelamente esercito, intelligence e ministero dell’Interno hanno portato avanti diverse operazioni coordinate nelle province del sud e del sud-est con l’obiettivo di stanare ed eliminare tutte le cellule terroristiche presenti sul territorio. Difatti, il timore maggiore tra i vertici politici e militari è che l’attuale caos istituzionale possa favorire infiltrazioni di gruppi salafiti più o meno legati alla galassia di AQIM (Al-Qaeda in the Islamic Maghreb), che potrebbero utilizzare l’entroterra algerino come base logistica per le loro attività nel Sahel.
Sebbene dunque il quadro delineato sia incerto e suscettibile di imprevedibili cambiamenti, emerge con chiarezza il fatto che la transizione abbia già avuto inizio e che le discussioni sui possibili successori a Bouteflika domineranno a lungo la scena politica nazionale. Questo è tanto vero soprattutto se i vertici dello Stato preferiranno giungere alla naturale scadenza del mandato presidenziale piuttosto che scegliere un candidato di comodo utile soltanto nell’immediato. Così tra necessità di continuità del potere, timori di una transizione incontrollata e minacce jihadiste, l’Algeria odierna guarda con sempre meno ottimismo al suo domani.