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Focus Mediterraneo Allargato n.12
Algeria: una transizione incompleta
Federico Borsari
21 febbraio 2020

A quasi un anno di distanza, continua la mobilitazione popolare per ottenere un cambio radicale dell’attuale sistema politico algerino, sebbene con una partecipazione minore rispetto ai mesi precedenti. Il nuovo presidente Abdelmadjid Tebboune, eletto nel dicembre 2019, dopo aver nominato il nuovo esecutivo, ha avviato una serie di iniziative per riconquistare la fiducia dei cittadini. Oltre all’inerzia delle istituzioni politiche, di fatto ancora legate al vecchio regime, la stagnazione economica e la disoccupazione, specie quella giovanile, rappresentano le principali sfide che il paese si troverà a dover affrontare nei prossimi mesi. Sul piano sociale, le autorità mantengono un approccio restrittivo rispetto al tema dei diritti civili e intransigente nei confronti delle proteste, mentre l’attività di gruppi terroristici di natura transnazionale resta una minaccia concreta alla sicurezza interna, seppur con portata maggiormente localizzata nelle aree meridionali del paese. Le questioni di sicurezza regionali, specie quelle legate al vicino contesto libico, rappresentano anche uno dei principali dossier della politica estera di Algeri, che nelle ultime settimane ha rinnovato i propri sforzi diplomatici per favorire un canale di dialogo tra le fazioni libiche in lotta.

Quadro interno

Le elezioni presidenziali dello scorso dicembre hanno visto competere cinque candidati, tutti legati più o meno direttamente al regime dell’ex presidente Abdelaziz Bouteflika attraverso incarichi ministeriali o di consiglio, mentre nessuna figura in competizione con il sistema di potere, noto come pouvoir, è stata ammessa dall’Autorità nazionale indipendente per le elezioni (Anie) creata nel settembre dello stesso anno. Proprio la limitata scelta dei candidati, considerati dalla popolazione come membri dell’issaba, cioè della “banda” che fino a oggi ha guidato il paese, è stata uno degli aspetti più criticati dal movimento di protesta e dalle opposizioni nelle settimane di campagna elettorale. Il nuovo presidente Abdelmadjid Tebboune, che con il 58% delle preferenze ha battuto con ampio margine il suo rivale più prossimo Abdelkader Bengrina, fermo al 17%, ha preso il posto di Abdelkader Bensalah, a sua volta guida ad interim della presidenza dopo le dimissioni di Bouteflika all’inizio di aprile. Tebboune aveva ricoperto il ruolo di primo ministro da maggio ad agosto del 2017, quando venne licenziato dallo stesso Bouteflika per aver accusato di corruzione alcuni oligarchi vicini al fratello del presidente.[1] Nei piani del regime, interessato a preservare la stabilità attraverso la propria sopravvivenza, le elezioni rappresentavano l’unica strategia per uscire dall’impasse politica senza che venisse mai valutata l’ipotesi di un processo costituente, che continua invece a essere la principale richiesta delle piazze e dell’opposizione politica per poter tradurre le proprie istanze in un vero programma d’alternativa. La vittoria di Tebboune, tuttavia, è il frutto di elezioni a cui ha partecipato soltanto il 40% degli aventi diritto, l’affluenza più bassa nella storia dell’Algeria indipendente,[2] evidenziando il diffuso stato di disillusione popolare verso la classe politica e il basso grado di popolarità di cui gode il neo presidente. In alcune aree del paese, come la regione della Cabilia, storicamente nota per la profonda opposizione verso il governo centrale, la partecipazione al voto è stata prossima allo zero.[3] In questo contesto, la scarsa legittimità delle istituzioni, e ancor più del regime, renderà ulteriormente complicato l’operato del nuovo governo nei prossimi mesi, alimentando con ogni probabilità nuove manifestazioni.

Subito dopo le elezioni, Tebboune si è rivolto direttamente al movimento di protesta, conosciuto come Hirak, dicendosi pronto ad avviare un “dialogo serio” e concreto “nell’interesse dell’Algeria”,[4] nonché ad attuare una riforma costituzionale che rompa la continuità con la precedente amministrazione.[5] A tal proposito, l’8 gennaio scorso il neo presidente ha costituito una commissione di esperti, inclusi rappresentanti della diaspora, della classe intellettuale e del mondo accademico, per avviare i lavori di riforma volti soprattutto ad ampliare le libertà civili e rafforzare l’indipendenza della magistratura. Nel contempo, la presidenza ha subito incaricato Abdelaziz Djerad, nel ruolo di primo ministro designato, di nominare un nuovo gabinetto che è stato ufficialmente presentato la prima settimana di gennaio e che si compone di 39 portafogli. Cinque di questi sono affidati a donne, mentre altri sono rimasti a figure facenti parte della precedente amministrazione, come ad esempio Sabri Boukadoum, che mantiene il ministero degli Esteri e Kamel Beldjoud che passa dall’Edilizia abitativa agli Interni.[6] Altri incarichi di rilievo sono quelli di Belkacem Zeghmati alla Giustizia e Mohamed Arkab all’Energia. Nonostante Tebboune abbia ribadito di voler separare la politica dal denaro,[7] proponendosi come una figura anti-corruzione e distaccata dalla vecchia cerchia del regime, la composizione del nuovo governo e la scarna agenda politica presentata durante la corsa alle presidenziali non lasciano presagire particolari cambiamenti né nell’assetto politico né in termini di riforme democratiche. Le vaghe proposte di ripristinare il limite di due mandati alla carica presidenziale e di garantire ai giovani maggiore accesso a ruoli decisionali attraverso una riforma della legge elettorale[8] appaiono infatti insufficienti a soddisfare le richieste della popolazione. Molti manifestanti rimangono profondamente scettici sulla volontà di cambiamento dell’élite e su quanto le riforme sin qui promesse possano tradursi in una genuina apertura democratica. I cambi ai vertici, infatti, non hanno comunque scalfito – ma nemmeno si proponevano di farlo – l’influenza e il ruolo garantista dell’esercito nel processo decisionale interno, storicamente e profondamente legati. Non è un caso che lo stesso presidente Tebboune abbia elogiato le forze armate per il loro costante impegno nel mantenere sicuro il paese e “proteggere i manifestanti”,[9] definendo “un eroe” il defunto capo dell’esercito generale Gaid Salah, scomparso improvvisamente il 23 dicembre, il quale aveva di fatto tenuto le redini del paese dopo l’uscita di scena di Bouteflika.[10] Ai controversi sviluppi politici si accompagna un approccio velatamente e selettivamente repressivo nei confronti delle proteste. A gennaio la scarcerazione di 76 attivisti non aveva suscitato grandi aperture tra i manifestanti, che al contrario avevano deciso di interrompere nuovamente il dialogo con le autorità e rifiutare ulteriori confronti sul processo di riforme fino a quando non sarebbero stati liberati tutti gli attivisti ed esponenti della società civile arrestati durante le proteste. Di questi, però, oltre la metà continua a rimanere in carcere.[11] Per volere della presidenza, a inizio febbraio le autorità hanno concesso la liberazione di migliaia di persone incarcerate arbitrariamente negli scorsi mesi,[12] un segno di apertura che potrebbe consentire la ripresa del dialogo con la piazza e che sembrerebbe essere frutto del più ampio spazio di manovra di cui gode Tebboune dopo la morte dell’influente generale Salah.[13] Nel contempo, rimangono seri dubbi sulla portata di questa iniziativa di riconciliazione lanciata dal neo presidente, specie in virtù dell’approccio risoluto adottato nei confronti dei canali di informazione, caratterizzata da una censura dell’Hirak da parte dei media ufficiali e da un totale “oscuramento” di quelli indipendenti.[14] A ciò vanno aggiunti un dispiegamento sempre più ampio di forze dell’ordine durante le manifestazioni nonché l’applicazione di pene severe contro gli attivisti ritenuti più pericolosi per la stabilità del regime. A fine gennaio la Corte d’appello di Algeri ha condannato due rappresentanti del movimento di protesta, Toufik Kerfa e Yacine Elouareth, a tre mesi di carcere per “aver minacciato la sicurezza dello stato”, mentre il tribunale di Biskra ha condannato uno studente universitario a 18 mesi di carcere per aver pubblicato sui canali social un video delle violenze della polizia contro i manifestanti.[15] La pena più pesante, però, è stata comminata a Louisa Hanoune, segretario generale del Partito dei lavoratori, la principale forza d’opposizione politica, con 15 anni di carcere.[16] In questo contesto, la censura e la soppressione del dissenso, oltre all’arresto selettivo di figure legate direttamente alla cerchia di Bouteflika,[17] appaiono come una exit strategy attuata da una classe politica sempre più debole e delegittimata per prolungare il proprio potere. La riproduzione di queste dinamiche appare già insostenibile e negativa per la stabilità del paese, specie se si considerano le stesse ragioni strutturali dell’Hirak, tra cui quelle economiche.

La dipendenza dell’economia algerina dagli idrocarburi, è stata un forte ostacolo alla crescita negli ultimi anni, principalmente a causa della volatilità dei prezzi sui mercati[18] e all’aumento dei consumi interni, che ha costretto a una riduzione del volume destinato alle esportazioni. Le attività legate al settore degli idrocarburi hanno contribuito a fornire oltre il 60% del prodotto interno lordo e hanno rappresentato oltre l’85% delle esportazioni nel corso del 2018.[19] La redistribuzione clientelare dei proventi ha però favorito un aumento delle disparità interne e inibito gli investimenti in altri settori. Nel corso del 2019 l’andamento altalenante dei prezzi dell’energia e i consumi interni deboli hanno contribuito a mantenere bassa la crescita economica interna, con un incremento del Pil attorno all’1,3% che non dovrebbe superare l’1,5% nel 2020.[20] La stagnazione del settore energetico, aggravata da un significativo calo delle esportazioni pari all’8,1%, è parzialmente compensata dalla crescita di circa il 3,5% degli altri settori dell’economia.[21] Uno dei principali problemi rimane la disoccupazione che si attesta al 13,3% su base nazionale[22] e supera il 30% tra i giovani algerini.[23] Non è un caso che le nuove generazioni siano le principali protagoniste delle proteste, dando origine a una sorta di “risveglio sociale” che si caratterizza per la contrapposizione generazionale tra la “nuova Algeria” e il “vecchio apparato” che detiene il potere. Più della metà della popolazione ha meno di trent’anni, il 44% addirittura meno di 25,[24] e salvo uno sforzo concreto e politiche più efficaci per contrastare la disoccupazione, gran parte dei giovani algerini continuerà a protestare.

Sul piano fiscale il deficit rimane su alti livelli (7,1% del Pil nel 2020) principalmente a causa della diminuzione dei proventi degli idrocarburi. La proposta di budget per il 2020 lascia intendere che il governo sia orientato verso politiche fiscali restrittive attraverso un taglio della spesa pubblica del 9,2%, ma l’obiettivo appare troppo ambizioso vista l’impopolarità di un eventuale taglio dei sussidi in un contesto di proteste sociali e la continua allocazione di un ampio budget per la difesa.[25] Nel contempo, il saldo commerciale rimane negativo e le riserve valutarie sono diminuite dagli 80 miliardi di dollari di inizio 2019 ai 68 miliardi attuali,[26] fattore che limiterà il margine di manovra del governo in termini di politiche fiscali. È comunque possibile attendersi un aumento degli investimenti esteri nel corso del 2020 anche grazie alla nuova legge sugli idrocarburi approvata a inizio gennaio, che ha l’obiettivo di attrarre maggiori investimenti stranieri nel settore sfruttando contratti più favorevoli e stabili e tassazioni agevolate sulle attività delle compagnie internazionali.[27] Nel complesso, tuttavia, l’incertezza politica e il clima di tensione sociale contribuiranno con ogni probabilità a mantenere bassi i consumi interni e a indurre le autorità a optare per soluzioni economiche di breve periodo, a scapito di investimenti nel settore privato e nella diversificazione.

Lo scenario che si prospetta è principalmente di incertezza, soprattutto per quanto concerne il panorama politico. Nonostante il cambio di governo e la nuova presidenza, infatti, l’attuale classe dirigente rimane fortemente delegittimata agli occhi della popolazione e difficilmente riuscirà a implementare un’agenda politica priva di aperture democratiche concrete. La strategia basata sulla redistribuzione delle rendite degli idrocarburi per ottenere la pace sociale non sembra più in grado di garantire stabilità e benessere, né tantomeno di favorire una crescita economica, specie con gli attuali prezzi del petrolio. L’austerità sociale e la svendita delle risorse naturali non sono più opzioni percorribili e rischiano perciò di fomentare nuove – e questa volta più violente – proteste. È assai probabile che fino a quando il deficit di rappresentanza democratica e la disoccupazione non saranno affrontati con soluzioni di lungo periodo il clima di tensione socio-politica interna sarà destinato a perdurare se non a peggiorare.

Gli sforzi di dialogo promossi dal nuovo presidente e dal governo non devono limitarsi a parziali amnistie, ma includere tra le priorità anche una nuova roadmap per elezioni parlamentari trasparenti, una riforma costituzionale in linea con le richieste della popolazione e un piano di riforme economiche strutturali che promuovano il settore privato e diminuiscano la dipendenza del paese dagli idrocarburi.

Relazioni esterne

Algeri intrattiene relazioni positive e stabili con i paesi dell’Unione europea e con buona parte dei propri vicini.

Attualmente, i principali dossier di politica estera algerina sul tavolo del nuovo governo sono le complicate relazioni con il Marocco, la crisi libica e la lotta contro il terrorismo. Sebbene il sovrano del Marocco Mohamed VI si sia congratulato con il nuovo presidente Tebboune e abbia reiterato la volontà di avviare una nuova fase di distensione e dialogo basato sulla fiducia reciproca,[28] i rapporti con Rabat rimangono tesi e intermittenti a causa della disputa irrisolta riguardante il Sahara Occidentale. Tale questione si inserisce in un più ampio contesto di rivalità geopolitica di portata regionale, nel quale mentre da una parte Rabat mira a evitare il pericolo dell’isolamento (geo-strategico nonché diplomatico), Algeri dall’altra persegue ambizioni egemoniche e di leadership nell’area. Inoltre l’approdo ai vertici militari algerini di Said Chengriha al posto del defunto Ghaid Salah getta nuove ombre sul percorso di normalizzazione dei rapporti bilaterali, nonostante alcune tiepide aperture nei mesi scorsi. Il nuovo capo di stato maggiore dell’esercito è noto infatti per la sua posizione intransigente verso il Marocco e per il suo appoggio al Fronte Polisario, da decenni in lotta con Rabat per l’indipendenza del Sahara Occidentale.[29]

Sul fronte libico l’Algeria sta cercando di ritagliarsi un ruolo diplomatico di primo piano, attraverso un’iniziativa volta a produrre un cessate il fuoco stabile e a creare un’intesa tra il Governo di accordo nazionale (Gna) a Tripoli e il generale Khalifa Haftar. A tal fine, il 23 gennaio il ministero degli Esteri algerino, guidato da Sabri Boukadoum, ha organizzato e ospitato una conferenza ministeriale dei paesi confinanti con la Libia, a cui hanno preso parte anche alcuni paesi africani che non erano presenti al vertice di Berlino del 19 gennaio, a eccezione del Marocco.[30] L’intento dell’Algeria, infatti, è quello di porsi come principale mediatore nel conflitto tramite una “posizione di equidistanza”,[31] favorendo un processo di stabilizzazione che gioverebbe non solo alla Libia ma anche ai paesi confinanti, soprattutto in termini di sicurezza.

Il rinnovato attivismo nel contesto libico servirebbe anche al nuovo governo algerino per rafforzare la propria reputazione sia sul piano regionale sia a livello internazionale, in un momento di forti tensioni sociali interne. Algeri, peraltro, intende far leva sulla questione delle “influenze straniere” per rianimare il ruolo della diplomazia regionale – non per caso le autorità algerine avrebbero proposto l’invio di truppe in Libia nella cornice di una missione guidata dall’Unione Africana[32] – e riaffermare il principio della sovranità territoriale, da sempre principale linea guida della propria politica estera.

L’instabilità libica si interseca con il problema del terrorismo di natura transnazionale e dei gruppi islamisti che operano sia in alcune aree del nord-est sia lungo i confini meridionali dell’Algeria. Il recente incremento nel numero di attacchi contro le forze di sicurezza, l’ultimo il 9 febbraio nella provincia meridionale di Adrar,[33] ha indotto l’esercito a condurre numerose operazioni contro presunte cellule terroristiche, in particolare nelle province nord-orientali di Kenchela e Jijel e in quella di Tamanrasset, nel sud del paese.[34] Alla luce di ciò, dunque, la cooperazione in materia di sicurezza con i paesi del Sahel rimane prioritaria per Algeri.

 

[1]Algeria declares Tebboune winner of controversial presidential election. Middle East Eye, 13 dicembre 2019.

[2] A. Poletti, “Algeria, astensionismo record alle elezioni. Il neo-presidente già contestato da migliaia di persone in piazza”, Il Fatto Quotidiano, 13 dicembre 2019.

[3] N. Ameur, “Nous ne parlons plus de vote: en Algérie, la Kabylie est déterminée à boycotter la présidentielle”, Middle East Eye, 11 dicembre 2019.

[4] “Tebboune plaide pour un dialogue ‘sérieux’ pour l’intérêt de l’Algérie”, Algérie Press Service, 13 dicembre 2019.

[5] “Tebboune s’engage à opérer une ‘profonde réforme’ de la Constitution”, Algérie Press Service, 13 dicembre 2019.

[6] “New government formed in Algeria”, The Arab Weekly, 5 gennaio 2020.

[7] L. Chikhi e H. Ould Ahmed, “Ex-premier elected Algerian president; thousands march in protest”, 13 dicembre 2019, Reuters.

[8] “Algeria’s new president reiterates reform pledges, protesters divided”, The Arab Weekly, 5 gennaio 2020.

[9] A. Ouali, “Algeria inaugurates new president rejected by protesters”, Associated Press, 19 dicembre 2019.

[10]Algeria names Said Chengriha as new army chief, MENAFN, 24 dicembre 2020.

[11] R.S. Ford, Algeria remains in crisis, Commentary, Middle East Institute, 6 gennaio 2020.

[12]Algeria: President Orders Release of Thousands of Prisoners, Situation Report, Stratfor, 5 febbraio 2020.

[13]Algeria, Country Report, Economist Intelligence Unit (EIU), 20 gennaio 2020, p. 4.

[14] D. Hajjaji e P. Birch, “Barred from covering unrest, Algerian journalists hold own protests”, Committee to protect Journalists (Cpj), 29 marzo 2019.

[15] Crisis Watch, Algeria, International Crisis Group.

[16] S. Tlemcani, “Ses avocats révèlent : Ce qu’a dit Louisa Hanoune au juge…”, El Watan, 2 ottobre 2019.

[17] M. Mehenni, “Toufik, Saïd, Tartag, Nezzar et Louisa Hanoune condamnés : chronique d’un procès pas comme les autres”, Tout sur l’Algérie (Tsa), 25 settembre 2019.

[18]Algeria Economic Outlook, World Bank, ottobre 2019.

[19]Algeria facts and figures, Organization of the Petroleum Exporting Countries (OPEC).

[20] Algeria, Country report…, cit., p. 7.

[21] World Bank (2019).

[22] Dati relativi a ottobre 2019. IMF Data Mapper, International Monetary Fund. 

[23] Dati relativi al 2019. “Unemployment, youth total (% of total labor force ages 15-24) (modeled ILO estimate) – Algeria”, World Bank Database.

[24]CIA World Factbook, Algeria.

[25] Algeria, Country Report…, cit.

[26] Selma Kasmi, L’économie algérienne ne pourra pas résister longtemps au blocage politique, Sputnik, 21 ottobre 2019.

[27] S. Elliot, “Algeria’s new hydrocarbon law comes into force amid output slump”, S&P Global Platts, 6 gennaio 2020.

[28] “Le Roi du Maroc Mohammed VI félicite le président élu Abdelmadjid Tebboune”, Algèrie Press Service, 15 dicembre 2019.

[29] A. Chahir, “Morocco’s king and Algeria’s generals: The standoff continues”, Middle East Eye, 14 gennaio 2020.

[30] “Libya’s neighbours meet in Algiers in bid to diffuse crisis”, France 24, 23 gennaio 2020.

[31] L. Ghanmi, “Algeria seeks revived diplomatic role through Libya mediation”, The Arab Weekly, 26 gennaio 2020.

[32] B. Goumrassa, “Algeria Seeks Sending African Military Troops to Enforce Libya Ceasefire”, Asharq Al-Awsat, 2 febbraio 2020.

[33]Army detachment targeted by car bomb attack in Timiaouine, one soldier killed, Algérie Press Service, 10 febbraio 2020.

[34] Algeria, Country Report…, cit., p. 20.

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Federico Borsari
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