Questo giugno, i flussi di gas russo verso l’Europa si sono ridotti del 75% rispetto all’anno scorso. Malgrado questi tagli, sinora l’Italia ha resistito molto bene: fino a maggio, le importazioni totali non erano diminuite rispetto a un anno fa. Ma con giugno, e un ulteriore calo delle forniture russe, le cose iniziano a farsi più complicate.
Il mese scorso le importazioni italiane sono infatti calate di un valore annualizzato di 8 miliardi di metri cubi (Gmc/a), da 74 a 66, a fronte di un (ulteriore) calo delle forniture russe di circa 4 Gmc/a. Se continuassimo così, significherebbe che nel corso di dodici mesi mancherebbe all’appello circa l’11% del gas necessario ai consumi italiani. E non possiamo giustificare il calo di giugno con il fatto che ci si trovi in estate: è proprio durante questi mesi che l’Italia fa scorte per prepararsi a soddisfare il picco della domanda invernale, riempiendo gli stoccaggi. La controprova è nei fatti: negli ultimi vent’anni i flussi di importazioni estive non vedevano un calo rispetto ai flussi invernali.
Cosa sta succedendo, quindi? Il problema è che abbiamo già raggiunto la capacità massima di importazione su quasi tutti i fronti che ci permettono di diversificare dalle forniture russe.
Fornitori a confronto
L’Italia importa gas attraverso 5 principali fonti di approvvigionamento. L’Algeria, che negli ultimi mesi ha sostituito la Russia come principale fornitore di gas, ha già aumentato in misura significativa le sue forniture, da 16 Gmc/a (nel quinquennio 2015-2019) a 23. In questo caso i tubi del gasdotto Transmed potrebbero accomodare ancora circa 7 Gmc/a, ma Algeri non riesce ad aumentare ulteriormente la produzione nel giro di pochi mesi.
Un’altra fonte fondamentale è il TAP, il gasdotto che dalla fine del 2020 trasporta in Italia il gas naturale proveniente dall’Azerbaijan. Quest’ultimo non solo ha già raggiunto la sua capacità massima, ma al momento sta addirittura trasportando una quantità leggermente superiore al suo massimo nominale annuale (che di solito si riduce a causa di periodi di manutenzione nel corso dell’anno, e che invece per il 2022 non sono previsti). Nel caso del TAP è già in corso uno studio di fattibilità per raddoppiarne i flussi, ma per arrivare alla sua attivazione ci vorranno almeno 4 anni.
Ci sono poi le importazioni provenienti dalla Libia, un fornitore che sia per giacimenti di gas che per vicinanza geografica avrebbe le potenzialità per diventare un’alternativa alla Russia. Il problema in questo caso non è tecnico, bensì politico: l’instabilità del Paese fa sì che a oggi i gasdotti siano addirittura meno pieni di quanto lo fossero nel 2015-2019, trasportando solo un quarto del massimo consentito (2,6 Gmc/a vs circa 11).
Esistono infine altri gasdotti che ci portano il gas dal resto dell’Europa (in particolare da Paesi Bassi e Norvegia) e che, per ora, ci hanno continuato a dare una mano. Qui le importazioni si aggirano intorno ai 6 Gmc/a, più o meno in linea con il 2015-2019, ma più il resto d’Europa avrà bisogno di gas, meno ne arriverà in Italia.
Insomma, con i gasdotti esistenti non riusciremo a sopperire a una interruzione totale delle forniture di gas russo, almeno non nel breve periodo. La soluzione più rapida per aumentare le fonti alternative sembrerebbe quindi il gas liquefatto in arrivo via mare. Il GNL in Italia costituisce ad oggi il 20% delle importazioni totali e viene rigassificato e immesso in rete attraverso tre impianti (a Rovigo, La Spezia e Livorno). Ma i tre rigassificatori italiani oggi stanno già lavorando al massimo (15 Gmc/a) e per aumentare la capacità di rigassificazione nazionale Snam ha annunciato l’acquisto di una nave FSRU (da 5 Gmc/a), che però è al momento in viaggio verso l’Italia e arriverà (probabilmente al porto di Piombino) ad agosto. Per la sua connessione alla rete gas italiana e il rilascio delle autorizzazioni a operare si potrebbe però dover attendere fino alla primavera del 2023.
L’inverno del nostro scontento
La situazione, insomma, è complicata. A giugno l’Italia ha fatto fatica a trovare alternative alla ulteriore improvvisa riduzione di forniture dalla Russia, e se la situazione dovesse continuare così rimarrebbe scoperto l’11% dei consumi annui nazionali. E Mosca ha ancora spazio per tagliare ancora. Certo, considerati i tagli già operati il mese scorso, da luglio il Cremlino avrà un margine di manovra minore: potrà tagliare “solo” 8 Gmc/a, e non più i 15 Gmc/a riportati nel grafico qui sopra.
Ma non si tratta esattamente di una buona notizia. Se Mosca dovesse decidere di chiudere completamente i rubinetti, l’ultimo taglio sarà quello che farà più male. L’Italia si troverebbe infatti di fronte a un deficit di forniture equivalente a ben il 22% dei suoi consumi annui, cioè a una situazione di scarsità raddoppiata rispetto a quella dell’ultimo mese.
Un ammanco di circa 16 Gmc/a, che costringerebbe a ridurre non solo i consumi industriali (il che renderebbe sempre più concrete le prospettive di una crisi economica) ma anche la produzione di energia elettrica e i consumi finali per riscaldamento. Una situazione in cui ormai la strategia di ricatto russa è del tutto evidente. E dalla quale, purtroppo, non è semplice trovare rapide vie d’uscita.