L’atmosfera alla vigilia delle elezioni presidenziali in Russia è molto effervescente a causa di un’inattesa attivazione della società civile, a partire dall’ufficializzazione dei risultati delle elezioni alla Duma del 4 dicembre 2011. Pochi giorni dopo migliaia di moscoviti sono scesi in strada per dare vita a una imponente e variegata manifestazione, la più grande protesta a Mosca dai tempi della perestroika e della dissoluzione dell’Unione Sovietica.
Quali sono le cause di questo movimento di protesta? Sicuramente c’è stato un effetto contagio da parte della Primavera araba. Ma come dimostra la storia contemporanea i soli fattori esterni non sono sufficienti a comprendere e spiegare dinamiche così complesse. La Rivoluzione arancione in Ucraina di fine 2004 non ebbe, per esempio, alcun effetto sul precedente ciclo elettorale russo (2007-2008), a differenza di ciò che si attendevano molti esperti e analisti in Occidente.
Per questo ciò che accade oggi in Russia deve essere letto in chiave interna e non soltanto analizzando il comportamento della classe media nelle grandi città russe. In generale, una nuova classe media era già emersa durante il precedente ciclo elettorale (2007-2008) in quanto quelli erano gli anni del cosiddetto “decennio grasso”, il periodo della continua crescita dell’economia russa grazie agli alti prezzi del petrolio. Tale benessere aveva consentito di aumentare i salari che in molte città russe hanno addirittura superato i livelli delle retribuzioni nell’Ue. Tuttavia in quel periodo la classe media non ha avanzato richieste politiche, né ha espresso la volontà di un maggiore coinvolgimento nella gestione della cosa pubblica. Mi sembra che il catalizzatore attuale dell’attivismo sociale della classe media sia proprio la crisi del 2009 in quanto si teme che il livello di benessere e il nuovo stile di vita raggiunti in precedenza possano essere compromessi.
Le motivazioni delle proteste russe non appaiono perciò troppo dissimili da quelle che hanno alimentato il movimento newyorkese di “Occupy Wall Street”, che pacificamente denuncia i guasti del capitalismo finanziario e quello degli “Indignados” europei che contestano il sistema bancario e auspicano maggiore equità e più lavoro. In questi due casi è stata proprio la crisi a mettere in moto la protesta popolare e si è assistito alla trasformazione della consumerist society in società dei cittadini. Affermo questo non in riferimento alle Ong che sono sempre state attive sia nell’Ue che negli Usa, ma alla classe media, intesa sia come white collars che come blue collars.
Negli Stati Uniti il passaggio da semplici consumatori a cittadini è stato ancora più interessante che nell’Ue. Il movimento “Occupy Wall Street” ha ricordato a molti in Russia il senso civico che emerse duranti i primi anni della perestroika. L’euforia che si coglieva al parco Zucotti a New York mostra che molti dei partecipanti a queste proteste per la prima volta si sono sentiti non semplicemente consumatori, felici della propria vita, ma cittadini finalmente consapevoli. Un esempio molto interessante è il discorso (postato su Youtube) – una sfilza di slogan popolari e piuttosto banali – che il filosofo sloveno Slavoj Zizek ha pronunciato a parco Zucotti e che i presenti hanno ripetuto frase dopo frase per circa mezz’ora. Tutto ciò mi ha fatto tornare alla mente le prime proteste di massa ai tempi della perestroika. Ed è esattamente la trasformazione della classe media da consumatori in cittadini in seguito ai guasti della crisi che ha spinto molti russi a scendere in piazza nelle grandi città.
Alle preoccupazioni per le conseguenze dell’esito delle elezioni presidenziali si aggiunge una certa apprensione dei russi rispetto alla stabilità monetaria europea e alla tenuta dell’euro. Sin dall’inizio della crisi dell’euro in Russia si sono delineate due tendenze contrapposte rispetto a questo tema. Da una parte, una parte dell’opinione pubblica russa ha espresso un certo compiacimento nel constatare che anche l’Ue stava attraversando un momento critico sia in termini economici che di clima di opinione e quindi di legittimità della stessa costruzione europea. Questo sentimento si spiega col fatto che l’opinione pubblica russa si è stancata delle “lezioni” impartite dall’Ue al paese e dell’atteggiamento di superiorità ostentato da alcuni suoi funzionari. Si è parlato a lungo di “neo-imperialismo” e “neo-colonialismo” per descrivere il rapporto asimmetrico fra Ue e Russia. Questa insofferenza è emersa soprattutto durante l’amministrazione Obama. In seguito alla politica del reset the button del 2009, il presidente statunitense ha abbandonato i tradizionali toni paternalistici nei confronti della Russia e ha optato per un approccio più pragmatico.
Un ruolo importante nel giudizio dei russi nei confronti dell’Ue lo ha giocato il recente rafforzamento dei rapporti strategici russo-cinesi. Solo nell’ultimo anno (e in relazione con la crisi dell’euro) si può cogliere un cambiamento di fondo nel tono e nelle dichiarazioni di molti esperti e politologi cinesi. A partire dall’estate-autunno 2011 molti di loro hanno iniziato a parlare apertamente di un mondo futuro sino-centrico, di come l’ordine mondiale sia entrato in una fase di trasformazione senza ritorno indietro (prima i cinesi si rifiutavano di trattare di questi temi e sottolineavano che il loro paese non nutre ambizioni globali). In questa nuova prospettiva, i cinesi hanno iniziato a definire la Russia come il “sostegno strategico” o come la “schiena strategica” della Cina e hanno progressivamente cercato una convergenza con Mosca riguardo a decisioni e posizioni in ambito internazionale. Il formato Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) ha contribuito in maniera rilevante a questa nuova tendenza. Non bisogna dimenticare che la Cina è l’unica grande economia che nonostante la crisi e, a differenza dell’Ue, ha continuato a crescere. Questo dato ha spinto molti a considerare la possibilità che la Cina possa sostituirsi all’Ue come partner economico strategico della Russia e che l’aquila russa possa realmente guardare non più solo a ovest ma sempre di più anche a est. Nel corso del 2011 la Russia ha perduto perciò percettibilmente interesse verso l’Ue e ha ri-orientato i suoi interessi verso la Cina.
Allo stesso tempo, in Russia si riscontra anche un’altra posizione che rimane tuttora molto forte. Dal momento che l’Ue è il cliente principale delle esportazioni russe di gas e petrolio, il permanere della crisi e un’eventuale diffusione della recessione nei diversi paesi membri dell’Unione Europea finirà con l’avere riverberi negativi sulla stessa crescita russa. È necessario perciò che la Russia adotti misure serie per aiutare i paesi dell’Ue a uscire dalla crisi perché solo così sarà in grado di salvaguardare anche i propri interessi economici. Questa è stata anche la posizione del presidente Medvedev. La Russia non ha perciò esitato a sostenere l’euro sia all’interno del Fmi che, indirettamente, sul mercato, acquistando le obbligazioni dei paesi della zona euro. La Russia ha quindi accolto positivamente la formazione di un nuovo governo in Italia sotto la guida dell’ex commissario europeo Mario Monti. È nell’interesse russo che l’Italia si salvi e le chance che Monti porti il paese e il suo sistema finanziario fuori dalla crisi sono più alte (rispetto a quello che è riuscito a fare Berlusconi). La Russia è pronta a sostenere l’Italia in questi sforzi. Tuttavia a Mosca si teme che il governo Monti possa vacillare a causa della crescente opposizione dei sindacati alle misure di contenimento della spesa pubblica e dell’ostilità di varie lobby a una liberalizzazione di alcuni comparti dell’economia. Si potrebbe aprire allora una pericolosa fase di instabilità che potrebbe creare una grave falla a livello europeo.
È probabile anche che la nuova presidenza russa sia più assertiva nel relazionarsi con Bruxelles. La nomina a presidente del Comitato per gli affari esteri della nuova Duma del conduttore televisivo Aleksei Pushkov (sostituisce Konstantin Kosachev, politico dallo stile diplomatico e moderato), noto per le sue simpatie per visioni radicali e per il rafforzamento della posizione internazionale russa, va in questa direzione. La Russia continuerà la politica dell’energy superpower sia nei rapporti con i paesi dello spazio post-sovietico che con quelli europei. Dopo l’avvio del Nord Stream l’attenzione principale sarà sulla realizzazione dell’altro progetto di gasdotto – South Stream. Relativamente a quest’ultimo appare evidente la stretta collaborazione costruttiva con l’Italia in quanto proprio l’Italia potrebbe in prospettiva diventare il consumatore-chiave del gas trasportato dal South Stream, mentre Eni è già uno dei partner principali di Gazprom nella costruzione di tale gasdotto. Così i rapporti tradizionalmente stabili tra l’Italia e la Russia riceveranno uno stimolo aggiuntivo per il loro ulteriore rafforzamento.
Dal momento che l’ex cancelliere tedesco Gerhard Schröder presiede il consorzio del Nord Stream, a Mosca si vocifera (sono apparsi alcuni articoli in tono ironico) che la stessa carica per il South Stream potrebbe ora toccare all’ex presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. Tuttavia questa opzione sembra poco plausibile.
Non è un segreto che la leadership russa abbia avuto relazioni molto strette con l’ex presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. Il presidente e poi primo ministro della Federazione Russa, Vladimir Putin, aveva costruito un rapporto personale di amicizia ed empatia con Berlusconi. L’Italia e la Russia hanno maturato visioni comuni per le questioni di politica internazionale e hanno sviluppato in maniera attiva i loro rapporti bilaterali sia politici che economici. Per di più l’Italia di Berlusconi ha spesso contribuito a stimolare all’interno dell’UE un dibattito su tematiche di particolare interesse per la Russia come la questione dell’abolizione dei visti tra l’area Schengen e la Russia, che costituisce uno dei punti più critici nel dialogo Mosca-Bruxelles. Ebbene la proposta di abolire il regime dei visti è stata per la prima volta lanciata dallo stesso Silvio Berlusconi durante la presidenza italiana dell’Ue nel 2003.
Inoltre, in occasione del conflitto russo-georgiano dell’agosto 2008, l’Italia ha sostenuto l’azione diplomatica svolta dalla presidenza di turno detenuta dal presidente francese, Nicolas Sarkozy, che ha mediato fra Georgia e Russia al fine di pervenire a un accordo (12 agosto) in sei punti per il cessate-il-fuoco. L’Italia si è opposta anche alla convocazione di una riunione di emergenza dei capi di stato e di governo come invocato da Lettonia, Polonia, Repubblica Ceca e Svezia e all’applicazione di sanzioni nei confronti di Mosca. L’Italia si è alla fine allineata alla decisione del Consiglio europeo straordinario (1 settembre 2008) che ha definito la reazione russa in Georgia sproporzionata. Il presidente del Consiglio italiano tuttavia sottolineò la propria perplessità sul concetto di “proporzionalità della reazione” in un contesto complesso come quello della Georgia.
Non sorprende quindi che, in seguito alle dimissioni dell’ex premier italiano, Putin abbia espresso pubblicamente il suo apprezzamento nei confronti di Berlusconi. Negli ambienti politici russi si è sentita, diciamo, una certa nostalgia per Berlusconi dopo la sua uscita di scena, temendo che ciò potesse avere un impatto negativo sulle relazioni con Roma. La reazione russa al nuovo governo italiano è stata di neutralità, nonostante non ci fossero motivi per essere critici nei suoi confronti. L’Italia insieme alla Germania è tra i partner economici dell’Ue tra i più importanti della Russia e un default dell’economia italiana non corrisponde affatto agli interessi russi, anzi a Mosca c’è molta apprensione sulla tenuta dell’euro. Nella misura in cui il nuovo primo ministro Mario Monti sarà in grado di stabilizzare l’Italia e quindi di salvaguardare l’euro, ciò sarà estremamente apprezzato dalla leadership russa.
In generale i politici russi non si attendono cambiamenti sostanziali nei rapporti con l’Italia. L’interdipendenza energetica fra Italia e Russia è molto forte così come molto attive sono le piccole e medie imprese (Pmi) italiane in Russia. L’operato di queste ultime viene coordinato dalle Camere
di commercio delle diverse regioni italiane all’interno di accordi tra le regioni italiane e quelle russe. Il totale degli investimenti diretti italiani in Russia supera i 10 miliardi di euro e se togliessimo gli investimenti diretti esteri in Russia provenienti da paesi membri Ue, quali Cipro, Lussemburgo, Gran Bretagna, il cui totale ammonta a circa 20-40 miliardi di euro (una parte importante di questi però consiste in capitali russi che ritornano in patria), allora l’Italia risulterebbe tra i leader Ue in termini di investimenti in Russia.
La storia degli ultimi vent’anni mostra che l’Italia è sempre stata, sotto qualsiasi governo, desiderosa di instaurare un dialogo costruttivo con la Russia. Ad esempio, proprio nel 2000, quando l’Italia era guidata da un governo di centro-sinistra, il ministro degli Esteri Lamberto Dini si adoperò in sede di Consiglio d’Europa (l’Italia ne deteneva allora la presidenza) affinché la Russia non fosse sospesa dall’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa a causa della seconda guerra cecena. Quindi Mosca si attende un mantenimento delle dinamiche positive nei rapporti politici bilaterali anche con il nuovo governo.
Dubbi sorgono tuttavia per altri aspetti. In primo luogo, l’influenza della Russia sui rapporti italo-americani. Silvio Berlusconi ha cercato di presentare l’Italia come un “ponte” tra Washington e Mosca. E questa politica era molto efficace, soprattutto durante l’amministrazione Bush. In quel periodo, grazie ai suoi rapporti personali sia con Bush che con Putin, Berlusconi riuscì ad ammorbidire diverse tensioni tra la Russia e gli Stati Uniti. Alla realizzazione di questo “ponte” ha contribuito molto anche l’operato dell’ex ministro degli Esteri Franco Frattini, considerato a Mosca uno dei politici italiani più filo-americani. Nonostante l’amministrazione Obama e un dialogo aperto con gli Usa, la Russia tuttavia rimane interessata alla presenza di simili “ponti” allo scopo di elaborare dei framework di dialogo più flessibili e trovare forme di compromesso su questioni particolarmente complicate nei rapporti russo-americani (quali la difesa anti-missile e altre). Di conseguenza è nell’interesse della Russia che l’Italia perseveri in una politica estera di mediazione fra Washington e Mosca. Per ora il governo guidato da Monti non ha avuto occasione di dare segnali chiari su questo punto. La nomina a ministro degli Esteri di Giulio Terzi di Sant’Agata, ex ambasciatore italiano negli Usa, indica però che avere stretti rapporti con Washington sarà una delle priorità della politica estera italiana.
Un’altra questione che ancora non appare chiara a Mosca è in che modo i rapporti tra Roma e Bruxelles all’interno dell’Ue influenzeranno i rapporti con Mosca. Prima Berlusconi conduceva una politica estera più autonoma da Bruxelles e questo consentiva all’Italia di posizionarsi come “ponte” non solo tra Mosca e Washington, ma anche tra Mosca e Bruxelles. Tuttavia, Berlusconi non era visto positivamente da alcuni politici e funzionari Ue e, non è un segreto, che molti a Bruxelles esplicitamente auspicassero le sue dimissioni. Ciò ovviamente ha indebolito il suo potenziale “lobbistico” presso la Commissione europea. È evidente ora che Mario Monti, a differenza di Berlusconi, con la sua politica estera non si permetterà una simile autonomia dalla Commissione europea, ciò nonostante la sua autorità a Bruxelles è senza dubbio decisamente più elevata rispetto a quella del suo predecessore. Se la Russia riuscisse ad accordarsi su alcune questioni cruciali con l’Italia, allora nuovamente essa potrebbe rafforzare la propria posizione in ambito europeo e perseguire più agevolmente i propri interessi nazionali.