Nella tarda mattinata di oggi, nel centro di Parigi, a poca distanza dall’ex sede del giornale satirico Charlie Hebdo (oggetto di un grave attacco terroristico il 7 gennaio 2015), due persone hanno aggredito in strada alcuni passanti a colpi di machete. Due persone sarebbero rimaste ferite, in maniera grave. La polizia ha successivamente fermato i sospetti.
Al momento, non vi sono rivendicazioni, ma le modalità dell’attacco e, ancor più, la vicinanza fisica all’ex redazione di Charlie Hebdo fanno supporre che l’atto di violenza possa avere una matrice ideologica. Quest’ipotesi pare confermata anche dalla decisione formale della Procura nazionale antiterrorismo di assumere rapidamente l’incarico delle indagini.
Se così fosse, ci troveremmo di fronte a un altro attacco terroristico di ispirazione jihadista in Europa. Secondo le informazioni attualmente disponibili, le vittime dell’aggressione non sono state selezionate in anticipo; si tratterebbe quindi di un attacco indiscriminato, come la maggior parte di quelli compiuti in Occidente negli ultimi anni (l’attentato contro la redazione di Charlie Hebdo, sotto questo profilo, costituisce quindi un’eccezione). A contare è invece, come detto, il luogo dell’aggressione, che, con la sua profonda valenza simbolica, suggerisce in maniera lampante un collegamento diretto con la strage del 2015. La selezione dell’arma non sorprende; le armi da taglio, facili da acquisire e da utilizzare, sono infatti sempre più spesso preferite a ordigni esplosivi e armi da fuoco nell’arsenale dei terroristi jihadisti attivi in Europa.
In attesa di conferme definitive sulla matrice dell’aggressione, si può osservare che la Francia continua a essere il paese più esposto al rischio terrorismo, non soltanto in Europa, ma in tutto l’Occidente.
Innanzitutto, è nettamente la nazione che ha subito più atti terroristici di matrice jihadista, quantomeno dall’ascesa dell’auto-proclamato Stato Islamico (IS) nel giugno del 2014 (oltre 30 attacchi, secondo dati dell’autore). Soltanto quest’anno si contano già quattro episodi che appaiono riconducibili a questa causa estremistica, nonostante le misure di restrizione al movimento e i controlli dovuti alla pandemia di COVID-19. Alla fine di agosto, il ministro dell’Interno Gerald Darmanin aveva peraltro dichiarato che la minaccia terroristica rimaneva “estremamente elevata nel paese”, confermando altresì che la matrice jihadista continuava a essere la più preoccupante.
La Francia è anche il paese occidentale da cui sono partiti più foreign fighters jihadisti diretti in Siria e Iraq, circa 2.000 persone (in Italia, per avere un confronto, risultano essere soltanto 144). Su questo fronte, nonostante le sollecitazioni dell’amministrazione Trump, Parigi, come molte altre capitali europee, non ha mostrato di essere attivamente impegnata a rimpatriare jihadisti con passaporto nazionale detenuti nelle carceri irachene o in custodia nei campi curdi in Siria. Tale riluttanza si deve a varie ragioni, legate tra loro, di carattere politico, giuridico, economico e, soprattutto, di sicurezza.
La scena jihadista francese è presumibilmente la più ampia in Europa. Per esempio, secondo le recenti dichiarazioni del ministro dell’Interno, il database nazionale dei presunti radicali islamisti considerati pericolosi per la sicurezza nazionale include oltre 8.000 individui.
Parigi, ben consapevole della minaccia, è da anni particolarmente impegnata nella repressione dell’estremismo violento. Per esempio, secondo dati ufficiali, nel 2019 sono state emesse ben 87 sentenze relative a casi di terrorismo jihadista. Nelle carceri sono già presenti oltre 500 individui condannati per reati di terrorismo, in aggiunta a circa 900 detenuti valutati come radicalizzati; è utile ricordare, oltretutto, che alcuni attacchi terroristici hanno avuto luogo addirittura all’interno di istituti penitenziari, anche negli ultimi mesi.
L’esposizione della Francia è aumentata ulteriormente nelle ultime settimane, per una combinazione di circostanze. In primo luogo, all’inizio di questo mese, dopo un rinvio dovuto alla pandemia, si è finalmente aperto, con grande visibilità mediatica, il processo ai presunti complici degli attacchi jihadisti eseguiti proprio contro Charlie Hebdo ed altri bersagli di Parigi tra il 7 e il 9 gennaio 2015. In occasione dell’avvio di questo processo, la redazione del giornale satirico (che ora lavora in una località non nota al pubblico, per ragioni di sicurezza) ha deciso di ripubblicare alcune delle controverse caricature al Profeta dell’Islam che indussero i fratelli Kouachi a realizzare l’attacco nel 2015.
La ripubblicazione di queste caricature ha scatenato l’ira e il desiderio di rivalsa di militanti e simpatizzanti jihadisti a livello transnazionale. Per esempio, il 10 settembre Al-Qaida nella Penisola Arabica, con base nello Yemen, ha diffuso un comunicato ufficiale in arabo che invitava esplicitamente “tutti i musulmani” a vendicarsi contro Charlie Hebdo e sosteneva che la Francia fosse in cima alla lista dei nemici. Il giorno successivo, in occasione dell’anniversario dell’11 settembre, anche l’organizzazione centrale di Al-Qaida ha rivolto minacce contro il giornale satirico all’interno di una pubblicazione in inglese.
Si aggiunga infine che i militari francesi sono attivamente impegnati in Sahel in una complessa attività di contrasto a gruppi armati jihadisti. Da ultimo, il 17 settembre, nel suo bollettino settimanale in arabo al-Naba’, il cosiddetto Stato Islamico ha rivendicato l’uccisione di sei cooperanti francesi in Niger.
Negli ultimi mesi, il crollo del cosiddetto “califfato” e la morte dello stesso “califfo” (27 ottobre 2019) nel Levante e, in aggiunta, la flessione nel numero e nella letalità degli attacchi terroristici in Occidente hanno sensibilmente ridotto l’attenzione rivolta la causa transnazionale dello jihadismo. Nondimeno, episodi come quello avvenuto oggi a Parigi ci ricordano che la minaccia non è affatto venuta meno.