America Latina: il rischio di un’altra “década perdida”? | ISPI
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Il mondo nel 2021

America Latina: una falsa (ri)partenza?

Antonella Mori
24 gennaio 2021

Dal punto di vista sanitario l’America Latina è stata la regione emergente più colpita dalla pandemia e, purtroppo, i contagi nell’area stanno nuovamente aumentando. Dal punto di vista economico la recessione nel 2020, la peggiore da più di un secolo, si è accodata ad un periodo di bassa crescita iniziato già nel 2014 e a causa della pandemia la regione rischia di soffrire un’altra “década perdita”. Il fatto che l’attività economica negli ultimi mesi del 2020 sia diminuita meno che in altre parti del mondo potrebbe suggerire un modesto ottimismo per i mesi a venire. In realtà, durante la prima ondata della pandemia (maggio-luglio 2020) i paesi dell’area avevano imposto misure di contrasto molto stringenti e prolungate, che avevano contribuito alla forte caduta dell’attività. Se, come sembra, nei prossimi mesi i maggiori vincoli fiscali e il crescente timore di tensioni sociali indurranno i governi a politiche meno aggressive, la crescita economica dovrebbe essere più sostenuta che nel 2020, possibilmente al costo di maggiori infezioni e di una ulteriore crescita delle iniquità nella distribuzione del reddito nell’area.

Mai come quest’anno l’andamento dell’economia nei prossimi dodici mesi, a livello regionale e nel resto del mondo, dipenderà dall’evoluzione di fattori non economici come la diffusione del virus Covid-19 e l’efficacia delle campagne di vaccinazioni per fermarlo. Inutile dilungarsi su quanta incertezza vi sia su questi fattori. Per questa ragione è necessario usare estrema prudenza nel leggere le previsioni di crescita per il 2021 anche quando le fonti sono autorevoli e relativamente concordi: sia la Commissione Economica per l’America Latina e i Caraibi (ECLAC, Preliminary Overview of the Economies of Latin America and the Caribbean 2020, 16 December 2020) che la Banca Mondiale (World Bank, Global Economic Prospects, January 2021) al momento prevedono una crescita economica della regione del +3,7%. Oltre ad un naturale rimbalzo dopo una prolungata compressione della domanda aggregata, vale la pena sottolineare alcuni fattori esterni che potrebbero influenzare positivamente la dinamica futura della congiuntura economica latinoamericana. L’aumento dei prezzi delle materie prime, che nei mesi passati sono stati spinti al rialzo dalla ripresa della domanda asiatica, in particolare cinese, dovrebbe avere una ricaduta positiva per i paesi esportatori di commodities dell’America del Sud, in particolar luogo Cile, Argentina, Brasile e Perù. In secondo luogo,  un’economia USA che cresce a ritmi accelerati, soprattutto se la nuova presidenza Biden varerà un ulteriore piano di stimolo, sarà un traino importante per il settore manifatturiero centroamericano, e messicano in particolare. Infine, l’abbondanza di liquidità sui mercati finanziari internazionali e i tassi d’interesse molto bassi dovrebbero facilitare il finanziamento sui mercati internazionali dei governi latinoamericani. Nei primi nove mesi del 2020 l’indebitamento (come percentuale del prodotto interno lordo) dell’America Latina è aumentato dal 46,0% al 53,4%; questi valori, anche se bassi relativamente a quelli di numerosi paesi avanzati, in numerosi paesi emergenti possono associarsi a situazioni di criticità, soprattutto se dovessero cambiare le condizioni sui mercati dei capitali.

In base alle previsioni della Commissione Economica per l’America Latina e i Caraibi, su 33 paesi dell’America Latina e dei Caraibi, solo il Venezuela nel 2021 avrà un tasso di crescita negativo (-7%).  Dal 2015 questo paese sta vivendo una crisi drammatica su tutti i fronti: economico, politico, sociale, umanitario e ora anche sanitario. Per converso, le due più grandi economie della regione, Brasile e Messico, che insieme producono circa il 60% del prodotto interno lordo dell’area, dovrebbero crescere rispettivamente al +3,2% e +3,8%. Già negli ultimi mesi del 2020 l’economia brasiliana si era ripresa con vigore e il Paese ha chiuso l’anno con una contrazione del prodotto interno lordo di circa -5,3%, un risultato migliore della media latinoamericana (-7,7%). Il governo brasiliano intende aumentare in modo consistente la spesa per investimenti, in particolare infrastrutturali, e questo dovrebbe sostenere la crescita economica nel 2021. Per il Messico il 2020 è stato un anno molto peggiore: come il Brasile, ha dovuto fronteggiare diminuzioni senza precedenti della domanda interna ed esterna ma, a differenza del Brasile, in Messico la spesa pubblica durante la pandemia è cresciuta pochissimo. La mancanza di una politica fiscale espansiva spiega in gran parte perché nel 2020 la contrazione in Messico (-9%) sia stata molto più profonda di quella dell’area nel suo complesso. E d’altronde la diversità nella politica fiscale adottata dai due paesi si riflette nei diversi dati sul disavanzo primario: mentre il Messico nei primi nove mesi dell’anno scorso ha avuto addirittura un piccolo avanzo (+0,4%, in percentuale al PIL), il disavanzo primario (quindi senza includere i pagamenti per interessi) in Brasile ha sfiorato il 10% del PIL. Il Brasile, che già aveva un debito pubblico elevato prima della pandemia, nel 2020 ha visto un aumento di circa 15 punti percentuali del rapporto debito/Pil, che ha toccato il 90%. Nonostante questa evoluzione preoccupante degli indicatori di finanza pubblica, al momento non ci sono timori per la sostenibilità del debito brasiliano nel 2021, grazie ai bassi tassi d’interesse, domestici e internazionali, e alle elevate riserve di valuta estera del paese.

Come altrove, la ripresa dell’attività economica nella regione sarà, con ogni probabilità, più veloce nel settore industriale, e in particolare in quello manifatturiero, che nei servizi. I consumatori tendono a comportarsi prudentemente anche in assenza di divieti formali alla mobilità, a maggior ragione in paesi con livelli di contagi ancora alti. Il settore turistico, che rappresenta l’attività economica più importante per molti paesi dei Caraibi, è probabile che veda un aumento molto modesto della domanda nel 2021, e un miglioramento sostanziale sarà possibile solo in seguito ad un’elevata diffusione (ed una comprovata efficacia) dei vaccini.

Si stima che nel 2020 il flusso di investimenti diretti esteri in entrata in America Latina e nei Caraibi si sia dimezzato rispetto agli anni precedenti. Ci sono buone ragioni per pensare che, superata la pandemia, gli investimenti diretti dall’estero non solo torneranno ai livelli pre-crisi, ma anzi che li supereranno. La pandemia sembra infatti aver accelerato il processo di regionalizzazione del commercio mondiale, con un accorciamento delle catene globali di fornitura. Questo processo di ridefinizione della globalizzazione viene facilitato da accordi commerciali quali il nuovo accordo USMCA tra Stati Uniti, Messico e Canada, che è entrato in vigore il 1° luglio 2020, e dall’Accordo di Associazione Unione Europea – Mercosur, che però è ancora in attesa di essere ratificato.  L’accordo USMCA ha ridotto le incertezze che aleggiavano sulle relazioni commerciali tra Messico e Stati Uniti e ricollocato il Messico in una zona di chiaro interesse per le imprese che intendono riavvicinare le proprie catene globali del valore al continente nord americano.

Infine, sulla base di quanto fatto dalla presidenza Obama-Biden, è plausibile aspettarsi che la politica dell’amministrazione Biden abbia implicazioni positive per l’economia di Cuba, Guatemala, Honduras ed El Salvador. Nei confronti di Cuba, il governo americano tornerà probabilmente a una politica di maggior apertura in termini di flussi di rimesse, viaggi e commercio di alcuni prodotti, anche se è ancora prematuro prevedere un abbandono dell’embargo. Rispetto ai tre paesi del Triangolo del Nord del Centro America è invece più plausibile una maggior enfasi sull’aiuto allo sviluppo locale come argine ai flussi migratori verso il Nord America. Più difficile è invece prevedere quale sarà la posizione dell’amministrazione Biden nei confronti della forte e crescente presenza cinese in America Latina e nei Caraibi: ci potrebbero infatti essere pressioni sui governi latinoamericani per arginare la presenza cinese qualora questa cominciasse a venire percepita come una minaccia per la sicurezza della regione, per esempio in alcuni settori tecnologici. Gli investimenti diretti cinesi nell’area e i flussi finanziari dalla Cina alla regione riceveranno quindi un’attenzione particolare da parte degli USA, che potrebbero anche cercare di competere con le proposte – commerciali o finanziarie – di origine cinese, con un potenziale beneficio per i paesi latinoamericani.

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AUTORI

Antonella Mori
Università Bocconi e ISPI

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