“In uno stato altamente centralizzato come la Russia, la capitale è forse l'unico posto che conta davvero quando si tratta di un eventuale cambio di regime”. Con queste parole il giornalista russo Leonid Ragozin commenta il clima a Mosca durante le ultime settimane. Lo scorso 10 agosto circa 50.000 sostenitori dell'opposizione (60.000 secondo alcuni gruppi come l’ONG White Counter; meno della metà secondo le autorità russe) si sono radunati nel centro di Mosca per una delle più grandi proteste autorizzate dal ritorno del presidente Vladimir Putin al Cremlino nel 2012, quando Piazza Bolotnaya divenne centro delle proteste anti-governative. Le mobilitazioni del 10 agosto non sono state un fatto isolato. Tutt’altro: iniziate già nel mese di luglio, continuano da allora a essere organizzate ogni fine settimana.
Il fattore scatenante è stata la decisione della commissione elettorale di impedire a diversi candidati dell'opposizione di presentarsi alle elezioni di domenica 8 settembre per il rinnovo della Duma della città di Mosca, cioè il municipio della capitale russa. Si tratta di un organo legislativo che influenza sempre più le politiche del sindaco Sergey Sobyanin, che nel 2018 venne rieletto per il suo terzo mandato come candidato indipendente, ma con l’appoggio del partito di governo Russia Unita. Sobyanin, sindaco finora popolare e benvisto sia dai moscoviti che, in certa misura, dai liberali russi e occidentali, è noto per aver reso la “Mosca che fu” – caotica e grigia – una metropoli vivibile, funzionale e, per molti versi, europea. “Una capitale ospitale e confortevole”, dichiarò Putin a pochi mesi dalla chiusura dei Mondiali di calcio ospitati dalla Russia l’anno scorso. Il sindaco è anche noto per essersi assicurato, nel 2014, la riconferma in una tornata elettorale ritenuta da diversi analisti trasparente, sconfiggendo l’attivista anti-corruzione Alexey Navalny, la figura più nota dell’opposizione politica nel paese. Tuttavia, Sobyanin è anche accusato di aver favorito un sistema elettorale che impedisce ai candidati dell’opposizione di essere rappresentati nel parlamento moscovita, svuotando quest’organo della sua legittimità. Secondo le nuove norme introdotte nel 2014 nel codice elettorale, infatti, i candidati non sostenuti da un partito devono raccogliere 5.000 firme per registrarsi. Sarebbero però 31 i candidati formalmente indipendenti, ma con legami di lunga data con Russia Unita, ad aver ricevuto circa 800 milioni di rubli (12 milioni di dollari) da sei fondazioni riconducibili al partito o all’organizzazione filogovernativa “All-Russia Popular Front”. Mentre questi candidati si sono registrati alle elezioni di domenica senza particolari problemi, ai candidati dell'opposizione è stata negata la registrazione adducendo motivi tecnici o mettendo in dubbio l’autenticità delle firme raccolte.
Tale pratica antidemocratica potrebbe portare a una crisi politica più vasta, con conseguenze spiacevoli per lo stesso Putin. Se le irregolarità nel processo di registrazione dei candidati sono il motivo che ha scatenato le proteste, queste ultime si sono rapidamente trasformate in proteste antigovernative, cavalcate anche dalla cosiddetta “opposizione anti-sistemica”, ovvero quella dei partiti e dei movimenti non rappresentati nella Duma. La repressione della polizia – accusata anche di eccedere nell’uso della forza – ha sicuramente contribuito ad acuire il malcontento e a rafforzare la volontà dei manifestanti di continuare a scendere in piazza. Il trattamento brutale nei confronti di alcuni manifestanti ha indignato molti cittadini. Come nel caso di Dmitry Vasilyev, un regista televisivo diabetico che, secondo l'agenzia di stampa russa RIA Novosti, sarebbe stato ricoverato in ospedale in gravi condizioni dopo l’arresto dello scorso 27 luglio, durante il quale sarebbe stato privato dell'insulina. Ad oggi, la polizia ha arrestato più di 2.000 persone durante le manifestazioni e alcuni attivisti, accusati di sommossa, rischiano diversi anni di prigione. Celebre è il caso di Kirill Zhukov, che il 4 settembre è stato condannato da una corte moscovita a tre anni di reclusione per aver tentato di sollevare la visiera dell’elmetto di un poliziotto.
Ma le irregolarità nel ciclo elettorale e la repressione delle proteste si aggiungono ad altri motivi che fomentano il malcontento a Mosca e in tutto il paese. Tra questi, il rallentamento dell’economia e il deterioramento delle condizioni di vita (anche a seguito delle sanzioni occidentali) e, soprattutto, il varo della recente riforma del sistema pensionistico, che innalza l'età pensionabile per gli uomini da 60 a 65 anni e per le donne da 55 a 60 anni in un paese dove l'aspettativa di vita media maschile è di 65,9 anni. Inoltre, la corruzione continua a rappresentare un problema: secondo Transparency International, la Russia è il 138simo su 180 paesi nell’indice di percezione della corruzione. La combinazione di tutti questi fattori ha portato ad un maggiore attivismo tra la popolazione. Secondo il Levada Center, tra i principali centri di ricerca indipendenti in Russia, il 53% dei russi ritiene che il governo non stia onorando le proprie responsabilità nei confronti dei cittadini e che debba dimettersi. Secondo un altro sondaggio di Levada, il numero di persone pronte a unirsi alle proteste contro il deterioramento del tenore di vita sarebbe del 28%, un dato rilevante alla luce dello scarso attivismo politico che si suole attribuire alla società russa.
Dunque, al di là della reputazione di Sobyanin, la posta in gioco in queste elezioni comunali è più alta. Naturalmente, Putin considera Mosca come un simbolo importante per la stabilità dell’intero paese. Infatti, sebbene questa domenica si voti in oltre 40 regioni per eleggere 16 governatori, 42 seggi in parlamenti regionali e 22 consigli comunali, tutti gli occhi sono puntati su Mosca. Le implicazioni del crescente malcontento a Mosca sono emblematiche. Infatti, ogni crisi che inizia nella capitale diventa, inesorabilmente, una crisi russa.