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Pubblicazioni per il Parlamento e il Ministero degli Affari Esteri

Approfondimento - Dal boom economico allo scoppio della crisi: luci e ombre dell’economia spagnola tra il 1994 e il 2012

17 gennaio 2013

La crisi finanziaria internazionale del 2008 non ha colpito la Spagna con la stessa forza con cui è esplosa negli altri paesi, grazie a quelle che allora erano considerate oculate politiche di supervisione bancaria che hanno impedito alle banche spagnole di operare nel mercato dei mutui subprime e che le hanno obbligate a mettere al riparo i loro bilanci. Da allora però le difficoltà dei mercati finanziari internazionali e lo scoppio della crisi del debito dell’area euro hanno reso manifeste le debolezze della Spagna dovute a squilibri interni ed esterni accumulatisi negli anni. La brusca correzione operata per superare questi squilibri ha trascinato il paese in una profonda recessione, provocando un’enorme perdita di posti di 

lavoro ed una forte reazione da parte della società. Sebbene all’inizio della crisi le finanze pubbliche sembrassero in ordine, le entrate erano in realtà eccessivamente legate alle tasse riscosse soprattutto nel settore edile e immobiliare. Il conseguente aumento del deficit è dunque legato al crollo delle entrate pubbliche causato dal rallentamento dell’economia e 

dall’attivazione degli stabilizzatori automatici, rappresentati principalmente da sussidi alla disoccupazione.  

Più in generale dopo la revisione da parte del Governo ellenico dei dati sul deficit e debito pubblico (oltre il 115% del PIL) nel 2009, si è innescata una nuova e più profonda fase della crisi, che da finanziaria è diventata crisi di fiducia nel debito sovrano dei paesi periferici della zona euro. Nel maggio 2010, Madrid, sotto le pressioni dell’UE, ha cambiato rotta e ha 

approvato un drastico programma di tagli da 15 miliardi di euro. Da quel momento, il rientro del deficit al 3% del PIL entro il 2013 è diventata la priorità del governo. Nel novembre 2011, il nuovo esecutivo di destra ha ulteriormente intensificato gli sforzi di riduzione del deficit, ha avviato altri enormi tagli e ha aumentato le tasse, accelerando inoltre il processo di riforme strutturali (a partire dal mercato del lavoro). Nel 2012 l’economia si contrarrà tra l’1,3% e l’1,7% e per il medio termine ci si aspetta la peggiore performance economica dell’OCSE dopo la Grecia (Fmi 2012).

 

Ormai è chiaro che la soluzione alla crisi del debito dell’Eurozona non può essere trovata solo dai governi nazionali, ma necessita di un deciso intervento a livello comunitario. Il governo spagnolo sta attualmente negoziando un piano di salvataggio delle proprie banche con le Istituzioni europee, al fine di ridurre il costo del suo indebitamento sempre più vicino a livelli insostenibili. In generale, il problema principale del paese non riguarda tanto le sue finanze pubbliche, quanto piuttosto l’assenza di una solida prospettiva di crescita economica. Diversamente dal caso della Grecia, in Spagna non è stato l’altissimo livello del deficit a portare alla crisi economica, ma al contrario è stata la crisi a generare crescenti livelli di deficit e debito.  

 

La politica pro-ciclica dell’attuale governo tesa al consolidamento dei conti pubblici sta aggravando la recessione, rendendo vani gli stessi sforzi di riduzione del deficit e provocando un circolo vizioso. È difficile immaginare come l’austerity da sola, senza una soluzione alla crisi dell’euro e un sostegno alle politiche espansive da parte delle altre economie più solide, possa 

riportare l’economia verso un sentiero di crescita.

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