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Pubblicazioni per il Parlamento e il Ministero degli Affari Esteri

Approfondimento - La crisi in Kirghizistan e le conseguenze per la stabilità regionale - Approfondimenti

15 novembre 2010

Il 2010 è stato un anno particolarmente violento per il Kirghizistan, piccola repubblica dell’Asia Centrale post-sovietica. Proteste popolari causate dagli aumenti delle tariffe per metano ed elettricità ed una coalizione alquanto eterogenea di élite hanno portato al secondo cambio di regime in cinque anni. A differenza del predecessore Askar Akaev, che aveva lasciato il potere in modo pacifico nel 2005, l’ex presidente Kurmanbek Bakiev e i suoi fedelissimi (in gran parte familiari stretti) hanno opposto resistenza, sia nella capitale Bishkek che nel natio sud del paese. La transizione è stata accompagnata nella primavera del 2010 da scontri violenti, che hanno causato circa 80 morti e centinaia di feriti.

Il governo provvisorio guidato da Roza Otunbaeva si è dimostrato fin da subito diviso e poco coerente. Inoltre, il nuovo governo ha subito palesato gravi difficoltà nel mantenere il controllo del paese, specialmente nelle regioni meridionali, fedeli al regime precedente. La situazione è precipitata in giugno quando si è verificata una serie di scontri violenti tra kirghizi e uzbeki.

Gli scontri del 10-14 giugno hanno causato almeno 400 morti e migliaia di feriti; interi quartieri della città di Osh sono stati messi a fuoco e rasi al suolo. Quelli che erano scontri di natura politica hanno assunto toni etnici. Questo non perché i rapporti tra le due comunità più numerose del Paese, i kirghizi e gli uzbeki, siano strutturalmente volti al conflitto; ma perché la minoranza uzbeka, oppressa durante la amministrazione di Bakiev, ha fin da subito appoggiato il nuovo governo e tale mossa è stata strumentalizzata dalle fazioni fedeli a Bakiev che hanno fatto del nazionalismo il collante dell’opposizione alle nuove autorità. Gli scontri nel paese hanno avuto risonanza oltre confine. Il vicino Uzbekistan ha dovuto far fronte a una emergenza allorché 45.000 rifugiati, ma stime ufficiose ne indicano almeno 75.000 si sono riversati nel paese. A causa della costante instabilità del paese la base statunitense di Manas ha dovuto sospendere le proprie operazioni, con ripercussioni sul funzionamento di una delle tratte della rete di distribuzione del nord da cui dipendono i rifornimenti non letali alle truppe impegnate in Afghanistan. Una disintegrazione dello stato in Kirghizistan porterebbe alla quasi certa criminalizzazione delle regioni meridionali dove figure collegate alla criminalità organizzata peraltro già operano. Rimane anche il timore che, a fronte di un vuoto di potere, elementi radicali in fuga dalle zone tribali afghano-pakistane possano usufruire di un rifugio nelle zone montuose e isolate nel sud del paese.

Questo approfondimento si propone di analizzare le cause della crisi kirghiza del 2010 e le sue conseguenze per la stabilità regionale. Lo studio comincia con una breve panoramica sulla fase di state-building del Kirghizistan post-sovietico, soffermandosi sulle caratteristiche delle amministrazioni di Akaev e Bakiev. Cosí facendo emergeranno alcune costanti degli sviluppi politici del paese negli ultimi venti anni. La sezione seguente analizza le cause che hanno portato ai tragici eventi del 2010. Nella seconda parte vengono discussi il ruolo dell’Uzbekistan, della Russia e degli Stati Uniti durante e dopo la crisi. In particolare verrà dato rilievo al ruolo del Kirghizistan nella più ampia strategia statunitense volta a ridurre la propria dipendenza dal Pakistan per i rifornimenti non letali diretti in Afghanistan. Incapace di reggersi sulle proprie forze, il Kirghizistan dipende ormai completamente dal sostegno internazionale. Al momento lo scenario più probabile è quello di un progressivo indebolimento dello stato. Le recenti elezioni parlamentari di ottobre non preannunciano una vita facile di coalizione in una situazione politica alquanto volatile.

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