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Focus Mediterraneo Allargato n.12

Approfondimento: l’accordo Turchia-GNA sui confini marittimi

Matteo Colombo
|
Giuseppe Dentice
21 febbraio 2020

La scoperta di vasti giacimenti di gas nella zona di mare compresa tra Cipro, Egitto e Israele rappresenta un’opportunità economica e politica per lo sviluppo e la cooperazione tra questi paesi e gli stati dell’Unione europea (UE), con un interesse particolare da parte dell’Italia. L’approfondimento si propone pertanto di esaminare le opportunità ma anche le incognite politiche ed economiche legate allo sfruttamento energetico in questa zona di mare, nonché di analizzare le conseguenze del recente accordo tra Turchia e Libia sui confini delle rispettive zone economiche esclusive (Zee[1]). L’obiettivo è di fornire un’analisi del contesto politico ed economico nel Mar del Levante per comprendere come il nostro paese possa promuovere due tra i suoi principali interessi nel Mediterraneo allargato: rafforzare la cooperazione con i paesi della regione e diventare un ponte energetico tra le due sponde del Mare Nostrum.
 

Le principali opportunità politiche ed economiche

La zona marittima del Mediterraneo orientale è diventata una delle principali aree di interesse energetico, quando a partire dal 2009 è stato scoperto il giacimento di gas di Leviathan (450 miliardi di m3), a circa 130 chilometri al largo della città israeliana di Haifa. Le successive esplorazioni in quest’area di mare hanno dimostrato che esistono grandi quantità di gas anche in zone adiacenti. In particolare, al largo delle coste israeliane sono stati scoperti i giacimenti di Tamar (circa 318 miliardi di m3), e alcuni giacimenti minori, tra i quali Dalit (55 miliardi di m3) e Karish e Tanin (rispettivamente circa 8 e 55 miliardi di m3 da stime 2016), che consentiranno a Israele di soddisfare il consumo interno ed esportare parte della sua produzione. Poi vennero, nel 2011, le scoperte nelle acque cipriote di Afrodite (circa 129 miliardi di m3) e Calipso (con un potenziale di 170-230 miliardi di m3) e, infine, la scoperta da parte di Eni dei giacimenti di Zohr nel 2015 (circa 850 miliardi di m3) e Noor nel 2018 (del quale non vi sono dati ufficiali ma si stima sia tre volte il volume di Zohr), che si trovano all’interno della Zee egiziana. Altre esplorazioni sono tuttora in corso e potrebbero esserci ulteriori scoperte nei prossimi anni.

Tali giacimenti offrono diverse opportunità economiche e politiche per lo sviluppo regionale e la cooperazione tra paesi. Per quanto riguarda l’aspetto economico, i giacimenti sono localizzati in una zona facilmente accessibile per l’estrazione di gas e ben collegata dal punto di vista delle infrastrutture. Ne consegue che è già stato possibile avviare lo sfruttamento delle risorse senza dover investire per la costruzione di nuovi impianti. Inoltre, la quantità di gas che si trova nel Mediterraneo orientale è complessivamente più alta rispetto al fabbisogno interno di questi paesi e ciò consentirà di indirizzare parte della produzione all’esportazione. In particolare, il potenziale produttivo di gas è molto superiore al consumo interno di Cipro[2] e Israele,[3] che sono nazioni relativamente piccole (rispettivamente 1,26 milioni e 8,67 milioni). Per quanto riguarda l’Egitto, il consumo interno di gas è decisamente più alto, anche perché questo paese conta circa 100 milioni di persone, ma è probabile che anche Il Cairo riuscirà a esportare parte del gas estratto da Zohr e da altri giacimenti. Tale strategia consentirebbe all’Egitto di soddisfare il suo fabbisogno interno e trarre profitto dalle esportazioni di gas, che consentono anche di incrementare le riserve di valuta estera. Infine, è importante sottolineare che potrebbero esserci altre scoperte di gas nei prossimi anni e queste potrebbero aumentare l’estrazione ed esportazione di gas da questa zona. Un esempio è la recente scoperta del giacimento Glaucus-1 da parte di Exxon Mobile nelle acque cipriote, che deve ancora essere quantificato con esattezza.[4]

In termini di opportunità politiche, i giacimenti si trovano a poca distanza tra loro e questo potrebbe favorire una cooperazione sub-regionale per quanto riguarda l’estrazione e la commercializzazione di gas. Tale collaborazione potrebbe contribuire ad allentare le sperequazioni socio-economiche tra i singoli paesi (in particolare in Egitto e, in misura minore, in Israele). Allo stato tecnologico attuale, esistono due alternative per esportare il gas estratto nel Levante, ma entrambe richiedono agli attori rivieraschi un alto grado di collaborazione. La prima è collegare i giacimenti agli impianti di liquefazione per esportare il gas tramite navi metaniere; la seconda è di esportare il gas verso i paesi europei tramite gasdotto. Qualora si scegliesse la prima ipotesi, la soluzione più economica è che il gas prodotto in Israele e Cipro raggiunga gli impianti egiziani di liquefazione di Idku e Damietta,[5] che al momento sono sottoutilizzati. Tale soluzione potrebbe essere nell’interesse dell’Italia, in quanto l’impianto di Damietta è in parte di proprietà di Eni.[6] L’alternativa è di costruire nuovi impianti di liquefazione in Israele o Cipro, ma tale ipotesi rischia di avere costi di realizzazione relativamente alti e di richiedere diversi anni per essere operativa. Ad esempio, il progetto di Cipro di realizzare un nuovo impianto di liquefazione costerebbe circa 5 miliardi di euro e richiederebbe almeno 3-4 anni per essere completato.[7]

Qualora invece si decidesse di perseguire la seconda ipotesi, ossia quella del gasdotto, sarebbe necessario mettere in comunicazione i vari giacimenti per convogliare il gas verso la destinazione scelta, che sarebbe presumibilmente l’Italia o, con minore probabilità, la Turchia. In entrambi i casi, la scelta di collegare i giacimenti si spiega con la necessità di rendere economicamente vantaggioso il gasdotto, che avrebbe costi di realizzazione piuttosto alti e necessiterebbe di un consistente flusso di gas per essere sostenibile finanziariamente. Infine, la produzione ed esportazione di gas da questa zona avrebbe il vantaggio politico di permettere ai paesi dell’Unione europea di diversificare le loro fonti, in particolare rispetto alla Russia. Tale obiettivo è contenuto nel Programma di strategia europeo per l’energia del 2015 ed è stato confermato anche nel documento del 2019.[8] Non a caso, Bruxelles si è espressa positivamente rispetto alla realizzazione del gasdotto EastMed, che dovrebbe collegare il Mediterraneo orientale con l’Europa continentale attraverso gli attracchi in Grecia e Italia. Il gasdotto è indicato come un progetto di interesse comune europeo[9] ed è fortemente sostenuto anche dagli Stati Uniti, che vede nella realizzazione della pipeline uno strumento per ridurre la dipendenza energetica europea dalla Russia e un modo per contenere la “diplomazia del gas” condotta dal Cremlino nell’area.
 

Le principali incognite politiche ed economiche

Esistono tuttavia diverse criticità che potrebbero complicare l’estrazione e la vendita del gas presente nel Mediterraneo orientale. Per comprendere i principali elementi di incertezza, è importante analizzare le dinamiche di consumo e vendita di questo bene a livello europeo e mondiale. Per quanto riguarda l’approvvigionamento totale di gas nei paesi europei, un recente studio della British Petroleum (BP) quantifica un calo del 5,7% nel periodo tra il 2010 e il 2020 e prevede una dinamica sostanzialmente stabile nel periodo 2020-2040.[10] Inoltre, le stime di BP prevedono una decrescita della produzione interna europea, che dovrebbe passare da 244,9 miliardi di metri3 di gas annuali (Bcm)[11] a 159,3 Bcm. Ne consegue che l’Europa dovrà aumentare le sue importazioni di gas, nonostante il calo dei consumi. Lo studio di BP indica che la quota di gas importato sul totale dell’approvvigionamento europeo dovrebbe passare dal 58,56% attuale al 73,01% nel 2040. In termini assoluti, la crescita delle importazioni europee di gas è stimata in 84,7 miliardi di Bcm tra il 2020 e il 2040. Secondo l’Agenzia internazionale dell’energia (Iea), la crescita della domanda europea dovrebbe essere accompagnata da un generale aumento dell’offerta di gas a livello mondiale, che determinerebbe un periodo di prezzi relativamente bassi.[12] Nel 2019 il prezzo di vendita europeo si è già assestato a $4,80 per milione di unità termali britanniche (MMBtu[13]), che è un valore più basso rispetto ai $7,68 del 2018.[14] L’Amministrazione di informazione energetica degli Stati Uniti (Energy Information Administration - Eia) stima che il prezzo medio globale di vendita del gas naturale dovrebbe essere di circa $4 per MMBtu tra il 2020 e i 2035 e $5 dal 2035.[15] Per quanto queste stime siano assolutamente indicative, l’aumento del consumo e l’alta disponibilità di gas a basso costo sembrano essere le due caratteristiche principali del mercato energetico europeo e globale nei prossimi 20 anni.

Tale scenario europeo e globale rappresenta un problema per la sostenibilità economica dell’estrazione e vendita di gas nel Mediterraneo orientale. Il materiale presente in questa zona si trova soprattutto in acque profonde ed è perciò probabile che i costi di estrazione siano più alti rispetto a quelli di altre zone di produzione, da dove è più facile estrarre il materiale. Per comprendere meglio tale criticità, è utile citare che le compagnie che estraggono il gas dai giacimenti Tamar e Leviathan (Noble Energy e Delek Ltd) si sono recentemente accordate con la Compagnia elettrica israeliana (Iec) per un prezzo di vendita del gas rispettivamente di $4,20 e $4,79 per MMBtu.[16] Dando per scontato che le compagnie intendano realizzare un margine di profitto, è probabile che le aziende che operano in questa zona di mare non possano vendere il gas a prezzo inferiore ai $4,5-5 per MMBtu. Qualora il materiale estratto venisse esportato in paesi più lontani dai giacimenti, il prezzo di vendita sarebbe ovviamente più alto. Un’indicazione sul costo finale del gas per i paesi che non si affacciano sul Mediterraneo orientale è contenuta nell’accordo del 2014 tra le compagnie che operano su Leviathan e la Giordania, per la vendita di 3 Bcm annuali di gas a $6 per MMBtu.[17] Partendo dal presupposto che questo paese sia relativamente vicino alla zona di produzione, è possibile ipotizzare che il gas nel Mediterraneo orientale sia venduto ad almeno $6,5-7 per MMBtu sui mercati europei. Ne consegue che il gas estratto nell’area non sarebbe competitivo rispetto a quello che proviene da altri mercati in uno scenario di prezzo di vendita che si aggiri sui $4,5-5 per MMBtu in futuro ed è perciò necessario trovare delle soluzioni a questo problema prima di puntare a esportare questo gas in altre realtà lontane dai giacimenti. L’alternativa è di indirizzare gran parte della produzione ai paesi vicini, includendo eventualmente la Turchia, che deve importare molto del suo gas e dipende per il 53% dalle importazioni dalla Russia.[18]

Il rischio di avere un prezzo finale troppo alto rispetto alla media del mercato è presente sia nel caso si scegliesse di esportare il gas in forma liquefatta (Lng), tramite navi metaniere, sia qualora si scelga il trasporto per mezzo di gasdotto verso l’Italia o la Turchia. Nel primo caso, esiste una domanda globale potenzialmente in crescita,[19] ma il gas liquefatto del Mediterraneo orientale dovrebbe competere con la produzione più economica di altri paesi. Ad esempio, il gas liquefatto del Mediterraneo orientale dovrebbe concorrere in Europa con il Lng statunitense, che sarà probabilmente venduto tra i $5,50[20]-6,50 per MMBtu,[21] e con gas russo prodotto e commercializzato da Gazprom, in grado di realizzare un profitto a un prezzo di vendita di $4 per MMBtu.[22] In Asia il prezzo per il gas liquefatto è sceso da circa $9 in media nel 2018[23] a circa $5 nel 2019[24] e il gas del Mediterraneo orientale avrebbe costi di trasporto più alti rispetto a quelli europei.

Qualora invece si scegliesse di trasportare il gas tramite gasdotto, bisognerebbe valutare la sostenibilità economica di collegare i giacimenti del Mediterraneo orientale all’Italia o alla Turchia. Allo stato attuale, la prima ipotesi sembra la più probabile, in quanto Israele, Cipro e Grecia hanno preso l’impegno politico di reperire gli investimenti per un gasdotto entro il 2022 e di completare l’opera nel 2025.[25] Il costo stimato dell’infrastruttura EastMed sarebbe intorno ai 7 miliardi di euro per una portata annua di circa 10 Bcm, che potrebbero aumentare fino a 20 Bcm in futuro.[26]Questo gasdotto potrebbe essere successivamente collegato dalle coste greche a quelle italiane attraverso l’infrastruttura Poseidon o utilizzando l’ultimo tratto del gasdotto Trans Adriatic Pipeline (Tap)-Trans-Anatolian Natural Gas Pipeline (Tanap). Anche in questo caso, sussiste un problema di sostenibilità economica nell’attuale contesto energetico. Charles Ellinas, amministratore delegato di Cyprus Natural Hydrocarbons Company (Cnhc) ed esperto di infrastrutture energetiche, stima che per ripagare l’infrastruttura e generare profitto bisognerebbe vendere il gas a circa $7,5[27] o $8 per MMBtu[28] (circa $4,5 per MMBtu di estrazione e $3,5 di trasporto[29]). Tale prezzo è troppo alto per essere competitivo nel mercato attuale.

Un’alternativa più economica sarebbe di costruire il gasdotto verso la Turchia. Nel 2013 la compagnia energetica turca (Turcas Petrol) ha fatto un’offerta per la costruzione di un gasdotto da Israele alla costa turca con una portata di 16 Bcm, a un costo di circa 2,5 miliardi di euro. Da un punto di vista economico, tale scelta avrebbe il vantaggio di abbattere i costi di costruzione, permettendo perciò di vendere il gas a un prezzo più basso rispetto al gasdotto EastMed.[30] Dalla costa turca, questa infrastruttura dovrebbe collegarsi al Tap-Tanap, che potrebbe trasportare una quantità maggiore di gas rispetto a quella attuale.[31] Tuttavia, tale progetto è avversato politicamente da quasi tutti i paesi della regione in quanto darebbe alla Turchia un ruolo centrale nelle esportazioni dal Mediterraneo orientale. Egitto, Cipro, Grecia e Israele, vedono Ankara come un paese rivale e preferiscono perciò esportare autonomamente il gas estratto in questa regione.

Infine, esistono anche diverse questioni legate alle dispute territoriali relative alle zone economiche esclusive tra i paesi della regione. La prima questione riguarda il riconoscimento della Repubblica turca di Cipro del Nord (Kktc) da parte della Turchia, che non è condiviso dalla comunità internazionale. Come si evince dalla mappa, Ankara ritiene che parte del territorio marittimo di Cipro sia incluso all’interno delle zone economiche esclusive della Kktc. Ne consegue che la Turchia non riconosce i contratti siglati dal governo di Cipro con le compagnie energetiche in queste aree di mare. All’interno della zona che la Turchia riconosce come zona economica esclusiva di Cipro del Nord ci sono le concessioni date a Eni, Total e Kogas[32] (azienda sudcoreana di gas naturale). Proprio in quest’area di mare si è verificato il contenzioso tra Saipem e Turchia, dopo che alcune unità della marina di Ankara hanno svolto delle operazioni per impedire all’azienda italiana di condurre delle esplorazioni in questa zona. La Turchia potrebbe decidere a sua volta di condurre delle esplorazioni nella stessa zona nei prossimi anni.[33] Infine, è stato siglato recentemente un accordo tra Ankara e governo di Tripoli (Gna) riguardo la delimitazione delle Zee.[34] Tale accordo consentirà potenzialmente alla Turchia di condurre l’esplorazione di gas anche in zone che non sono riconosciute a livello internazionale come parte della sua zona economica esclusiva, come sarà approfondito nella parte successiva dell’articolo.

 

Gli sviluppi recenti nella sub-regione mediterranea: i contenuti dell’accordo tra Turchia e Libia e le reazioni internazionali

L’intesa tra Turchia e Libia sulle zone economiche esclusive e la cooperazione militare è stato firmata il 27 novembre 2019. Il trattato bilaterale ha due obiettivi principali: definire confini delle Zee, ossia i tratti di mare in cui sarà possibile per Tripoli e Ankara sfruttare le risorse energetiche; e consentire alla Turchia di fornire assistenza militare in caso di richiesta da parte del governo libico.[35] Per quanto riguarda il primo punto, l’accordo fissa il confine delle Zee di Turchia e Libia in zone marittime che la Grecia aveva in precedenza definito come parte della sua zona. La rivendicazione greca si basa sull’interpretazione di Atene delle norme internazionali fissate dalla convenzione di Montego Bay del 1982 (Unclos), che la Turchia non ha mai firmato. Inoltre, l’accordo stabilisce un confine tra la Zee turca e quella libica di alcuni chilometri. La ripartizione tra Tripoli ad Ankara consentirà con tutta probabilità al governo turco di avanzare degli ostacoli legali per lo sfruttamento e l’esportazione di gas dalla zona del Mediterraneo orientale, in particolare qualora si scegliesse di costruire un gasdotto verso l’Italia. Tale infrastruttura dovrebbe, infatti, passare per il territorio ripartito dall’accordo, in particolare quello rivendicato dalla Turchia. Sebbene sia impossibile per Ankara fermare il progetto,[36] essa potrebbe utilizzare il trattato per ostacolare la costruzione del gasdotto per fare pressione sugli altri stati della regione con l’obiettivo di partecipare allo sfruttamento del gas nel Mediterraneo orientale. Per quanto riguarda il secondo punto, ossia quello dell’assistenza militare, il Governo libico di accordo nazionale (Gna), riconosciuto internazionalmente dall’Onu, ha inviato una richiesta di aiuto militare alla Turchia nell’ultima settimana di dicembre. A seguito di questa richiesta, il parlamento turco ha votato il 2 gennaio l’invio di attrezzature e armi per operazioni terrestri. Inoltre, diversi mercenari siriani che operano sotto la supervisione turca sono attivi nel paese per sostenere il governo di Tripoli.

L’accordo tra Libia e Turchia è stato contestato da diverse istituzioni europee e da diversi paesi dell’Unione europea. Una dura condanna è giunta anche dal Consiglio europeo, l’organismo che definisce le priorità e gli orientamenti politici generali dell’UE, che ha accusato l’accordo tra Libia e Turchia di violare i diritti di sovranità dei paesi terzi e di non rispettare la legge del mare e ha specificato che l’accordo non produce effetti legali sui paesi terzi.[37] Per quanto riguarda i singoli stati europei, i commenti più duri sono arrivati dai paesi maggiormente interessati dall’accordo, in particolare Italia e Grecia. Per quanto riguarda il nostro paese, il ministro degli Affari Esteri Luigi Di Maio ha definito illegittimo questo accordo.[38] Il governo greco ha dichiarato che il trattato viola la legge del mare[39] e ha spiegato di volere bloccare qualsiasi accordo politico europeo sulla pacificazione libica in presenza dell’accordo tra Turchia e Libia.[40] Cipro ha firmato una dichiarazione comune per condannare l’accordo, con l’aggiunta della Francia.[41]
 

La politica della Turchia nel Mediterraneo orientale

In una prospettiva regionale, l’attivismo turco è strettamente correlato agli interessi e alle competizioni che interessano oggi l’Europa e il Mediterraneo orientale, soprattutto in ambito energetico. L’accordo tra Turchia e Gna si inserisce, infatti, nella strategia delineata da Ankara nel Mediterraneo orientale. Da una parte, la Turchia punta a ostacolare l’esportazione via gasdotto dalla regione per conservare il suo ruolo di principale hub logistico del gas tra il Mar Caspio, il Mediterraneo orientale e l’Europa. Dall’altra, Ankara cerca di fare pressioni sugli altri paesi dell’area per non essere esclusa dai progetti di sfruttamento energetico. Per quanto riguarda il primo obiettivo, l’accordo tra Turchia e governo libico consente ad Ankara di avere un pretesto legale per ostacolare la costruzione di un gasdotto verso l’Italia. Sebbene questo accordo non sia riconosciuto a livello internazionale, la rivendicazione territoriale contenuta nel trattato consente alla Turchia di considerare come parte della sua zona economica esclusiva un tratto di mare che confina con quello della Libia. Ne consegue che sarebbe impossibile realizzare l’infrastruttura senza passare dalle zone che Ankara rivendica. Inoltre, la Turchia può avanzare delle pretese di esplorazione ed estrazione in porzioni di mare che sono internazionalmente riconosciuti a Grecia e Cipro. Qualora Ankara trovasse del gas in questa zona potrebbe chiedere di partecipare alle decisioni riguardanti lo sfruttamento energetico del paese e di far parte del Forum sul Mediterraneo orientale (Emgf), istituito nel gennaio 2019,[42] ma del quale la Turchia non è membro a causa del forte ostruzionismo degli altri membri. In questo senso, l’accordo raggiunto sulla Zee con il Gna è fortemente funzionale ad Ankara, perché permette di estendere la propria influenza geopolitica all’intero settore orientale del Mediterraneo agendo da freno alle iniziative dell’Emgf e ai processi in atto (nella fattispecie quelli relativi al gasdotto EastMed). In sintesi, la strategia di Ankara potrebbe essere di incrementare le opzioni a sua disposizione per ostacolare lo sfruttamento commerciale della zona al fine di spingere gli altri paesi ad accettare un suo ruolo politico ed economico nel Mediterraneo orientale.[43]

 

Reazioni di Egitto e Israele all’attivismo turco nel Mediterraneo orientale

Le recenti iniziative turche nell’area mediterranea hanno in un certo senso sparigliato le carte, portando Cipro, Grecia, Egitto e Israele ad agire immediatamente. Non è un caso, inoltre, che le iniziative turche siano state percepite con fastidio e preoccupazione soprattutto da Egitto e Israele. Il primo vive da tempo una relazione difficile e astiosa con Ankara. Dal 2013, ossia dalla rimozione del presidente Mohammed Morsi, all’epoca dei fatti supportato politicamente da Erdoğan, Egitto e Turchia hanno iniziato una partita geopolitica nel Mediterraneo che li ha portati a scontrarsi su fronti opposti in Libia, ma recentemente anche nel contesto energetico del Mediterraneo orientale. Non meno pronta è stata la reazione israeliana dinanzi all’attivismo turco. Dalle parti di Tel Aviv le iniziative turche hanno destato grande nervosismo e, non a caso, il premier Benjamin Netanyahu è stato il primo leader dell’area a esprimere forte contrarietà e preoccupazione verso le mosse di Ankara nel Mar del Levante. Una scelta dettata dagli sviluppi energetici nell’area e dalla definizione di alleanze strategiche con Cipro e Grecia, paesi con i quali Ankara mantiene tuttora rapporti altalenanti anche per via dell’irrisolta questione della Kktc. Di fatto, Egitto e Israele hanno puntato a rinsaldare la rispettiva convergenza di interessi già esistente nella sub-regione adottando, ognuno a suo modo, una chiave operativa anti-turca e definendo, di conseguenza, una strategia di contenimento su più dimensioni verso un attore percepito come antagonista.
 

La posizione egiziana

Per Il Cairo la riscoperta di una sua centralità geopolitica e strategica nel Mediterraneo orientale è cruciale per definire una propria politica estera autonoma e in competizione rispetto agli attori arabi (Arabia Saudita e Emirati Arabi Uniti, su tutti) e a Israele. Per questo le evoluzioni recenti nel Mediterraneo orientale e l’accordo tra Israele, Cipro e Grecia su EastMed si legano a doppio filo con le potenzialità del Canale di Suez e del Mar Rosso e le prospettive strategiche egiziane. Sin dagli anni Novanta e poi con maggior vigore dal 2015, ossia dalla scoperta del giacimento di Zohr al largo delle acque territoriali egiziane, Il Cairo ha cercato di imporsi come un hub regionale per il commercio e la distribuzione di gas naturale liquefatto. Una prospettiva ambiziosa che andava a incrociarsi con le medesime aspirazioni turche e israeliane. Sebbene entrambi i paesi siano da considerarsi dei competitor, l’Egitto ha posto la sola Turchia come un attore regionale da contenere, puntando invece a sfruttare con Israele una serie di iniziative di cooperazione sub-regionale volte a definire nuovi interessi e giochi di potere nel Levante, e in una prospettiva allargata e futura, verso lo stesso Golfo. I due paesi hanno siglato nel 2018 un accordo decennale del valore globale di 15 miliardi di dollari sulla fornitura di gas, che dal 15 gennaio 2020 vede ufficialmente l’Egitto rifornito di 64 miliardi di metri cubi di gas israeliano proveniente dal Leviathan per i prossimi dieci anni. Un’intesa che ha segnato un nuovo passo nelle relazioni tra i paesi e ha dato ulteriore spessore a entrambi nella ridefinizione di una politica estera, economica e di sicurezza altamente strategica nel bacino del Mediterraneo. Infatti, Il Cairo e Tel Aviv mantengono un ruolo cardine nell’Emgf e nel futuro processo di sfruttamento condiviso delle risorse gasifere nell’area. Di fatto, questa convergenza di interessi, oltre che a tagliare fuori da qualsiasi ruolo e protagonismo la Turchia, rappresenta una grande un’opportunità in virtù dei risvolti molteplici (politici, energetici e di sicurezza) che investono ambo i paesi. Questa convergenza, inoltre, permetterebbe a entrambi di inserire un importante tassello nel risiko energetico che lambisce il Mediterraneo orientale.[44] In tal senso, Il Cairo ha portato avanti colloqui bilaterali serrati con Cipro e Grecia nel tentativo di impedire iniziative unilaterali (e militari) turche. Vanno intese in questo percorso gli accordi firmati tra Egitto e Cipro per la costruzione di un gasdotto sottomarino da 1 miliardo di dollari (settembre 2018), che collega il giacimento cipriota Afrodite alle stazioni egiziane di liquefazione del gas egiziano di Idku e Damietta. Di fatto, le iniziative egiziane puntano a mascherare la competizione tra i paesi rivieraschi del Levante favorendo un tentativo di integrazione e cooperazione sub-regionale attraverso l’Emgf.[45] Allo stesso tempo, la situazione di sovrabbondanza del mercato globale del Gnl e la bassa domanda interna del mercato egiziano potrebbe convincere Il Cairo ad ampliare la vendita di gas non solo al vicinato arabo (Giordania, in primis), ma in un futuro prossimo – magari sfruttando parte della rete di EastMed – anche ai Balcani, lì dove la domanda tra Bulgaria, Romania e Macedonia del Nord è molto alta. Altresì, in questa strategia energetica potrebbe avere un ruolo cruciale anche l’Arabia Saudita. Il principale produttore di petrolio dell’Opec – nonché sponsor politico-economico di punta dell’Egitto di al-Sisi – necessita di importanti approvvigionamenti di gas a buon prezzo, al fine di soddisfare la crescente domanda energetica di elettricità per consumi domestici. Pertanto un reindirizzamento verso il regno saudita dei flussi dell’Arab Gas Pipeline (Agp) – l’infrastruttura energetica che avrebbe dovuto esportare gas egiziano anche in Libano, Siria e Turchia meridionale – potrebbe conferire un nuovo ruolo all’Egitto, rafforzando la sua posizione di attore geoeconomico tra Mediterraneo orientale e Mar Rosso. In sostanza, promuovendo una duplice azione come attore cardine nell’integrazione energetica sub-regionale e come fattore di stabilità e sicurezza trans-regionali, l’Egitto mira ad accrescere la propria postura di “attore mediterraneo”, puntando sul fattore energetico come strumento di affermazione geopolitica.[46]
 

La posizione israeliana

In maniera quasi analoga all’Egitto, anche Israele ha puntato fortemente sul Mediterraneo orientale per ridefinire una propria supremazia nelle dinamiche del Medio Oriente. Sfruttando l’energia Israele punta ad assumere un ruolo completo di media potenza in grado di influenzare dinamiche trans-regionali sempre più interconnesse (Mediterraneo orientale, Africa orientale, Penisola arabica). Nel far ciò, sin dal 2009 Tel Aviv ha portato avanti una strategia energetica multi-vettoriale basata sulla distensione e il rafforzamento della cooperazione politico-economica e di sicurezza tra gli stati rivieraschi. Tale iniziativa è confluita dapprima nell’accordo tra Egitto e Israele (febbraio 2018) e, infine, nell’intesa di Atene (2 gennaio 2020). In quest’ultima occasione, Netanyahu ha firmato un accordo per esportare il gas naturale di Israele via Cipro e Grecia verso l’Europa, attraverso il futuro gasdotto EastMed. Nelle intenzioni israeliane, l’accordo di Atene, co-firmato anche dal primo ministro greco Kyriakos Mitsotakis e dal presidente cipriota Nicos Anastasiades, mira a rafforzare l’impegno tra i tre stati del Mediterraneo orientale, mandando un messaggio molto chiaro alle ambizioni energetiche turche. In entrambi gli eventi del 2018 e del 2020, l’Egitto gioca un ruolo non secondario per Israele, in quanto assume una funzione cruciale nella triangolazione energetica con Cipro e Grecia, figurando solo apparentemente come un attore secondario nelle dispute di area. Un ruolo limitato soltanto di facciata – infatti grazie alle infrastrutture egiziane per la liquefazione e il trasporto del gas, Israele può esportare le proprie risorse con costi di gestione più economici – dettato dalle difficoltà dell’opinione pubblica egiziana ad accettare la reciprocità strategica degli attori. Nonostante queste riserve politiche che segnano ancora le relazioni bilaterali, il Mediterraneo rappresenta lo scenario perfetto per Israele ed Egitto nel quale approfondire i rapporti e le opportunità di scenario. Approfittando, quindi, di una cooperazione più serrata con Il Cairo, Tel Aviv ha potuto formulare una politica mediterranea. Israele ha l’opportunità di contribuire alla costruzione di una nuova architettura regionale nel Mediterraneo orientale, ma le iniziative turche rischiano di scoraggiare, se non addirittura stroncare, le aspirazioni israeliane.[47]Non è un caso, del resto, che nelle ultime settimane le autorità israeliane abbiano inserito – in maniera strumentale – la Turchia tra le principali minacce alla sicurezza nazionale. A ogni modo per comprendere pienamente la strategia israeliana bisogna considerare tre variabili, che definiscono il respiro globale della stessa:

  1. sfruttare le risorse energetiche del Mediterraneo orientale per creare autosufficienza energetica e maggiori opportunità economiche nei mercati internazionali dell’energia;
  2. migliorare la stabilità regionale nella regione del Mediterraneo orientale attraverso l’interdipendenza economica tra gli stati regionali, facilitando così l’attività economica;
  3. usare questi strumenti come fattori di normalizzazione delle relazioni tra Israele e i suoi vicini arabi, anche in presenza della crisi israelo-palestinese.

La combinazione di queste variabili congiuntamente alle dinamiche propriamente mediterranee possono, infine, permettere a Israele di agire non solo come un attore energetico, ma come una media potenza in grado di proporsi come player credibile impegnato nel rafforzamento della sicurezza e della stabilità allargata dell’area euro-mediterranea.[48]
 

Uno scenario convulso

L’accordo turco-libico che consente ad Ankara di rivendicare ampi territori anche nelle Zee di Grecia, Cipro ed Egitto, il patto di assistenza militare utilizzato da Erdoğan per rinfocolare le ambizioni turche in Libia e, infine, gli sviluppi legati al fattore energetico nel Mar del Levante hanno delineato un nuovo panorama strategico nel Mediterraneo orientale. Quel che è certo è che la sub-regione si trova in mezzo a una grande contesa geostrategica, nella quale senza una risoluzione delle molteplici situazioni critiche rischia di implodere in tutta la sua pericolosità.

Le grandi scoperte di gas offshore hanno permesso a Egitto e Israele di ritrovarsi in dote una certa bonanza capace di ridefinire le rispettive strategie di ambo i paesi quali hub regionali dell’energia. Ciononostante, resta ancora da valutare quanto Egitto e Israele saranno capaci di trasformare questo potenziale in un fattore effettivo di benessere economico e strategico. In secondo luogo e strettamente correlato al punto precedente, vi è la questione dello sfruttamento delle Zee e delle infrastrutture. Se non verranno risolte le tensioni tra Turchia, Libia, Egitto, Grecia e Cipro, non è improbabile assistere all’emergere di nuove situazioni di tensione. Infatti, casi simili all’affaire turco-libico sono presenti in altre zone mediterranee, nelle quali è coinvolta anche l’Italia (come ad esempio in quelle tra Algeria e Spagna al largo della Sardegna, o ancora tra Tunisia, Malta e Libia nel Mar di Sicilia).[49] Altresì, in presenza di forti contese sulle Zee è difficile immaginare uno sviluppo realistico nei tempi previsti di qualsiasi infrastruttura, come ad esempio il gasdotto EastMed che dovrebbe essere operativo entro il 2025. Ritardi o cancellazioni nei progetti potrebbero impattare enormemente anche sull’UE, che vede proprio in questa infrastruttura un’opportunità per ridurre la pressione strategica russa, riducendo la dipendenza dalle sue forniture e differenziando maggiormente il parco dei fornitori internazionali. Questa condizione di incertezza sul piano energetico potrebbe trasferirsi anche sul versante politico-diplomatico alimentando instabilità e insicurezza diffuse.
 

L’interesse italiano nell’area

In questo contesto in costante evoluzione, l’Italia potrebbe giocare un ruolo cruciale se, e solo se, verranno definite delle linee guida chiare in termini di politica estera tout-court e di politica mediterranea nella sua fattispecie, analizzando e definendo i molteplici campi di azione e cooperazione multilaterale. In tal senso il ruolo di promotore dell’Emgf è stato molto positivo, ma l’ingresso della Francia nel forum mediterraneo potrebbe nuovamente limitare il potenziale italiano. Al pari di una linea diplomatica netta, nella quale siano definiti in modo altrettanto chiaro chi sono, in che termini e come l’Italia intenda agire con i propri interlocutori regionali, sarà decisivo dotarsi di un dispositivo militare efficiente e idoneo a garantire la sicurezza e l’interesse nazionale del paese, al fine di permettere a tutti i governi italiani di agire nel quadro strategico di un sistema di alleanze coerente con gli obiettivi prefissati. Sebbene le partite siano complesse e strettamente correlate tra loro, l’Italia ha a sua disposizione una serie di strumenti utili per non perdere le sfide e le opportunità che offre il Mediterraneo, sempre più allargato e conteso.[50]

Nonostante queste potenzialità, fino a ora l’Italia si è mostrata perlopiù distratta sulle questioni del suo vicinato strategico. Tuttavia, essa ha fatto emergere una posizione chiara in merito ai recenti eventi libici e nella regione allargata, dichiarandosi a favore del dialogo e del rafforzamento della cooperazione regionale, ma del tutto contraria ai colpi di coda di singoli attori. Un esempio concreto in tal senso è stata la posizione italiana, espressa dal ministro degli Esteri Luigi Di Maio, circa l’illegittimità riconosciuta all’accordo turco-libico, intravedendo in questa iniziativa un importante elemento di instabilità regionale. A rafforzare tale posizione vi è stata la scelta da parte del governo, analogamente a quanto fatto dalla Francia, di assumere una postura ferma e tendenzialmente favorevole a Egitto, Israele, Cipro e Grecia, paesi partner, impegnati con Roma in progetti energetici e strategici dell’area. Infatti, sebbene non sia stata ancora del tutto chiarita a livello ufficiale la scelta italiana in merito al gasdotto EastMed, tale infrastruttura è stata salutata complessivamente in termini positivi sia dal ministro dello Sviluppo Economico, Stefano Patuanelli sia dal titolare degli Esteri. Tuttavia, permangono ancora numerosi dubbi soprattutto dal punto di vista della fattibilità economica in assenza di ulteriori scoperte di gas che potrebbero avvenire nei prossimi anni. Italia e Commissione europea hanno infatti sottolineato alcuni dubbi in relazione ai costi di progettazione e costruzione dell’infrastruttura, nonché riguardo alla sostenibilità economica della stessa nel lungo periodo.[51]

Come spiegato in precedenza, tale infrastruttura rappresenta una grande opportunità di cooperazione tra Italia e gli altri stati rivieraschi, consentendo al nostro paese di rafforzare il suo ruolo politico mediterraneo. Roma potrebbe perciò appoggiare lo sviluppo del progetto infrastrutturale[52] anche in un’ottica di rafforzamento delle proprie ambizioni (geo)politiche nel Mediterraneo, come attore europeo indispensabile alla stabilità e alla sicurezza dell’area. Una strategia complessiva che rafforzerebbe il ruolo di paese-ponte, anche dal punto di vista energetico, essendo stato individuato come il terminale logistico di EastMed e del Tap, il gasdotto azero che trasporterà dall’ottobre 2020 gas naturale dalla regione del Mar Caspio in Europa. Questa posizione metterebbe l’Italia in diretta competizione con la Turchia, altro paese attraversato da corridoi energetici nella tratta eurasiatica. Ciò che però avvantaggerebbe Roma rispetto ad Ankara è il doppio endorsement di cui gode il paese da parte di UE e Stati Uniti, con Washington in particolar modo favorevole alle infrastrutture energetiche nel Mediterraneo come forma di contenimento e contrasto della diplomazia del gas russa. A dare ulteriore forza a una posizione italiana vi sarebbe inoltre il ruolo giocato da aziende e imprese nostrane coinvolte (da Eni a Edison, passando per Saipem, Enel, Snam e Terna), in termini di competenze e know-how riconosciuto, in progetti strategici di interesse comunitario.[53]Per attuare tale strategia è però necessaria una scelta chiara che privilegi gli interessi politici del nostro paese rispetto alle perplessità economiche discusse nella parte precedente. Tale scelta potrebbe essere accompagnata da un impegno anche finanziario del nostro e degli altri governi coinvolti per la realizzazione dell’opera, che ne compensi i costi eccessivi per quanto riguarda il trasporto di gas del Mediterraneo orientale verso l’Europa. Tale iniziativa è condizione necessaria per la realizzazione del gasdotto EastMed, che non potrebbe essere effettivamente completata senza una decisa iniziativa diplomatica e sostegno economico dell’Italia.

 

 

[1] Zona economica esclusiva, Treccani.

[2] H. Smith, “Huge gas discovery off Cyprus could boost EU energy security”, The Guardian, 28 febbraio 2019.

[3] International Energy Agency (IEA), Israel, luglio 2016.

[4]  ExxonMobil Makes Natural Gas Discovery Offshore Cyprus, ExxonMobil, 28 febbraio 2019.

[5] “Factbox: Egypt’s push to be east Mediterranean gas hub”, Reuters, 15 gennaio 2020.

[6] ENI in LNG, Eni, 2016.

[7] Per maggiori informazioni si vedano: “Cynergy LNG Import Terminal”, NS Energy; G. Butt, “Cyprus ponders gas monetisation options”, Petroleum Economist, 29 aprile 2019.

[8] Final report from the commission to the European parliament, the council, the European economic and social committee, the committee of the regions and the European investment bank, Commissione europea, 9 aprile 2019.

[9] F. De Palo, “Parte Eastmed. Cosa c’è dietro la più grande partita geopolitica del Mediterraneo”, Formiche, 2 gennaio 2020.

[10] Natural Gas, British Petroleum.

[11] La misura del Bcm è equivalente alla quantità di sostanza contenuta in 1 miliardo di metri cubi alla temperatura di 15°C (288,15 K) e alla pressione assoluta di 1,01325 bar. Il valore energetico di tale quantità varia da un sistema di misurazione a un altro.

[12] Natural Gas, International Energy Agency (Iea).

[13] World Bank Commodities Price Data (The Pink Sheet), The World Bank, gennaio 2020.

[14] Ibidem

[15] International Energy Agency (Iea), Annual Energy Outlook 2019, 24 gennaio 2019.

[16] A. Barakat, “Leviathan gas: The good, bad, and downright confusing”, Globes, 9 gennaio 2020.

[17] H Cohen, Leviathan submits first-phase development plan, Globes, 29 settembre 2014, https://en.globes.co.il/en/article-leviathan-submits-first-phase-development-plan-1000975134.

[18] Gas Supply Changes in Turkey, The Oxford Institute for Energy Studies, January 2018.

[19] M. Kuang, “The Future of LNG”, Bloomberg New Energy Finance, 4 maggio 2018.

[20] S. Zawadski, “How U.S. LNG plays havoc with Dutch gas and Asian shipping”, Reuters, 28 giugno 2019.

[21] C. Ellinas, “EastMed gas pipeline increasingly doubtful”, Cyprus Mail, 2 dicembre 2018.

[22] C. Ellinas, East Med Gas: The Impact of Global Gas Markets and Prices, Istituto Affari Internazionali (IAI), 23 febbraio 2019.

[23] Natural Gas & LNG Trends in Asia, DPS Bank, 21 agosto 2019.

[24] N. Chestney, “GLOBAL LNG-Asian LNG prices little changed in quiet trade”, Reuters, 3 gennaio 2020.

[25] A. Koutantou, “Greece, Israel, Cyprus sign EastMed gas pipeline deal”, Reuters, 2 gennaio 2020.

[26] Export, Ministry of Energy (Israel).

[27] C. Ellinas, “Energy turmoil and pipe dreams”, Financial Mirror, 7 gennaio 2020.

[28] C. Ellinas, “Israeli Energy Exports Won’t Make Europe More Pro-Israel”, Foreign Policy, 28 agosto 2019.

[29] C. Ellinas, “Changing priorities threatens viability of EastMed gas pipeline”, Cyprus Mail, 6 gennaio 2020.

[30] Ö. Bilge, “Turkish company offers Israel to build pipeline”, Hürriyet Daily News, 16 settembre 2013.

[31] M. Tanchum, A post-sanctions Iran and the Eurasian energy architecture: Challenges and opportunities for the Euro-Atlantic community, Atlantic Council, 25 settembre 2015.

[32] Eni si aggiudica tre blocchi esplorativi offshore nella Repubblica di Cipro, Eni, 24 gennaio 2013.

[33] N. Squires, “Turkey sends drone to Turkish northern Cyprus to back up disputed oil and gas exploration”, The Telegraph, 16 dicembre 2019.

[34] M. Meloni, “Accordo Libia-Turchia: è caos diplomatico”, Eastwest, 10 dicembre 2019.

[35] D. Butler e T. Gumrukcu, “Turkey signs maritime boundaries deal with Libya amid exploration row”, Reuters, 28 novembre 2019.

[36] K. Geroupulos, “Turkey lurking, Greece-Cyprus-Israel EastMed political deal coming”, New Europe, 26 dicembre 2019.

[37] Conclusioni, Consiglio europeo, 12 dicembre 2019.

[38] “Libia: Di Maio, resta poco tempo, Ue rischia irrilevanza”, ANSAMED, 9 dicembre.

[39] “Greece says Libya-Turkish deal invalid, in bad faith”, Reuters, 10 dicembre 2019.

[40] G. Roumeliotis, “Greek PM says no EU deal on Libya unless Turkey accord scrapped”, Reuters, 23 gennaio 2020.

[41] “Turkey-Libya deals ‘void’: Egypt, France, Greece, Cyprus”, France 24, 8 gennaio 2020.

[42] Sull’Emgf, il suo ruolo e le recenti evoluzioni si consiglia la seguente lettura: F. Anselmo, Verso un’OPEC del gas mediterraneo?, Commentary, ISPI, 27 gennaio 2020.

[43] V. Talbot, Turchia: la geopolitica di Erdoğan, Commentary, ISPI, 5 febbraio 2020.

[44] G. Dentice, “Natural gas in the Eastern Mediterranean: a driver of development”, in V. Talbot (a cura di) MED Report 2018, Building Trust: the Challenge of Peace and Stability in the Mediterranean, 2018, pp. 23-26, pubblicato in occasione della quarta edizione di Rome MED-Mediterranean Dialogues, Roma, 22-24 novembre 2018, promossa dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale italiano.

[45] G. Georgiou e A. Feteha, Cyprus Pipeline Deal With Egypt Brings Gas Step Closer to Europe, Bloomberg, 19 settembre 2018.

[46] Si vedano: C. Widdershoven, “Is Egypt’s Energy Hub Dream Falling Apart?”, OilPrice.com, 1 febbraio 2020; O. Winter, “Under Mediterranean Skies: Channels for Deepening Israel-Egypt Relations”, INSS Insight, no. 1252, The Institute for International Security Studies (INSS), 21 gennaio 2020.

[47] O. Winter e G. Lindenstrauss, “Beyond Energy: The Significance of the Eastern Mediterranean Gas Forum”, INSS Insight, no. 1133, The Institute for International Security Studies (INSS), 3 febbraio 2019.

[48] E. Friedman, “Gas and foreign policy: how Israel is leveraging energy to stabilise the region and advance geostrategic objectives”, Fathom Journal, 24/2019, pp. 2-8.

[49] F. Caffio, “Oltre l’intesa turco-libica: il problema delle ZEE nel Mediterraneo”, AnalisiDifesa, 8 febbraio 2020.

[50] G. Massolo, “Se in Libia cambiano le regole del gioco”, La Stampa, 6 gennaio 2020.

[51] “Italy’s foreign minister expresses doubts over feasibility of EastMed pipeline”, The Times of Israel, 18 gennaio 2020.

[52] “Italy fully backs EastMed”, Ekathimerini, 7 gennaio 2020.

[53] S. Agnoli, “La grande battaglia per il gas. Libia, Turchia, Italia (e Russia): la sfida del Mediterraneo”, L’Economia-Il Corriere della Sera, 14 gennaio 2020.

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AUTORI

Matteo Colombo
ISPI Associate Research Fellow
Giuseppe Dentice
ISPI Associate Research Fellow

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