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Focus Mediterraneo Allargato n.16

Arabia Saudita: la de-escalation diplomatica di Riyadh

Eleonora Ardemagni
19 maggio 2021

Il 2021 dell’Arabia Saudita è iniziato sotto il segno della de-escalation: ovvero il tentativo, tattico più che strategico, di raffreddare i tanti fronti conflittuali della politica mediorientale, in cui Riyadh si era fin qui distinta per posizioni polarizzanti e assertive (Qatar, Iran, Yemen, in misura minore Iraq e Libia). Tale scelta è stata condizionata da due fattori temporalmente concomitanti: l’arrivo di Joe Biden alla Casa Bianca e l’avvio di una relazione più dialettica (rispetto alla precedente amministrazione Trump) fra statunitensi e sauditi, nonché le ricadute finanziarie e sociali della pandemia da Covid-19 nel processo di diversificazione economica “oltre il petrolio”. Proprio “Vision 2030” compie cinque anni, fra traguardi da verificare e ricalibrature in corsa.

 

Quadro interno

In occasione del quinto anniversario dal lancio di “Vision 2030”, il programma di diversificazione economica post-oil, il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman al-Saud ha pubblicamente commentato l’andamento del progetto, orientando la comunicazione ufficiale su due temi: casa e occupazione. Il governo saudita ha diffuso un primo bilancio delle politiche che fanno parte di “Vision 2030”: secondo le stime ufficiali, i sauditi proprietari di abitazione avrebbero raggiunto il 60% del totale (erano il 47% cinque anni fa). Il governo ha escluso l’introduzione di una tassa sul reddito (che il vicino Oman dovrebbe invece introdurre nel 2022 per i redditi medio-alti): lo stesso Mohammed bin Salman ha ribadito che la triplicazione dell’Iva passata dal 5% al 15% da luglio 2020 è soltanto una misura temporanea, finalizzata a sostenere le finanze saudite gravate dall’impatto economico di Covid-19[1]. A questo proposito, è in corso la trattativa fra l’Arabia Saudita e una compagnia energetica globale per la vendita dell’1% di Saudi Aramco entro due anni. Il gigante petrolifero non è soltanto il primo generatore della rendita energetica di Riyadh, ma è ora diventato il vettore finanziario della trasformazione economica del regno. Anche l’Arabia Saudita pianifica la transizione energetica: gli investimenti in fonti rinnovabili fanno parte, sin dal 2015, degli obiettivi stabiliti da “Vision 2030” [2]. I sauditi si sono infatti impegnati a generare il 50% di energia da fonti rinnovabili entro il 2030 (gas per la restante quota); nel 2021 Riyadh ha annunciato sette progetti nazionali in tema di energia solare, tra cui il Sakaka Power Plant. L’Arabia Saudita ha inoltre lanciato la “Saudi Green Initiative”, che darà impulso e parteciperà alla “Middle East Green Initiative”: tra gli obiettivi, ridurre le emissioni di carbonio, combattere inquinamento e degradazione del terreno, preservare la vita marina e aumentare gli ettari di vegetazione (con l’annuncio di 10 miliardi di alberi da piantare nei prossimi decenni nel regno).

Intanto, l’Arabia Saudita ha approvato, tramite decreto reale, una riforma molto attesa: l’abolizione della pena di morte per coloro che sono stati condannati per crimini commessi da minorenni. Una misura che impatta da subito su uno dei casi più noti all’estero: quello del nipote del religioso sciita saudita Nimr al-Nimr (giustiziato dai sauditi nel gennaio 2016). Infatti, Ali al-Nimr fu arrestato nel 2012 durante le proteste anti-governative della comunità sciita a Qatif, la regione orientale saudita, cui partecipò; successivamente, al-Nimr fu condannato anche per appartenenza a una presunta cellula terroristica, nonché per attacco alla polizia e sedizione. Condannato a morte, la sua pena è stata commutata in dieci anni di carcere nel febbraio 2021, nove dei quali già scontati. A dieci anni dall’inizio delle rivolte arabe, la mossa di Riyadh è un’apparente apertura nei confronti della comunità sciita saudita. Essa va tuttavia contestualizzata nello sforzo riformatore della Vision 2030 – che investe anche le periferie del regno e dunque necessita di coesione territoriale – nonché nello scenario regionale di disgelo tra contro-alleanze competitive.

 

Relazioni esterne

La politica estera dell’Arabia Saudita intraprende la strada della de-escalation su Qatar, Yemen e Iran, con risultati ancora incerti: una scelta in parte condizionata dall’arrivo di Joe Biden alla Casa Bianca. Infatti, Washington sta rimodulando la “relazione speciale” con Riyadh, affrontando con assertività temi divisivi come l’intervento saudita in Yemen, i diritti umani, il caso Khashoggi e la vendita di armi al regno. “Questa guerra deve finire” ha dichiarato il presidente Biden il 4 febbraio scorso presso il Dipartimento di Stato, annunciando che gli Stati Uniti non forniranno più appoggio alle operazioni offensive della Coalizione a guida saudita in Yemen, a esclusione di quelle contro i jihadisti di al-Qaeda nella Penisola Arabica (Aqap) e “Stato islamico”. La Casa Bianca ha inoltre nominato un inviato speciale per lo Yemen, il diplomatico Tim Lenderking. Allo stesso tempo, gli Usa hanno ribadito che continueranno a difendere l’Arabia Saudita dai frequenti attacchi, con missili e droni, degli huthi, proteggendone sovranità e integrità territoriale. A questo riguardo, il Comando centrale Usa (Centcom) e l’Arabia Saudita stanno negoziando un accordo preliminare che ampli l’accesso militare degli statunitensi a basi e porti della costa occidentale saudita, ovvero sul Mar Rosso (con particolare attenzione a Yanbu), per contrastare gli attacchi filo-iraniani e sostenere un eventuale conflitto con Teheran[3]. Il 29 aprile Riyadh ha firmato un significativo accordo di cooperazione militare con la Grecia: tra i punti concordati, Atene presterà ai sauditi una batteria di missili Patriot per la difesa aerea anti-missilistica, finalizzata a difendere le infrastrutture energetiche del regno e, al contempo, tutelare le forniture energetiche globali. L’Arabia Saudita coprirà i costi di trasporto, di operatività, nonché di aggiornamento tecnico (la versione PAC-3) dell’intesa sui Patriot; personale militare greco (una quarantina) sarà impiegato nel regno per l’assistenza tecnica[4]. Le convergenze economiche, energetiche e di sicurezza tra Grecia, Cipro e monarchie del Golfo sono sempre più vistose, a cominciare dagli equilibri strategici nel Mediterraneo orientale.

Il 22 marzo scorso l’Arabia Saudita ha proposto un’iniziativa di pace per lo Yemen, fin qui pubblicamente rigettata dagli insorti huthi. L’offerta prevede un cessate-il-fuoco nazionale, la riapertura dell’aeroporto di Sanaa (la capitale, ancora controllata dagli insorti), nonché l’ingresso di carburante e beni alimentari dal porto di Hodeida (anch’essa controllata dagli huthi). In attesa di eventuali sviluppi negoziali, l’intervento militare saudita in Yemen prosegue, senza una vittoria militare: Mohammed bin Salman ha affermato che il regno non può accettare l’esistenza di una milizia, ovvero gli huthi, al confine dell’Arabia Saudita[5]. L’elemento più recente di novità riguarda, però, i rapporti del regno saudita con I’Iraq e soprattutto con l’Iran. Come rivelato dal Financial Times e confermato anche dal presidente iracheno Barham Salih[6], Baghdad ha ospitato un incontro tra esponenti sauditi e iraniani il 9 aprile scorso: il premier Mustafa al-Khadimi sta dunque facilitando i contatti tra Riyadh e Teheran, i grandi rivali mediorientali che hanno interrotto i rapporti diplomatici nel 2016. La rivelazione è stata poi seguita dalle parole del principe ereditario saudita. Nel corso di un’intervista, Mohammed bin Salman ha infatti usato toni insolitamente concilianti con l’Iran, dichiarando la volontà di “relazioni normali” con la vicina Teheran: “vogliamo che l’Iran cresca” ha concluso, con un riferimento alla grave situazione economica iraniana[7]. Nel mese di aprile, il ministro degli Esteri dell’Iran Mohammed Javad Zarif ha visitato alcune monarchie del Golfo: Qatar, Oman e Kuwait, oltre all’Iraq. Proprio Baghdad sta provando a ritagliarsi il ruolo di mediatore fra le due potenze, Iran e Arabia Saudita, che lo tengono geopoliticamente “sulla corda”: neutralizzare l’influenza di Teheran e Riyadh significherebbe per gli iracheni ridurre le tensioni regionali, a beneficio del quadro interno (si veda Focus paese Iraq).

Da parte sua, l’Arabia Saudita sta rafforzando le relazioni diplomatiche e soprattutto economico-commerciali con l’Iraq, per depotenziare l’egemonia iraniana nel paese e i rischi di sicurezza nazionale provenienti dal fianco nord-orientale. È in questo quadro che va letto il viaggio del premier iracheno al-Khadimi a Riyadh (31 marzo) e la sua dichiarazione, “non permetteremo attacchi contro il regno”[8], che suggerisce uno “scambio politico” tra investimenti economici (dall’Arabia Saudita all’Iraq) e sicurezza delle frontiere (dall’Iraq all’Arabia Saudita). Non è da sottovalutare infatti che alcune milizie sciite irachene legate all’Iran, su tutte Kataeb Hezbollah (membro delle Forze di mobilitazione popolare), stiano aumentando gli attacchi verbali e la propaganda contro l’Arabia Saudita, condannando anche gli investimenti economici delle monarchie del Golfo in Iraq: uno scenario che mette sotto pressione il fianco nord-orientale del regno[9]. Il passaggio di frontiera di Arar tra i due paesi è stato riaperto nel novembre 2020 ed è in discussione l’apertura di un nuovo passaggio da Najaf, per favorire flussi commerciali e turistici (pellegrinaggi inclusi). Segnali di lento riavvicinamento diplomatico anche tra i sauditi e la Siria di Bashar al-Assad: il capo dei servizi d’intelligence del regno, il generale Khaled al-Humaidan, si è recato a Damasco per incontrare Assad: la riapertura dell’ambasciata saudita in Siria è diventata un’opzione possibile.

La de-escalation della politica estera saudita è iniziata, però, dalla stessa Penisola Arabica. Dal gennaio 2021, dopo la firma della Dichiarazione di al-Ula, l’Arabia Saudita ha riaperto i confini aerei, terrestri e marittimi con il Qatar: il primo risultato di un processo di riavvicinamento politico promosso da Riyadh, mediato dagli Stati Uniti e dal Kuwait. L’ambasciata saudita in Qatar starebbe per riaprire. La Libia sarà un ottimo banco di prova per testare la ritrovata intesa fra sauditi e qatarini, fin qui schierati su posizioni contrapposte: il nuovo esecutivo unitario del premier Abdul Hamid Mohammed Dbeibah ha fornito, al momento, un’opportunità di moderazione – seppur tattica – anche alle potenze regionali coinvolte, monarchie del Golfo incluse. Intanto, in Libano, potrebbe però riaccendersi la competizione tra Arabia Saudita e Qatar: quest’ultima, come in Libia, gioca qui di sponda con la Turchia. Il ministro degli Affari Esteri qatarino, Shaykh Mohammed bin Abdulrahman al-Thani, si è recato in visita a Beirut il 9 febbraio, dove ha incontrato il presidente Michel Aoun. L’incontro, che verteva su aiuti economici e progetti d’investimento in Libano, è avvenuto mentre i rapporti tra sauditi e libanesi si stavano complicando. Dal mese di marzo, Riyadh ha vietato l’ingresso e il transito di prodotti alimentari dal Libano dopo il sequestro al porto di Jedda di oltre sette milioni di pillole di Captagon[10] nascoste in un carico di melograni provenienti dal Libano. Il percorso di riavvicinamento tra Arabia Saudita e Qatar è stato avviato, ma richiede tempo e conferme, soprattutto al di fuori della Penisola Arabica.

[1] “Transcript: Saudi Crown Prince Mohammed bin Salman’s Full Interview on Vision 2030”,Al Arabiya, 29 aprile 2021.

[2] O. Poole, “Saudi Arabia bets the House on a greener planet”, The Independent, 26 aprile 2021.

[3]K. Bo Williams, “Saudis Expanding US Military Access to Airfields, Ports to Counter Iran”, Defense One, 25 gennaio 2021.

[4] S. Pioppi ed E. Rossi, “Patriot greci a Riad. Perché conta per il Mediterraneo Allargato”, Formiche.net, 21 aprile 2021.

[5] “Transcript: Saudi Crown Prince Mohammed bin Salman’s Full Interview on Vision 2030”…, cit.

[6] A. England, “Saudi and Iranian officials hold talks to patch up relations”, Financial Times, 18 aprile 2021;“Iraqi president confirms Baghdad hosted Saudi-Iranian talks ‘more than once’”, Al-Monitor, 5 maggio 2021.

[7] “Transcript: Saudi Crown Prince Mohammed bin Salman’s Full Interview on Vision 2030”…, cit.

[8] “Visiting Iraqi PM seeks to soothe Saudi security concerns”, The Arab Weekly, 1 aprile 2021.

[9] E. Ardemagni, “Saudi Arabia’s Iraqi strategy: securing the northeastern flank”, Aspenia online, 31 marzo 2021.

[10] Il Captagon è un’anfetamina prodotta soprattutto in Siria e contrabbandata all’estero attraverso il Libano, spesso con la complicità di Hezbollah che così si autofinanzierebbe.

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AUTORI

Eleonora Ardemagni
ISPI e Università Cattolica del Sacro Cuore

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