Alla vigilia delle elezioni legislative di metà mandato (simile al voto del “mid term” degli Stati Uniti) gli argentini si preparano ad un possibile terremoto politico. Il voto del 14 novembre, giro di boa del mandato presidenziale, è cruciale per stabilire come saranno gli ultimi due anni alla Casa Rosada di Alberto Fernandez. Si rinnova un terzo dei seggi del senato (24 su 72) e poco meno della metà di quelli della Camera dei deputati (127 su 257). Se si dovessero ripetere i risultati delle primarie, che in Argentina sono obbligatorie per tutti e quindi diventano una sorta di maxi-sondaggio nazionale a due mesi dal voto vero e proprio, il peronismo di Alberto e Cristina Fernandez potrebbe perdere la maggioranza assoluta nel Senato e diventare seconda forza alla Camera dietro la coalizione delle opposizioni “Juntos por el Cambio”, formata dal partito dell’ex presidente Mauricio Macri, la storica Union Civica Radical e altre formazioni minori dal centrodestra fino al centrosinistra.
È sicuramente un voto cruciale, che arriva in un momento particolarmente difficile, l’ennesimo, per l’economia argentina, con un’inflazione che non si riesce a controllare (50% la stima sugli ultimi dodici mesi) e alti indici di povertà e indigenza. Il governo ha bisogno di un’iniezione di fiducia per affrontare anche la complicata partita con il Fondo Monetario Internazionale, a cui Buenos Aires deve ancora 19 miliardi di dollari. Economia a parte, a dominare la campagna è stata, ancora una volta, la questione sicurezza. Nelle periferie delle grandi città, ad iniziare dallo sterminato hinterland di Buenos Aires, il numero dei delitti è cresciuto dopo la naturale caduta del 2020, quando per diversi mesi gran parte del paese era in un rigido lockdown. L’omicidio di un edicolante alla Matanza, il centro più grande e problematico della provincia di Buenos Aires, ha occupato gli ultimi giorni di campagna. Il commerciante è stato freddato da un pregiudicato accompagnato da una ragazza di 15 anni. I due sono stati arrestati subito dopo e la giovane ora si trova in un istituto per minori. Di fronte alle manifestazioni dei vicini del quartiere che accusano il governo di non fare nulla per frenare la delinquenza, il ministro della sicurezza Anibal Fernandez ha cercato di relativizzare le statistiche di furti, rapine e omicidi. “La criminalità esiste ovunque – ha detto – non si deve usarla a fini politici”. Non è stata l’unica dichiarazione infelice da parte del governo nel rush finale prima del voto. In visita alla provincia “ribelle” di Cordoba, che da anni vota contro il peronismo, Alberto Fernandez ha detto che “i cordobesi devono capire che è giunta l’ora di integrarsi all’Argentina”.
Uno dei termometri elettorali argentini, forse il più affidabile, è il cambio parallelo della moneta locale. Un dollaro viene scambiato oggi a 205 pesos, quando appena due mesi fa era fermo a 185. Una sorpresa potrebbe essere l’outsider di destra Javier Milei, un economista e frequentatore di talk show che ha fondato un nuovo partito denominato libertario capace di raccogliere alle primarie il 16% dei consensi. Milei, che in un futuro potrebbe anche confluire in un fronte unito contro il peronismo di governo, oggi ruba voti all’opposizione moderata e potrebbe portare a casa un discreto bottino di deputati, diventando il terzo incomodo negli equilibri in Parlamento. Se è vero che, doveroso dirlo visto le ultime esperienze, la sconfitta nel “mid term” non necessariamente porta ad una disfatta due anni dopo, alla Casa Rosada temono di dover inaugurare con un drammatico lunedì nero la seconda parte del mandato presidenziale.