La metafora del tango, ormai abusata, è però sempre calzante per descrivere la performance dell’economia argentina. Un Paese dotato di enormi potenzialità che, tuttavia, sembra costantemente prigioniero della malinconia dei fasti di un passato da potenza economica ormai destinato a non tornare più. Oggi l’Argentina – a causa della pandemia, ma non solo – si trova bloccata in una situazione difficile che, ciclicamente, tende a riproporsi. Infatti, le problematiche strutturali del Paese sudamericano – eccessivo statalismo, squilibri macroeconomici, protezionismo – che da decenni impediscono di intraprendere un percorso di crescita stabile, si sono avvitate sugli effetti nefasti del Covid-19, che qui ha colpito in maniera particolarmente dura. Spetta ora al governo del peronista di Alberto Fernández cercare di riportare l’Argentina sulla giusta direzione per agganciare il “treno” della ripresa globale. Ma non sarà facile.
L’impatto della pandemia
Nel contrastare il coronavirus, il governo argentino si è comportato in maniera ben diversa rispetto al confinante Brasile, prendendo da subito tutte le contromisure necessarie per arginare la diffusione dei contagi. Tuttavia, la pandemia ha avuto un forte impatto sul Paese, sia in termini sanitari che economici. Le statistiche ufficiali dicono che circa 3 milioni di argentini (su una popolazione di circa 40 milioni) ha contratto il Covid-19, e che circa 85mila sono deceduti (al dodicesimo posto mondiale in termini assoluti). Anche a causa dell’assetto federale che vede una divisione in province autonome rispetto al potere centrale di Buenos Aires, le strategie di contenimento del virus non sono state omogenee e questo può aver favorito una maggiore circolazione.
Le conseguenze sull’economia sono state molto pesanti, aggravando la recessione già in corso dal 2018: secondo il Fondo Monetario Internazionale l’anno scorso il Pil ha subito un crollo del 10% , facendo peggio della media della regione latinoamericana in cui il Pil si è contratto del 7%. La recessione ha anche contribuito a peggiorare altri indicatori, quali povertà (in aumento dal 35% del 2019 al 40% nel 2020) e diseguaglianze, con il coefficiente GINI molto più alto che nelle economie avanzate (il 20% più povero possiede solo il 5% del reddito disponibile nazionale). Anche i parametri di bilancio (già messi a dura prova da un ciclo negativo a livello internazionale che aveva depresso le entrate fiscali per i bassi prezzi delle materie prime) ne hanno risentito: il rapporto deficit/Pil che ha raggiunto il 6,5%, mentre la sostenibilità del debito estero è stata nuovamente messa in discussione con una tranche di 2,4 miliardi di dollari che ha dovuto essere rinegoziata con i debitori rappresentati dal Club di Parigi.
Insomma, niente di nuovo sotto il cielo dell’Argentina, che ha dovuto scontare anche altri problemi annosi come l’inflazione galoppante nonostante i ripetuti tentativi di riportarla sotto controllo (al di sopra del 40% nei mesi scorsi), e la bassa produttività del lavoro (del 58% più bassa rispetto alla media OCSE) che ha contribuito a penalizzare la competitività internazionale del Paese negli ultimi decenni abbassandone il potenziale di crescita.
Quali prospettive per la ripartenza?
Da tutto ciò emerge, dunque, come la pandemia da Covid-19 si sia inserita in un contesto economico e sociale che si trovava già in difficoltà. Dopo il sostanziale fallimento delle riforme pro-mercato introdotte dal governo di centro-destra di Mauricio Macri (2015-18), il ritorno al peronismo di matrice kirchnerista guidato da Alberto Fernández (affiancato alla vice-presidenza proprio da Cristina Fernández de Kirchner, già capo di Stato dal 2007 al 2014) ha visto una nuova virata verso politiche di stampo più nazionalista e assistenziale, seppur in un quadro di maggiore prudenza a livello internazionale rispetto agli “anni d’oro” del kirchnerismo che avevano rischiato di trasformare l’Argentina in un “paria” economico seguendo una traiettoria simile a quella del Venezuela.
Come la maggior parte degli altri Paesi, anche l’Argentina dovrebbe sperimentare un “rimbalzo” positivo in termini di crescita economica, che nel 2021 potrebbe raggiungere il 7% e nel 2022 il 3%. Tuttavia, secondo l’OCSE, Buenos Aires avrà recuperato il terreno perduto in termini di Pil rispetto al periodo pre-pandemia solo a metà del 2026, registrando il tasso di crescita più basso tra i Paesi del G20. Tutte le componenti del Pil sono attese in ripresa ma, come in passato, la crescita dovrebbe essere trascinata principalmente dalla performance dell’export a causa del ciclo favorevole dei prezzi delle commodities (l’Argentina è infatti uno dei principali esportatori mondiali di soia e altri prodotti agricoli di cui la Cina è principale consumatore). Un modello di crescita export-led che rischia di essere nuovamente troppo sbilanciato e dipendente dalla volatilità dei mercati esteri, mentre la domanda interna rischia di essere un driver di crescita ancora troppo debole poiché i consumi privati risentono dell’elevata inflazione e disoccupazione aggravata dai lockdowns per contrastare il Covid.
La favorevole congiuntura legata alle materie prime interverrà in aiuto dei conti pubblici, consentendo al deficit di bilancio di rimanere entro livelli contenuti e di destinare maggiori risorse per programmi di welfare e per investimenti pubblici in infrastrutture. Al contempo, questo nuovo boom delle commodities potrebbe attirare investimenti privati nel settore agricolo, soprattutto per quanto riguarda i macchinari. Fattori che potrebbero garantire una ripresa solo temporanea, se non dovessero essere gettate le basi per un modello di crescita più stabile volto ad attirare capitali stranieri in settori a più alto valore aggiunto dell’industria manifatturiera e dei servizi. La pandemia ha contribuito a ridurre ulteriormente l’afflusso di Investimenti Diretti Esteri (IDE) nel Paese con un crollo del 47% nel 2020, peggiorando un business environment già non propriamente favorevole ai capitali esteri. Proprio a causa del quadro normativo e burocratico incerto e complesso, già prima della pandemia multinazionali come Amazon, General Motors e Nike stavano valutando di sospendere i propri progetti di investimento nel Paese.
L’Argentina nel contesto internazionale
Gli anni in cui i governi kirchneristi da Buenos Aires avevano dichiarato guerra all’ordine internazionale di stampo liberale sembrano ormai alle spalle. Durante la presidenza di Mauricio Macri l’Argentina aveva cominciato a uscire dalla posizione di isolamento in cui si era collocata, “certificando” il proprio ritorno sulla scena globale con la Presidenza di turno del G20 occupata nel 2018. Il Governo di Fernández, seppur nel quadro di un orientamento politico più orientato al populismo e all’interventismo statale nell’economia, ha manifestato l’intenzione di sostenere l’attuale quadro multilaterale e anche di voler riallacciare i rapporti con gli Stati Uniti, essendo tra i primi a congratularsi con Joe Biden dopo la sua elezione alla Casa Bianca. Tuttavia, l’Argentina rimane un Paese sostanzialmente protezionista a livello commerciale, come si evince dall’orientamento adottato dal MERCOSUR, l’organizzazione di integrazione regionale di cui fa parte insieme a Brasile, Paraguay e Uruguay.
L’accordo di libero scambio raggiunto nel 2019 con l’Unione Europea sembrava un passo molto promettente verso una maggiore apertura agli scambi, ma il processo di ratifica è ad un punto morto: da parte dei Parlamenti nazionali dell’UE c’è il timore che il settore agricolo domestico venga penalizzato dall’arrivo di prodotti a basso costo dal Sudamerica. In questo quadro, ovviamente non può essere dimenticata la Cina che, in ragione del proprio elevato fabbisogno di materie prime agricole, ha incrementato negli ultimi anni (già durante il governo Macri) le proprie relazioni con l’Argentina, sia in termini di scambi commerciali che di investimenti.
Costantemente in bilico tra sviluppo e stagnazione
Le prospettive di medio periodo per l’Argentina sono discretamente positive, ma l’attuale quadro macroeconomico e sociale non lascia sperare che ci siano i presupposti per una crescita e uno sviluppo più solidi e duraturi. La disponibilità di capitale umano qualificato rispetto al resto della regione sudamericana – un asset tradizionale del Paese – rischia di essere deteriorata dalle crescenti disuguaglianze economiche e sociali che potrebbero escludere dall’accesso a istruzione di qualità ampie fasce della popolazione. L’attuale congiuntura favorevole a livello internazionale dovrebbe essere accompagnata da riforme strutturali tese a migliorare la competitività dell’Argentina, rendendola più attrattiva per i capitali stranieri ma rafforzando al contempo la struttura produttiva e il mercato interno. Le elezioni di medio termine, che si terranno a ottobre 2021, saranno un appuntamento chiave per verificare la stabilità del Governo Fernández, da cui dipenderà la direzione che prenderà il Paese nei prossimi anni.