Sebbene abbia attuato una politica diametralmente opposta a quella del suo grande “rivale” brasiliano, l’Argentina del presidente Alberto Fernandez e della vicepresidente Cristina de Kirchner non è riuscita ad arginare il gran numero di contagi – circa 1.375.000 e 37 mila morti – che hanno fatto dell’Argentina il nono Paese più colpito al mondo. Difatti, il piano «prima la salute» attuato dalla Casa Rosada, sebbene abbia ricevuto il plauso dell’OMS, non ha tenuto botta rispetto al crollo verticale dell’economia argentina negli otto lunghissimi mesi di lockdown totale, registrando un crollo di quasi il 20% del Pil nei primi mesi di chiusura con la susseguente fuga di capitali stranieri e dimezzamento dello stockdi dollari presenti nel sistema bancario argentino. Le conseguenze di questo crollo hanno portato il Fondo Monetario Internazionale a stimare un calo del Pil Argentino dell’11,8% a fine 2020, con una ripresa stimata al 4,9% per il 2021.
Ancora più poveri
Inoltre, la crisi economica e sociale scoppiata in seguito all’epidemia di COVID-19 ha colpito un ulteriore punto debole tra gli indicatori economici argentini: quello della povertà. Infatti questa, già difficile da affrontare nel periodo pre-Covid e vera e propria spada di Damocle per la politica argentina, si è ulteriormente aggravata estendendosi quasi il 41% della popolazione.
Oltre al dramma povertà, l’Argentina si trova in questi anni a sperimentare un paradosso: quello di trovarsi quasi nel momento di zenit della sua finestra demografica di opportunità, ossia nel momento storico in cui in un Paese si presenta un maggior numero di individui in età lavorativa, i quali perciò mantengono un numero relativo più basso di anziani e giovani a carico. Questo è un momento cruciale della vita di un Paese nel corso del quale – per l’Argentina si stima che durerà altri 25-30 anni – si cercano di ridurre al minimo gli indici della povertà con massicci investimenti nella sanità pubblica, nell’istruzione e nella creazione di un “sano” mercato del lavoro, consentendo dunque la formazione di una massa consistente di popolazione in età attiva che alimenta il sistema pensionistico. Molti Stati europei e asiatici hanno sfruttato in passato tale finestra e, se l’Argentina non introdurrà un serio pacchetto di misure fiscali e monetarie atte ad affrontare la crisi economica già in atto, rischia di pagarne amaramente le conseguenze.
Quale ripresa?
Per tale motivo, il governatore della FED Jerome Powell e alcuni economisti statunitensi, tra cui il professor Peter Atwater dell’Università della Virginia William&Mary, hanno discettato intorno alla maniera attraverso la quale molti Stati usciranno in futuro dalla crisi simmetrica prodotta dall’epidemia di COVID-19. In particolare, facendo riferimento alle celeberrime curve a V, L o ad U di recupero più o meno lento da una recessione economica, si è evidenziata la possibilità per alcuni Paesi, tra cui l’Argentina, di uscire dalla crisi attuale come se si muovessero lungo una curva a forma di K.
Il riferimento a tale lettera però non è tanto per indicare in toto la traiettoria dell’economia quanto per evidenziare un fenomeno sociale già preesistente alla crisi in atto, che il COVID ha solamente peggiorato, ponendo l’accento sulle diverse capacità di persone, aziende, industrie e degli stessi Paesi di adattarsi e fronteggiare sia la minaccia odierna dell’epidemia sia i cambiamenti che occorrono sovente nell’economia globale. Una curva questa che si focalizza su come parti della società sperimentino diversi tipi di recessione – più rapida alcuni, più lenta e dolorosa altri – ampliando il divario già esistente in un determinato Paese. Da un lato della curva vi sono infatti coloro che si adattano e riescono ad andare avanti, collocandosi sulla linea obliqua ascendente della K; dall’altro coloro che, inermi, scivolano verso il fondo peggiorando inesorabilmente la loro condizione sociale.
Ciò evidenzia quello che già negli Stati Uniti sembra realtà, ossia livelli di disuguaglianza che non si vedevano dai tempi del primo Dopoguerra, e lascia presagire ben poco di buon per quanto concerne Paesi con economie molto fragili come il caso argentino. L'impatto della pandemia sulla situazione socio-economica in America Latina in generale, e in Argentina in particolare, è stato considerato eccezionalmente gravoso.
L’azione del FMI
Nel luglio 2020 il presidente della Banca Mondiale, David Malpass, ha annunciato che l'America Latina avrebbe avuto la peggiore recessione degli ultimi 120 anni, con un calo medio del 7%. Per l'Argentina, la situazione di partenza è stata aggravata da una forte crisi economica scatenata già a maggio 2018, a causa di una situazione di imminente defaultdel debito estero che ha portato nel 2019 alla più grande operazione di salvataggio nella storia del Fondo Monetario Internazionale. La crisi si è aggravata nel 2019 con un nuovo default “selettivo”, che ha causato un calo del 4,9% del Pil per il biennio 2018-2019, insieme a un elevato indebitamento, nonché un aumento della disoccupazione (dal 7,2% nell'aprile 2018 al 10,1 % a dicembre 2019) e inflazione del 53,8% nel 2019 (il tasso più alto dal 1991), la chiusura di oltre 20 mila aziende, e un forte aumento della povertà e dell'insicurezza alimentare negli anni precedenti.
Un futuro incerto
Come ha fatto Powell per quanto riguarda l’economia statunitense, così ha fatto il direttore esecutivo della Borsa argentina, Claudio Zuchovicki, il quale ha indicato che in Argentina la ripresa seguirà esattamente il tracciato della curva K. L’economia argentina può guardare favorevolmente alla congiuntura internazionale riguardo i prezzi della soia, oro, grano, argento, criptomonete nei mercati internazionali. A questo si devono aggiungere i bassi tassi di interesse sui vari titoli internazionali che si aggirano sotto il 2% annuale, rendendo più favorevole la produzione e gli investimenti in generale. Una duplice azione questa non facile da realizzarsi, ma nemmeno impossibile da sfruttare così come ha fatto la Cina Popolare, primo Paese a subire le conseguenze del COVID, dove ora il Pil chiuderà il 2020 con un +3% oppure gli Stati Uniti che hanno recuperato tre quarti dei 21 milioni di posti lavoro andati in fumo tra la primavera e l’estate di quest’anno.
Ovviamente il paragone tra l’Argentina e le due superpotenze economiche sopracitate è chiaro: USA e Cina potevano e possono spendere per sostenere i consumi, ma l’Argentina, secondo Zuchovicki, può risalire la china in forma di K, facendo leva sul comparto alimentare, edilizia, salute – su cui si è incentrata una buona parte delle misure del governo Fernandez-Fernandez – e settore tecnologico, sacrificando, almeno per ora, il settore alberghiero e il turismo internazionale, che inevitabilmente continuano a precipitare verso il basso.
Bisogna, dunque, evitare che le opportunità apertesi proprio a causa della crisi, come si è soliti in Argentina, «si convertano in crisi». In tal senso, va letto il positivo accordo raggiunto tra governo argentino e Fondo Monetario Internazionale per il rifinanziamento del debito di 44 miliardi di dollari attraverso il meccanismo noto come Extended Credit Facility (ECF), il quale consentirebbe a Buenos Aires, con le dovute riforme volte a promuovere gli investimenti, di far rimbalzare in tempi relativamente rapidi il Pil ed evitare una ripresa molto più lenta che porterebbe con sé anche un effetto ancor più drastico sulla società argentina.
La scorsa settimana, in effetti, al termine della visita di dieci giorni di una delegazione a Buenos Aires guidata dalla vicedirettrice del Dipartimento dell'Emisfero occidentale, Julie Kozack, e dal capo della missione per l'Argentina, Luis Cubeddu, il FMI ha diramato un comunicato in cui ha confermato che esistono le basi per una intesa. La delegazione si dice che abbia «accolto positivamente l'intenzione delle autorità argentine di sollecitare un programma di sostegno del FMI e di volerlo tranquillizzare con un ampio consenso politico e sociale». Secondo l'agenzia di stampa argentina Telam, «il nuovo programma offrirebbe un margine di almeno quattro anni e mezzo per cominciare a pagare il debito e includerebbe la presentazione al Congresso di un programma di consolidamento macroeconomico pluriennale, in cui si determineranno gli obiettivi fiscali, monetari e finanziari per percorrere un cammino di equilibrio dei costi pubblici all'orizzonte 2025».
I il team del Fondo ha «accolto con favore l'intenzione delle autorità di richiedere un programma nell'ambito del Servizio ampliato dell'FMI (lo Structural Adjustment Facility SAF o EFF), nonché la loro intenzione di sostenerlo con un ampio consenso politico e sociale». Hanno anche evidenziato il raggiungimento di accordi con i funzionari del governo per affrontare le sfide a breve e medio termine dell'Argentina, le quali «richiederanno un insieme di politiche attentamente calibrate per promuovere la stabilità, ripristinare la fiducia, proteggere i più vulnerabili e gettare le basi per una crescita sostenibile e inclusiva». Gli analisti sostengono che, affinché il FMI accetti di concedere un Extendend Found Facility(EFF), l'Argentina dovrà impegnarsi a realizzare una serie di riforme strutturali che tendano a garantire la capacità di rimborso in futuro, anche se allo stesso tempo hanno mostrato un certo scetticismo sulla misure intraprese in agosto dal governo e temono un nuovo intervento futuro del Fondo con effetti drastici sulle riserve e il deficitcommerciale argentini.