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Commentary

Artico: la UE gioca la sua carta

Alessandro Gili
|
Alberto Rizzi
22 ottobre 2021

Lo scorso 13 ottobre, la Commissione Europea ha presentato la propria strategia per l’Artico, un documento che rappresenta un radicale cambiamento di approccio e testimonia la volontà, da parte di una Commissione autodefinitasi “geopolitica”, di una presenza in una regione di grande importanza per le sfide del futuro, sia climatiche che economiche. La precedente strategia europea per l’area risaliva infatti al 2016, e diversi analisti avevano, già negli anni scorsi, indicato come fosse necessario aggiornare una posizione che era stata ormai abbondantemente superata dagli sviluppi sul campo. Una necessità ancora più forte se si considera che la regione artica si trova non solo nelle immediate vicinanze dell’Unione europea, ma addirittura tre Stati membri – Danimarca, Svezia, e Finlandia – hanno parte del proprio territorio all’interno del Circolo Polare Artico. Oltre alla prossimità geografica, e alle conseguenze per l’Unione rispetto a quanto accade nella regione, una politica artica europea risulta indispensabile anche alla luce dell’importanza dell’UE come attore economico e leader globale della transizione verde.

L’Artico rappresenta a tutti gli effetti una cartina di tornasole del riscaldamento globale e delle politiche messe in atto per contrastarlo. Con una temperatura in crescita a ritmi più che doppi rispetto alla media globale e il rapido scioglimento del ghiaccio marittimo, la regione artica sta attraversando una fase di profondi cambiamenti e il suo monitoraggio permette di raccogliere preziose informazioni per agire sul fronte climatico. Un Artico sempre più caldo significa un pianeta sempre più caldo, con una maggiore superficie che anziché riflettere il calore solare, lo assorbe, contribuendo così all’aumento delle temperature globali.

 

Non solo clima

Oltre alla rilevanza della regione artica in campo ambientale, la pubblicazione di una strategia europea per la regione si colloca sulla scia di una crescente importanza dell’area in termini economici e politici. In larga parte favorita dai cambiamenti climatici, nell’ultimo decennio si è sviluppata una vera e propria “corsa all’Artico” tra i maggiori attori regionali e globali. Il riscaldamento globale sta infatti rapidamente trasformando il Polo Nord da un’area remota e inaccessibile a una regione ricca di potenzialità e, di conseguenza, in grado di attirare le attenzioni di diversi attori esterni.

La regione artica è infatti caratterizzata dalla presenza di diverse risorse energetiche e minerarie, sia nel sottosuolo che nelle piattaforme continentali. Risorse che, con lo scioglimento dei ghiacci, stanno diventando progressivamente accessibili e nel prossimo futuro se ne ipotizza l’estrazione e lo sfruttamento su larga scala. Secondo le esplorazioni più recenti, si stima che la regione artica contenga il 13% delle riserve globali di petrolio non ancora scoperte e il 30% di quelle di gas naturale, costituendo quindi un importante fonte di risorse energetiche. Seppure non si tratti di quantità tali da modificare le dinamiche energetiche globali, i combustibili fossili presenti nell’Artico, in prevalenza in giacimenti sottomarini, sono presenti comunque in quantità tali da renderne appetibile l’estrazione. Oltre ai giacimenti di petrolio e gas, l’Artico è ricco di metalli e minerali, tra cui spiccano carbone, piombo, e nickel, e di diverse terre rare: la regione di Narsaq, in Groenlandia, conterrebbe fino a un quarto delle terre rare del mondo nel suo sottosuolo. La crescente domanda per questi componenti, chiave delle tecnologie di transizione energetica, estende ulteriormente l’importanza della regione artica nella geoeconomia di domani.

Vi sono poi altri due elementi di potenziale economico che spingono la corsa all’Artico: le nuove rotte commerciali che si stanno aprendo con lo scioglimento dei ghiacci, e le prospettive di sviluppo tecnologico. La rotta navale artica, divenuta percorribile per diversi mesi l’anno a causa del riscaldamento globale, rappresenta la via marittima più breve tra l’Est Asiatico e l’Europa, evitando un collo di bottiglia come quello del Canale di Suez. In aggiunta, non presenta rischi legati alla pirateria, tipici di Malacca e del Corno d’Africa; ad ogni modo, resta un’opzione molto costosa a causa della necessità di ingaggiare rompighiaccio, spesso nucleari, e al momento non vi sono volumi di traffico elevati. Tuttavia la Russia, al largo delle cui coste passa gran parte della rotta, ha grandi piani di sviluppo: per il 2030 Mosca punta ad avere 150 milioni di tonnellate di beni trasportate lungo la rotta artica, di cui almeno il 20% in transito, e prevede investimenti di oltre 8 miliardi di euro in infrastrutture legate alla navigazione.

Oltre al potenziale economico delle rotte, l’Artico costituisce poi un enorme laboratorio scientifico a cielo aperto dove studiare nuove tecnologie per l’estrazione di risorse e le varie attività collegate. In modo non dissimile da quanto sta avvenendo per lo spazio, chi sarà in grado di svilupparle per prioa otterrà un vantaggio competitivo, applicabile anche in altri settori produttivi.

Infine, la regione artica risulta cruciale dal punto di vista strategico per le principali potenze globali. La sua posizione, infatti, da un lato domina le vie di rifornimento dell’Atlantico del Nord, cruciali per la NATO, dall’altro rappresenta la prima linea di difesa settentrionale della Russia, oltre a una base sicura per proteggere sottomarini nucleari da eventuali attacchi in zone più esposte. L’Artico costituisce poi una regione chiave per l’installazione di missili a lungo raggio, data la capacità di colpire l’intero emisfero settentrionale se basati all’interno del Circolo Polare Artico; una possibilità, questa, che preoccupa sia Mosca che Washington e che sta contribuendo a una militarizzazione della regione mai vista dai tempi della caduta dell’Unione Sovietica.

 

Stabilità e clima e come priorità per l’UE

La crescente valenza geopolitica dell’area è immediatamente riconosciuta dalla strategia europea, la quale, pur sottolineando come il primo fattore di rischio per la regione rimanga quello climatico, punta il dito contro la competizione tra potenze nell’area e i possibili danni agli interessi europei. Non a caso, infatti, il primo obiettivo comunitario è quello di mantenere una cooperazione pacifica tra gli attori regionali, riconoscendo il deterioramento della stabilità dell’Artico e indicando come l’Unione debba impegnarsi in prima linea al riguardo. Si tratta di un notevole salto di qualità dell’impegno europeo nella regione, che prevede di sviluppare nuove capacità strategiche in stretta collaborazione con i partner NATO, ipotizzando anche un utilizzo dual-use del sistema satellitare Galileo, ad oggi limitato a operazioni Search and Rescue (SAR).

Anche sul fronte diplomatico l’azione dell’UE nell’Artico verrà potenziata con l’apertura di un ufficio permanente della Commissione a Nuuk, in Groenlandia, in stretta cooperazione con l’Inviato Speciale UE per l’Artico, l’Ambasciatore Michael Mann.

La stabilità della regione rappresenta per l’UE il prerequisito indispensabile per poter affrontare adeguatamente le sfide climatiche ed economiche dell’Artico. L’importanza dell’area dal punto di vista ambientale rende la sua tutela da parte dell’Unione una conditio sine qua non per raggiungere la leadership globale della transizione verde cui Bruxelles aspira apertamente. Oltre al pacchetto Fit-for-55 e alle varie misure per ridurre le emissioni carboniche, l’UE ha presentato iniziative regionali: l’installazione di capacità di energia rinnovabile nel Circolo Polare Artico, in netta contrapposizione rispetto all’interesse di Russia e Cina per gli idrocarburi artici, e la riduzione delle emissioni dei trasporti usati nella regione, migliorando anche la connettività degli insediamenti nell’area. Non viene tuttavia negata l’importanza dei giacimenti presenti nella regione per l’autonomia strategica UE, e la Commissione punta a regolarne l’estrazione con i più rigidi criteri di sostenibilità: la Svezia prevede di estrarre metalli a zero emissioni per il 2035.

L’Unione intende, infine, promuovere la ricerca scientifica e l’innovazione della regione, in una dimensione fortemente connessa agli obiettivi climatici. Oltre alla costruzione di una diversa – e meno impattante – blue economy per le risorse marine dell’Artico, la Commissione prevede di utilizzare lo strumento di Horizon 2020 EU-PolarNet 2 (2020-23) per rafforzare le ricerche sull’ecosistema regionale e su come proteggerlo adeguatamente in un futuro caratterizzato maggiori attività economiche nell’area.

 

L’UE cerca spazio in una regione piuttosto affollata

La strategia europea per l’Artico, pur costituendo un netto salto di qualità della presenza UE nella regione, si scontra con la difficoltà di trovare un margine d’azione adeguato in un’area già caratterizzata dalla competizione fra grandi potenze. La corsa all’Artico è infatti in pieno svolgimento e l’Unione europea è un concorrente piuttosto recente, anche a causa della reticenza di diversi attori locali a lasciarle spazio. L’Unione si è vista rifiutare più volte (principalmente a causa di tensioni commerciali) lo status di Osservatore nel Consiglio Artico, la principale istituzione di governance della regione, uno status invece garantito a Pechino nel 2013. Status che invece appartiene a Italia, Germania, Francia, Spagna, Polonia e Paesi Bassi, dimostrando quindi l’importanza dell’Artico anche per Paesi non artici. Il Consiglio Artico, pur avendo competenza prevalentemente su questioni tecniche, rappresenta un forum utile per la discussione delle dinamiche regionali e non potervi partecipare limita le possibilità per l’Unione di accreditarsi a pieno titolo come un attore regionale. L’assenza dell’Unione, unita alla riluttanza USA a giocare un ruolo di primo piano della regione, ha inoltre contribuito a lasciare spazio a Russia e Cina.

Mosca è indubbiamente l’attore artico di più lungo corso e, sin dall’inizio della Guerra Fredda ha adottato una politica regionale principalmente improntata alla difesa strategica. Tuttavia, il Cremlino ha recentemente aumentato gli investimenti economici nella regione, fornendo incentivi fiscali e sviluppando infrastrutture, soprattutto portuali. Le attività principali russe riguardano l’estrazione di idrocarburi, e difficilmente Mosca potrà essere persuasa dalla proposta europea di una moratoria delle estrazioni nell’Artico, e la pesca che fornisce un terzo del totale del pesce pescato in Russia. I recenti investimenti russi nella regione sono però andati di pari passo con una militarizzazione dell’Artico, una dinamica che sta allarmando i Paesi NATO, oltre a preoccupare l’UE.

Più recente, e meno improntata all’hard power, è invece la presenza cinese nell’area: Pechino non ha mai nascosto le proprie ambizioni nella regione, e ha incrementato il proprio attivismo. Se la realizzazione di una Via della Seta Polare – sul modello BRI – sembra ancora lontana, il coinvolgimento cinese nelle attività minerarie dell’Artico è cresciuto rapidamente. L’aspetto più controverso dell’azione di Pechino va tuttavia individuato nei ripetuti tentativi di acquisire infrastrutture e installazioni dal potenziale dual-use, con la prospettiva che investimenti economici e scientifici si trasformino in basi per una politica regionale maggiormente assertiva.

In una regione così affollata, il margine di azione per l’UE appare dunque limitato e le intenzioni manifestate nella strategia dovranno essere seguite da azioni coerenti e tempestive. Altrimenti, il rischio per Bruxelles è di ritrovarsi spettatore nella corsa all’Artico.

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