Il Sud-Est asiatico sta acquisendo sempre più importanza nello scenario internazionale grazie alla sua posizione strategica lungo le rotte commerciali marittime e al suo dinamismo economico. Da una parte l’Unione Europea si è dotata di una strategia per l’Indo-Pacifico. Intanto Stati Uniti e Cina guardano con crescente interesse alla regione. E questa situazione rappresenta per i Paesi ASEAN sia un’opportunità sia una sfida. Da un lato, i loro governi possono contare sull’interesse delle potenze occidentali e del Dragone ad approfondire la cooperazione politica e commerciale. Dall’altro, le crescenti tensioni soprattutto tra Washington e Pechino, rendono difficile per i 10 membri del gruppo trovare un punto d’equilibrio. Esempio interessante è il tentativo dei Paesi più grandi del blocco di mantenere una certa equidistanza tra USA e Cina per trarre i maggiori vantaggi dai rapporti con entrambi e, al contempo, mantenere (affermare) la loro autonomia.
Il rapporto ambivalente con la Cina nel settore della sicurezza
Un terreno particolarmente impervio in questo scenario è quello della sicurezza. Sia statunitensi che cinesi monitorano con attenzione le reciproche mosse nell’area. Ma al momento, per alcuni membri dell’ASEAN è il rapporto con la Cina a risultare più complicato. Succede nel caso delle contrapposte rivendicazioni sulle isole Spratly - contese tra Cina, Vietnam, Malesia, Filippine, Taiwan e Brunei. Il Dragone appare un vicino ambivalente: un partner irrinunciabile, ma anche una potenza militare sempre più assertiva. La graduale militarizzazione del Mar Cinese Meridionale sta spingendo tutti i governi del blocco – anche quelli, tra cui Singapore, che non hanno dispute territoriali in corso con la Cina– a investire nella difesa e cercare partnership internazionali. Partner tra i quali anche Pechino. Come fa la Cambogia, per esempio. Alleato storico della Cina nella regione, sta collaborando direttamente con Pechino per modernizzare la sua principale base navale – iniziativa guardata, ovviamente, con preoccupazione dal Presidente americano Joe Biden. O l’Indonesia: Pechino e Giacarta hanno annunciato che ricominceranno presto a svolgere esercitazioni militari congiunte.
Indonesia: dopo il G20 si destreggia con abilità tra le due potenze in cerca di leadership
L’Indonesia, oltre che in materia di sicurezza, ha dimostrato un forte interesse a cooperare con la Cina anche sul piano economico. Dopo la conclusione del G20 di Bali, il Presidente cinese Xi Jinping si è trattenuto per un incontro bilaterale con il Presidente indonesiano Joko Widodo, seguito da una dichiarazione congiunta nella quale i due leader hanno anticipato un rafforzamento della cooperazione in vari settori. In particolare, nello sviluppo delle infrastrutture: le aziende cinesi hanno già ottenuto una buona porzione delle commesse legate allo sviluppo della rete ferroviaria indonesiana. Sul piano politico, poi, Giacarta ha espresso la sua adesione al principio di non-interferenza negli affari interni caro a Pechino. Adesione importante questa perché la Cina riceve critiche dall’estero specificamente per il trattamento della minoranza islamica nello Xinjiang e l’Indonesia è il più grande Paese a maggioranza musulmana del mondo.
Nonostante tutto però, anche l’amministrazione Widodo cerca di tenere un certo equilibrio nei rapporti con USA e Cina, non intendendo appiattirsi sulle posizioni né degli uni né degli altri e rifiutando la logica della “nuova Guerra fredda”.
L’Indonesia non è la sola in questo atteggiamento che è infatti condiviso dalla grande maggioranza dei governi ASEAN – oltre che dalle economie emergenti del G20. Giacarta, con la sua Presidenza G20, ha quindi simbolicamente inaugurato una nuova fase del dibattito internazionale in cui il Sud globale avrà un peso molto maggiore, che sarà sancito anche nei due prossimi vertici delle 20 maggiori potenze mondiali ospitati da India e Brasile. Se servisse un ulteriore segnale dell’accresciuta statura politica del Paese ASEAN che va di pari passo con la forza della sua economia, Giacarta sta traendo vantaggio dalle trasformazioni nelle catene di approvvigionamento globali legate alla guerra russo-ucraina. A partire dai rapporti con il Vecchio continente. A causa del conflitto, l’UE ha dovuto cercare nuovi fornitori di olii vegetali, combustibili fossili e acciaio e ha guardato all’Estremo Oriente. Ecco allora che le aziende indonesiane produttrici stanno avendo l’occasione di accrescere i volumi del loro import europeo.
Le economie ASEAN: crescita favorita dal libero commercio
Indonesia a parte, anche gli altri Paesi ASEAN sembrano avere ottime prospettive di sviluppo economico al punto che il blocco potrebbe divenire la quarta economia mondiale entro il 2030. La ripresa post-Covid prosegue – seppur in modo differente tra i vari membri del blocco – anche grazie a un maggiore coordinamento delle politiche economiche e sanitarie a livello regionale.
I dieci sono un laboratorio di innovazione digitale e tecnologica mondiale sempre più importante, anche a fronte di alcune complicazioni. Se infatti i loro governi continuano a incoraggiare la data economy, il forte controllo sui cittadini esercitato dalle autorità pubbliche frena la crescita del settore e costituisce motivo di preoccupazione sul piano delle libertà civili e politiche.
Altro settore dove l’ASEAN giocherà un ruolo sempre più importante è quello dei semiconduttori. In un contesto di crisi globale delle catene di approvvigionamento, questa industria vale attualmente il 22% dell’export mondiale. Singapore e Malesia sono già grandi centri di produzione di chip e possono attrarre nuovi investimenti da USA, Taiwan e Corea. Thailandia e Vietnam hanno varato dei piani ambiziosi di incentivi e investimenti per agevolare l’apertura di nuovi stabilimenti manifatturieri nel proprio territorio. Anche l’Indonesia rappresenta un ambiente dallo sviluppo promettente in questi settori. Un limite al pieno sviluppo resta però la mancanza di infrastrutture e accordi commerciali significativi con i partner internazionali.
Con il delinearsi di questi scenari, il blocco può trarre grande vantaggio dalla liberalizzazione degli scambi commerciali. In particolare l’entrata in vigore del Regional Comprehensive Economic Partnership (RCEP) – che include, oltre ai Paesi ASEAN, Cina, Giappone, Australia e Nuova Zelanda – potrebbe rendere queste economie, già orientate all’export, ancora più dinamiche. Senza contare il ruolo dell’UE, che resta un partner commerciale di sviluppo fondamentale per l’ASEAN, interlocutore con cui costruire rapporti solidi e duraturi. Dopo i trattati di libero scambio conclusi con Vietnam e Singapore, Bruxelles potrebbe concludere degli accordi anche con Indonesia – i negoziati sono in fase avanzata – e Malesia.
I rischi derivanti da una fase di instabilità politica
Nel fare un quadro dei nuovi scenari di sviluppo, bisogna ricordare che la crescita economica, anche nella regione, è influenzata e quindi può essere rallentata dall’inflazione galoppante di questi mesi, andata ad aggiungersi alle tensioni sociali e politiche in corso. L’aumento del costo della vita e la diseguale distribuzione della ricchezza prodotta dalla crescita colpiscono direttamente i ceti popolari dei Paesi ASEAN, interessati certo da una situazione economica delicata ma anche dall’incertezza politica. È successo in Malesia dove le elezioni si sono concluse per la prima volta con un hung Parliament, prolungando la già profonda crisi del sistema politico locale: una via di uscita sembra essere stata trovata con la nomina a primo ministro di Anwar Ibrahim. Nelle Filippine, dove le consultazioni di alcuni mesi fa hanno avuto un risultato netto, ma non per questo meno controverso: Ferdinand “Bongbong” Marcos Jr., figlio dell’ex dittatore, ha trionfato alle urne, aprendo una fase di incertezza riguardo alle politiche di governo e al collocamento internazionale del Paese. Manila era stato in passato alleato storico degli USA nella regione; l’amministrazione di Rodrigo Duterte però più recentemente aveva operato un avvicinamento a Pechino. Marcos Jr. sembra aver cambiato (di nuovo) rotta ricevendo nella capitale la Vicepresidentessa americana Kamala Harris. E situazione critica rimane il Myanmar: qui il regime militare può contare oggi solo sul supporto cinese.
Il ruolo crescente dell’ASEAN
Pur con diverse sfumature anche accese, i Paesi ASEAN hanno fino ad ora dimostrato di sapersi destreggiare tra le due superpotenze e di riuscire a mantenere una linea il più possibile “neutrale” e “autonoma”. Lo dimostra per esempio il viaggio a Pechino del segretario generale del Partito comunista vietnamita Nguen Phu Trong, il primo a essere ricevuto da Xi Jinping dopo la conclusione del XX Congresso del Partito comunista cinese.
In questo contesto di crescenti tensioni sia sul piano interno che internazionale, l’ASEAN diventa allora sempre più un interlocutore centrale nel coordinare le politiche dei Paesi di tutto il Sud-Est asiatico. Supportandosi a vicenda, i Paesi del blocco riescono a cooperare con Cina e USA senza rinunciare alla propria indipendenza o schierarsi troppo con uno o con l’altro. Intanto, l’organizzazione regionale è diventata anche luogo dove discutere “internamente” di questioni controverse - dalla sovranità sulle isole Spratly alla posizione da assumere su Myanmar per esempio – e senza subire il divide et impera che potrebbe esercitare la Cina.
Ecco allora che, in un tale scenario se le tensioni tra USA e Cina continueranno ad acuirsi, è credibile immaginare un consolidamento del ruolo dell’organizzazione nello scacchiere mondiale.
(Con il contributo di Pierfrancesco Mattiolo, Università di Anversa)