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#2022 TRANSIZIONE VERDE

Ora l'atomo è a prova di fusione

Alessandro Dodaro
07 gennaio 2022

L'uso sempre più diffuso di sistemi di mobilità elettrica, l'aumento della popolazione mondiale, il crescente utilizzo di sistemi di condizionamento dell'aria e di dispositivi elettronici fanno prevedere una rapida impennata della domanda di energia elettrica su scala mondiale.

Uno degli obiettivi strategici del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) è rappresentato dalla transizione energetica e una parte consistente delle risorse disponibili è stata destinata a progetti e interventi che vanno in questa direzione. Il Piano, in linea con il Green Deal lanciato dall'Unione Europea a fine 2019 con l'obiettivo di raggiungere la neutralità climatica in Europa entro il 2050, finanzierà iniziative per il miglioramento dell'efficienza energetica e l'incremento della produzione da fonti rinnovabili.

 

I diversi reattori nel mondo

Ma sarà davvero possibile raggiungere la neutralità climatica nei tempi previsti? Secondo le previsioni della EIA, nel periodo 2018-50 l'aumento nella produzione di energia rinnovabile a livello mondiale non sarà sufficiente nemmeno a compensare la crescita dei consumi. Questo si tradurrà in aumento dei consumi di petrolio, gas naturale (+ 40% nel periodo di riferimento) e persino carbone. In questo contesto, con la prospettiva di procedere alla rapida decarbonizzazione delle fonti energetiche, la fissione nucleare continuerà a svolgere un ruolo importante a livello mondiale nel fornire il carico di base e mitigare i rischi dovuti ai cambiamenti climatici. In Asia, in particolare, sono attualmente in costruzione decine di nuove centrali nucleari che rimarranno operative per alcuni decenni.

La Francia è da tempo la principale potenza nucleare di tutta l'Europa continentale. Nel presentare la strategia “Francia 2030”, il presidente Macron ha anticipato la costruzione di un piccolo reattore nucleare di nuova generazione in grado di sostenere la produzione di energia del paese in vista della transizione verde. Un piano che consentirebbe a Parigi anche di competere su scala globale, spostando l'oggetto della competizione dai reattori di grandi dimensioni (appannaggio di Cina e Stati Uniti) verso reattori di scala più piccola, un'area in cui le dimensioni e la capacità di mobilitazione di un paese sono meno importanti. In questo momento la Cina controlla una capacità nucleare pari a circa 50 GW, con altri 17 GW in fase di costruzione, mentre gli Stati Uniti, con 94 reattori operativi, sono in grado di generare circa 96 GW di energia nucleare. La Francia, nonostante un'economia di dimensioni molto più ridotte, conta attualmente su una produzione di energia nucleare maggiore della Cina, pari a circa 64,4 GW prodotti da 57 reattori.

 

Fissione: i piccoli

Uno dei principi base dell'ingegneria nucleare è la costruzione di impianti di grandi dimensioni che permettono di sfruttare i vantaggi derivanti da una economia di scala e di giustificare l'investimento iniziale. In linea con questo principio, le dimensioni degli impianti sono progressivamente cresciute fino a raggiungere i 1000-1.500 MWe. Questi grandi impianti hanno iniziato a essere caratterizzati da sistemi di sicurezza e controllo attivi (il modello francese EPR) o passivi (il modello AP1000 USA).

Recentemente, tuttavia, l'esperienza dell’EPR francese da 1.650 MWe (oltre 10 anni di ritardo nella costruzione e una vera esplosione dei costi) ha sollevato dubbi circa questo tipo di approccio: in questo momento, gran parte degli sforzi sono rivolti alla progettazione e alla realizzazione, entro i prossimi dieci anni, di reattori di piccole dimensioni (i cosiddetti SMR o AMR, ovvero: Small o Advanced Modular Reactor) che puntano a ridurre l’impatto dell’effetto scala sui costi di produzione dei kWh e a soddisfare i criteri alla base della quarta generazione di reattori nucleari. In particolare:

  • maggiore sicurezza attraverso sistemi di controllo passivi, oltre a una mitigazione dei rischi grazie a una potenza ridotta;
  • minimizzazione delle scorie attraverso un ciclo del combustibile chiuso che contiene la radioattività delle scorie nucleari in un arco temporale di secoli e non di millenni;
  • resistenza alla proliferazione, in quanto le caratteristiche proprie di questi sistemi impediscono la diversione o la mancata dichiarazione di materiale nucleare destinato ad acquisire armi nucleari.

Questo tipo di centrali nucleari potrebbe sostituire l’attuale flotta e agevolare una migliore integrazione dei sistemi energetici ibridi del futuro: più piccoli, più flessibili, economicamente competitivi e in grado di produrre più che semplice elettricità. L’impossibilità di raggiungere un’economia di scala verrebbe compensata da una produzione in serie standardizzata mentre i rischi finanziari sarebbero ridotti grazie a investimenti di capitale più contenuti e più diluiti nel tempo. Impianti a potenza più bassa prediligono sistemi di sicurezza passiva che richiedono meno pianificazione delle emergenze e implicano meno rischi per l’ambiente.

Fra i reattori di piccole dimensioni, il tipo più promettente sembra essere quello che utilizza il piombo come agente refrigerante (LFR, Lead-cooled Fast Reactor): grazie alle elevatissime temperature raggiunte, oltre a produrre energia, questo tipo di reattore permette di accumulare energia termica e H2, vettore energetico che si è dimostrato molto promettente quale soluzione per molte delle sfide climatiche di tutto il mondo.

Un'ulteriore evoluzione, studiata da alcuni consorzi internazionali composti principalmente da soggetti privati, mira a realizzare entro il 2030 i cosiddetti reattori ADS (Accelerator Driven System, letteralmente sistemi biforcati da un acceleratore): in questo caso il reattore, per funzionare, utilizza neutroni prodotti esternamente grazie a un acceleratore di protoni. Il livello di sicurezza è molto più alto perché in caso di blackout elettrico (l’evento più rischioso in assoluto per una centrale nucleare) l’acceleratore smette di funzionare e il reattore, non ricevendo i neutroni necessari, si ferma.

 

La sfida della fusione nucleare

Proiettando lo sguardo oltre l’immediato futuro, i paesi più sviluppati, Europa compresa, hanno iniziato a concentrare la ricerca su una nuova fonte energetica, la fusione nucleare, con l'obiettivo di dare vita a un mix energetico che possa essere veramente sostenibile sul lungo periodo.

In questa prospettiva, alcuni paesi economicamente avanzati stanno investendo nello sviluppo di energia da fusione nucleare collaborando alla costruzione del primo reattore sperimentale a fusione. Le previsioni, tenendo conto dello sviluppo raggiunto dalle tecnologie in questo campo e considerando lo stesso livello di investimenti sul lungo periodo, ipotizzano l’avvio della produzione di energia elettrica da fusione nucleare nella seconda metà del secolo.

Sono diversi i vantaggi che giustificano l’interesse nei confronti dell’energia da fusione:

  • si tratta di una risorsa virtualmente illimitata – l’acqua di mare contiene abbastanza carburante (deuterio e litio) per consentire al pianeta di mantenere gli attuali consumi per alcune decine di milioni di anni;
  • l’ampia disponibilità, trattandosi di una risorsa uniformemente distribuita e utilizzabile da tutti i popoli del mondo, azzera i rischi di conflitti geopolitici;
  • la reazione su cui si basa non produce CO2;
  • è intrinsecamente sicura grazie alle ridotte quantità di materiali radioattivi utilizzati;
  • è pulita – la reazione di fusione produce solo una piccola quantità di scorie radioattive che rimangono radioattive solo per alcuni decenni.

Per ottenere le reazioni di fusione è necessario riscaldare due isotopi dell'idrogeno, il deuterio (D) e il trizio (T), a temperature di circa 100 milioni di gradi (una temperatura più elevata di quella registrabile nel nucleo solare). A queste temperature il D e il T raggiungono lo stato di gas ionizzato (plasma) e devono essere confinati attraverso intensi campi magnetici, in quanto nessuna altra forma di contenimento meccanico sarebbe abbastanza efficace. Come il plasma delle stelle, il plasma di laboratorio è un sistema complesso. Presenta una varietà di fenomeni turbolenti e di instabilità che tende a deteriorare i sistemi di confinamento. Il plasma di laboratorio è stato gradualmente "addomesticato" grazie a un impressionante sforzo scientifico di tipo sperimentale e teorico.

Negli esperimenti attualmente in corso sono già stati raggiunti valori di densità plasmatica e di temperatura simili a quelli richiesti in un reattore a fusione. Tuttavia, la potenza iniettata nella camera di reazione per raggiungere queste condizioni è sempre stata superiore a quella rilasciata dalle reazioni di fusione.

 

I progetti internazionali di fusione nucleare

Il primo esperimento in cui la potenza di fusione potrebbe superare di gran lunga quella iniettata nella camera sarà quello del reattore ITER, in costruzione a Cadarache in Francia: un impianto potenzialmente in grado di produrre 500 MW di potenza di fusione termica contro i 50 MW di potenza iniettata nella camera di reazione (un fattore di amplificazione della potenza pari a 10) per impulsi dalla durata variabile da poche centinaia di secondi a circa un’ora, dimostrando senza alcun dubbio la fattibilità di utilizzare la fusione come fonte energetica e contribuendo in maniera significativa alla progettazione e alla realizzazione dell’impianto DEMO (un impianto dimostrativo).

Nel frattempo la comunità scientifica dovrà sforzarsi di:

  • sviluppare e identificare nuovi materiali in grado di funzionare anche sotto l’effetto dei danni indotti dai neutroni prodotti nelle reazioni di fusione;
  • migliorare le tecnologie per la generazione del trizio, che deve essere prodotto all’interno del reattore a partire dal litio;
  • consolidare la conoscenza dei meccanismi di base della fisica del plasma alle condizioni proprie del reattore.

Per raggiungere questi risultati, la European Research Roadmap to the Realization of Fusion Energy prevede la realizzazione, in parallelo o subito dopo il completamento del reattore ITER, di alcune strutture che permettano di affrontare le questioni ancora aperte.

Uno di questi impianti è attualmente in fase di costruzione in Italia e si occuperà di affrontare il problema della rimozione dei gas di scarico del plasma. Tale rimozione avviene attraverso un particolare componente, il Divertor per cui non sono ancora stati identificati né la configurazione geometrica né i materiali più idonei a un utilizzo sul reattore DEMO o su un qualsiasi altro reattore commerciale. Nei prossimi trent'anni, l'impianto di test di Divertor Tokamak consentirà di studiare diverse configurazioni e di identificare quella più adatta alle esigenze.

La strada rimane ancora lunga, ma tutti gli studi sulla penetrazione dell’energia da fusione mostrano il prezioso contributo che questa tecnologia potrà offrire alla produzione di energia elettrica entro la fine del secolo, fornendo il carico base in un mix energetico caratterizzato dalla forte presenza di fonti intermittenti, anche con notevole possibilità di accumulo dell’energia. Il livello di penetrazione dipenderà dalle condizioni economiche dell’energia prodotta o dalle soluzioni tecnologiche adottate. Altro fattore cruciale sarà la determinazione con cui la società vorrà perseguire l’obiettivo della decarbonizzazione.

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Energia Geoeconomia economia Europa
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AUTORI

Alessandro Dodaro
Direttore Dipartimento Fusione e Tecnologie per la Sicurezza Nucleare, ENEA

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