Una sequenza di attacchi terroristici multipli è stata compiuta nello Sri Lanka a partire dalle 8.45 del giorno di Pasqua. Almeno sei attacchi suicidi per mezzo di ordigni esplosivi sono stati perpetrati in edifici ad uso civile, con particolar riferimento a tre obiettivi cristiani: il santuario di Sant’Antonio a Colombo e le chiese di Batticaloa e San Sebastiano di Negombo. L’attentato segue quello in due moschee di Christchurch in Nuova Zelanda del 15 marzo.
Come conseguenza dell’attenzione mediatica rivolta ad approfondire la connotazione religiosa dei recenti obiettivi terroristici, nel corso delle ultime settimane l’opinione pubblica occidentale è stata sensibilizzata all’eventualità che attacchi terroristici di matrice religiosa possano avvenire nei propri luoghi di preghiera.
In realtà, però, questa tipicità costituisce un fenomeno antico, che ha caratterizzato ampiamente la variabile terroristica di matrice religiosa sino a tempi recenti, con particolare riferimento al continente africano ed asiatico[1]. Oltre 110 attacchi terroristici di matrice radicale islamista e compiuti in chiese cristiane nel mondo dal 2001 al 2016 sono registrati in un database originale di recente creazione[2]. L’attacco in Sri Lanka si aggiunge quindi a questa lunga sequenza. Un esame di questo database può fornire informazioni utili sugli elementi di unicità ed i tratti comuni dell’attentato di Pasqua[3].
In questo studio, un’analisi comparata verte sui soli attentati “coordinati” del database, ovvero attentati organizzati e collegati tra loro che vengono compiuti contro obiettivi (“targets”) molteplici distanti nello spazio e nel tempo (per un massimo di 24 ore). Quarantasei degli attacchi raccolti nel database presentano tali caratteristiche.
Infatti, attacchi terroristici che implicano un certo livello di coordinamento tra attentatori per colpire gli stessi o diversi luoghi di culto non costituiscono una novità nel panorama mondiale, in particolare con riferimento al continente asiatico. Se è vero che il numero di attentati ivi condotti nei confronti di target cristiani è notevolmente diminuito nel corso degli ultimi dieci anni in termini assoluti, a favore di una progressione nel continente africano, disaggregando l’analisi coi soli attentati coordinati è interessante osservare una incidenza statistica quasi uniforme dal 2009 al 2015, con due attentati registrati nell’ultimo anno di analisi disponibile, avvenuti nella città di Lahore, in Pakistan. Altre aree dell’Asia particolarmente coinvolte in attentati in chiese sono l’Iraq (con frequenza relativa di quasi il 50% e particolare incidenza dal 2003 al 2011) e le Filippine (con frequenza del 20%)[4]. Secondo il database, la città di Cotabato, nelle Filippine, è ad esempio una delle più colpite al mondo dal terrorismo in relazione agli edifici di culto[5].
Come successo a Pasqua nello Sri Lanka, se l’attacco è multiplo, esso inizia tipicamente la mattina. Il 90% circa degli attacchi coordinati inclusi nel database inizia entro le 12.00 del mattino, con particolare frequenza nella fascia compresa tra le 9.00 e le 11.00. Questa ricorrenza statistica è facilmente interpretabile, sia per motivi prettamente logistici sia per garantirsi la possibilità, se necessario, di condurre attacchi anche in diverse fasce orarie della giornata.
Anche l’utilizzo di attentatori suicidi infiltrati in chiese non rappresenta una novità. Otto attacchi coordinati nel database hanno implicato il suicidio dell’attentatore, con dinamiche simili rispetto a quelle sinora riportate per l’attacco in Sri Lanka. Quando l’attentatore stesso è il “trasportatore” (“carrier” in gergo tecnico) dell’ordigno esplosivo (“input”, solitamente confezionato artigianalmente, definito anche come “improvised”, improvvisato), la strategia è comune. Nel 100% dei casi presenti nel database, l’attentatore entra durante lo svolgimento della Messa della domenica mattina e prende posto tra i fedeli poco prima o subito dopo aver innescato il meccanismo di detonazione. Questo è ciò che sarebbe avvenuto anche alle undici del mattino del 15 marzo di quattro anni fa nelle due chiese di Lahore menzionate sopra, per opera probabilmente di attentatori talebani di Jamaat-ul-Ahrar, se l’intervento degli agenti in servizio di sicurezza non avesse fermato gli attentatori all’ingresso delle chiese inducendo l’esplosione sulla soglia dell’edificio. Ciononostante, il bilancio è stato di 17 vittime e oltre 70 feriti.
Non deve sorprendere la naturalezza con cui il sospettato attentatore in Sri Lanka pochi giorni fa sia entrato nella Chiesa di San Sebastiano zaino in spalla e, dopo aver accarezzato una bambina e aver attraversato con tranquillità il sagrato gremito di fedeli, vi abbia preso posto da un ingresso laterale. Quando l’input coincide di fatto con il carrier (ovvero la persona trasporta manualmente l’ordigno che lo ucciderà) si sancisce la piena “programmazione” dell’essere umano quale “meta-ordigno”. Così, soprattutto se la chiesa non è sorvegliata, l’attentatore ha il tempo di scegliere con accuratezza il punto che massimizzi il numero di vittime. Nell’attentato – probabilmente per opera di Boko Haram – avvenuto la mattina di domenica 10 giugno 2012 a Jos, in Nigeria, alcune fonti segnalarono che l’attentatore avesse avuto il tempo di scegliere il target finale e la migliore traiettoria di impatto. Questo attentato si connotò per l’utilizzo di un’auto equipaggiata di esplosivo e impattante uno dei muri (in generale, sono preferibilmente muri laterali) della chiesa colpita. Questa tipologia di attentato trova riscontro nel 70% degli attacchi suicidi contenuti nel database, soprattutto se la chiesa è in qualche modo sorvegliata.
Gli attacchi dello Sri Lanka si connotano per un elevatissimo numero di vittime provocate. Ed infatti la tipologia di attacco suicida è quella più impattante anche secondo i dati storici del database. In questa categoria del database, per ciascun target in media perdono la vita 14 persone e ne vengono ferite oltre 70. Tuttavia, gli attentati suicidi, soprattutto nel numero e nella dinamica di quelli avvenuti la scorsa Pasqua, costituiscono una porzione decisamente minoritaria delle possibili modalità con cui edifici religiosi cristiani possono diventare oggetto di attacchi terroristici. Ciò può essere dovuto al fatto che l’attentato suicida richieda, come detto, un livello di identificazione completa tra l’input ed il suo carrier, non sempre di semplice addestramento. L’organizzazione e sincronizzazione di molteplici attentati di questa modalità richiede dunque un livello di coordinamento ed organizzazione elevato.
L’85% circa degli attentati coordinati presenti nel database implica più spesso una certa distanza tra il target e l’input, e, a sua volta, tra l’input ed il suo carrier. Una modalità di attentato significativamente contemplata nel database prevede l’innesco di ordigni a distanza: ventuno attacchi rientrano in questa categoria. In questi casi, non è richiesto necessariamente che sia in corso di svolgimento la funzione religiosa nel momento dell’attentato (come avviene nel 50% dei casi considerati), perché il fine ultimo dell’attentatore che fa uso di un ordigno esplosivo a distanza è molteplice, non essendo necessariamente volto a produrre il maggior numero di vittime.
In particolare, solo in un caso tra quelli registrati nel database il dispositivo viene disposto all’interno di una chiesa durante lo svolgimento della Messa. Tale attacco (probabilmente ad opera del gruppo Abu Sayyaf) è avvenuto in una Cattedrale di Zamboanga, nelle Filippine, il 20 ottobre 2002, quando una borsa che conteneva un ordigno artigianale apparentemente abbandonato nei pressi del negozio di candele del luogo di culto è esploso, uccidendo il soldato filippino a guardia dell’edificio e ferendo altre 18 persone.
La quasi totalità degli incidenti che appartengono a questa categoria avviene nelle immediate prossimità dell’edificio, a partire dal sagrato della Chiesa o nel circostante parcheggio. Per questo non solo borse e scatole costituiscono recipienti idonei per nascondere l’esplosivo, ma anche auto parcheggiate: 12 attacchi coordinati nel database rispondono a tale specificità di destinazione dell’ordigno. Questa tipologia di attentati provoca in media 8 vittime e 22 feriti.
Come detto, non sempre questi attentati hanno come finalità la massimizzazione delle vittime e taluni celano destinatari simbolici. Nel doppio attentato del 24 settembre 2006 in una chiesa ortodossa di Baghdad, uno IED (Improvised Explosive Device) di piccole dimensioni veniva installato sotto l’auto del sacerdote e programmato per esplodere al termine della Messa domenicale, mentre i fedeli procedevano attraverso il sagrato. La difficoltà di questi attentati è relazionata alla precisione dell’innesco. Non sempre gli ordigni esplodono quando auspicato dall’attentatore e questo aggiunge una fonte di imprevedibilità all’esito finale dell’attentato. Con un attentato su cinque senza vittime, questa tipologia di attacco si connota per il maggior numero di attentati “non efficaci” (con soli feriti) secondo il database.
A prescindere dalle vittime umane e dalla natura del carrier, gli attacchi con ordigni esplosivi inclusi nel database rivelano una significativa suscettibilità a provocare danni strutturali all’edificio religioso, anche ingenti. Nel 60% degli attacchi coordinati del database vengono riportati danni strutturali all’edificio.
Può destare sconcerto nell’opinione pubblica riferire che 100 kg di esplosivo fossero stati sequestrati a inizio anno nella città principale dello Sri Lanka e che l’esplosione di San Sebastiano abbia divelto il tetto della Chiesa. Tuttavia, ingenti quantità di esplosivo sono state storicamente utilizzate in altri attacchi contro target cristiani e attacchi terroristici in chiese possono essere caratterizzate da significativi valori di quella che viene definita in gergo tecnico la carica equivalente di TNT[6].
In un altro attentato avvenuto il giorno di Pasqua, nel 2012, a Kaduna, in Nigeria, oltre 60 edifici sono risultati danneggiati in seguito all’attentato. L’esplosione in questo caso è avvenuta a circa 500 metri circa dall’ingresso della chiesa perché posti di blocco hanno impedito l’ingresso all’attentatore costringendolo a un impatto improvvisato in strada.
Tuttavia, è opportuno osservare che nell’eventualità di un attacco esplosivo, la mancata acquisizione del target finale non corrisponde necessariamente a una significativa limitazione delle conseguenze disastrose dell’attentato. Esse dipendono dal punto finale di impatto rispetto al tessuto urbano in cui avviene, che a sua volta è funzione delle dinamiche sociali stabilite dagli elementi strutturali e infrastrutturali che lo compongono: in altre parole, quanto una strada sia brulicante di persone a causa del valore culturale o commerciale degli edifici che collega. Così nell’attentato pasquale di Kaduna di cui sopra, oltre 40 persone persero la vita e altrettante vennero ferite e anche una chiesa limitrofa a quella individuata come bersaglio venne danneggiata. In tal senso, una delle conseguenze più pericolose anche per i passanti in relazione ad un attentato che pure è condotto contro uno specifico edificio riguarda la deiezione di detriti, con particolare riferimento ai frammenti di vetro scagliati dalle finestre dall’onda d’urto prodotta nell’impatto.
Oltre che mediante ordigni esplosivi, l’attentato in Sri Lanka sarebbe potuto avvenire anche per opera di un commando informale. In tal caso l’attentato avrebbe potuto implicare l’utilizzo di armi da fuoco e proiettili. Circa il 25% degli attentati coordinati del database risponde a questa modalità; l’Ak47 (kalashnikov) e le granate sono le armi di gran lunga preferite.
D’altronde, anche l’attentato in Nuova Zelanda contro due moschee risponde a questa fattispecie. In questi casi, infatti, l’attentato richiede un numero maggiore di attentatori per target (in media tre per attacco, secondo il database). La dinamica di attacco è funzione della finalità ultima dell’attentato. Se l’intento appare essere la massimizzazione delle vittime, nel 100% dei casi del database l’attentatore entra nell’edificio durante la celebrazione della funzione religiosa e apre il fuoco contro i fedeli. Questa modalità trova ad esempio riscontro nell’attentato avvenuto nella Chiesa cattolica di Gwoza, in Nigeria, alle 9.30 di una domenica mattina di maggio di cinque anni fa, quando un commando informale di uomini, probabilmente di Boko Haram, uccise oltre 20 fedeli in preghiera, inclusi gli uomini a guardia dell’edificio.
Tuttavia il fine ultimo relazionato all’adozione di una determinata arma da fuoco come strumento di attacco può essere differente. Ad esempio, è possibile che si vogliano mirare specificamente i simboli viventi della religione cristiana in una città o villaggio, ovvero il sacerdote officiante o quantomeno le guardie preposte alla difesa del rito. In questo caso l’attacco è rapido e non richiede l’ingresso nell’edificio. Solitamente l’esecutore materiale dell’attentato viene accompagnato da un autista in auto o in moto e apre il fuoco a distanza, direttamente sulle vittime designate. Queste modalità ricordano molte esecuzioni di stampo mafioso. Ad esempio, la strategia kill and run away (“uccidi e fuggi”) nel database trova riscontro nell’attacco a una chiesa a Lahore del marzo 2015, quando due killer mascherati in motocicletta hanno aperto il fuoco contro le guardie a difesa dell’edificio (vuoto), che sono rimaste per fortuna illese – ma due passanti sono stati feriti.
A prescindere dalla tipologia di arma utilizzata, tutti gli attentati coordinati del database rivelano un certo grado di organizzazione e preparazione. Pertanto sarebbero giustificate le critiche mosse nei confronti dei servizi di intelligence srilankesi, qualora venisse confermato che siano state ignorate le informazioni trasmesse dai colleghi indiani in merito alla pericolosità di cellule islamiste radicali locali nel periodo pre-pasquale. Gli attacchi coordinati come quelli avvenuti sono infatti ben “preparati” ad affrontare anche ostacoli ed imprevisti, che non ne scoraggiano la realizzazione.
Il 70% degli attacchi coordinati del database è stato portato a termine sebbene fosse stata segnalata la presenza di deterrenti strutturali o umani (forze di polizia o volontari a controllo dell’edificio) finalizzati ad allontanare l’attentatore dal target religioso.
La sofisticazione richiesta da una sequenza di attacchi come quella in Sri Lanka implica un’organizzazione accurata sin nelle fasi iniziali di preparazione, addestramento e logistica. I sospetti che dietro le sigle islamiste locali riconosciute dietro l’attacco di Pasqua (ad oggi i gruppi National Thowheed Jama’ath e Jammiyathul Millathu Ibrahim) vi siano organizzazioni più consolidate appare più che fondato a prescindere dalle rivendicazioni controverse dello Stato Islamico[7].
Come si evince negli esempi del database, molti degli attacchi coordinati hanno come mandanti organizzazioni consolidate: Boko Haram in Africa o Al Qaeda in Asia, ad esempio. Tuttavia, è possibile che le due fattispecie coesistano, cioè che il processo di indottrinamento e addestramento guidato da leader o responsabili a livello locale sia filtrato e tragga linfa in network terroristici internazionali. Essi forniscono supporto logistico, economico e formativo. Ad esempio, negli attacchi dello Sri Lanka gli attentatori hanno avuto mezzi per arrivare a Colombo, come case sicure, rifornimenti ed evidentemente addestramento.
In tal senso, tutte le più grandi sigle terroristiche hanno beneficiato della diffusione di Internet a livello globale per estendere la propria influenza in aree periferiche e isolate del mondo. Social media come Telegram e Whatsapp sono stati recentemente adottati come piattaforme di indottrinamento, addestramento e pianificazione di attacchi terroristici e hanno contribuito a promuovere ad esempio il fenomeno dei cosiddetti lone wolves (“lupi solitari”) all’estero[8]. Per questo l’intervento di blocco temporaneo dei canali di comunicazione social come Whatsapp e Facebook da parte del governo dello Sri Lanka appare tardivo.
Il terrorismo contemporaneo ha una natura fluida, telematica e delocalizzata, facilmente esportabile. Può assumere la conformazione che meglio si addice al tessuto sociale in cui si radica, dal “lupo solitario” che dà sfogo a frustrazioni esistenziali in un percorso di auto-radicalizzazione al commando organizzato fortemente ideologizzato.
Chi nei mesi scorsi, anche in giornali e riviste di importante tiratura, si è prodigato a prevedere la fine degli attentati terroristici (di matrice religiosa) in Europa ha compiuto un errore di miopia intellettuale. Dacché l’“occhialuto uomo inventa gli ordigni fuori del suo corpo [...] che si comperano, si vendono e si rubano e l’uomo diventa sempre più furbo e più debole”[9]. A prescindere dalla fede professata, attentati condotti in luoghi di culto possono avvenire anche in Europa, e le fattispecie brevemente discusse in questa analisi si possono applicare anche alle chiese delle città europee.
In questo caso l’efficacia dei servizi di intelligence è di cruciale importanza nel breve-medio periodo. Il livello di asimmetria della minaccia terroristica richiede oggi la difesa dell’uomo e la messa in sicurezza della sua proprietà in contesti altamente urbanizzati che sono riflessione spaziale di principi di democrazia, di libertà e financo estetici. Ciò richiede un ripensamento delle strategie da adottare, affinché la società protegga l’uomo e la sua eredità senza averne paura; esso dovrà coinvolgere l’urbanistica e la sociologia prima ancora che l’ingegneria e la tecnica, dacché nella città contemporanea non sarà possibile eludere il valore sociale dai calcoli di sicurezza strutturale.
Note
[1] È utile ricordare che, secondo il National Consortium for the Study of Terrorism and Responses to Terrorism (START) della Maryland University, i musulmani sono storicamente le più probabili vittime di attentati terroristici nel mondo.
[2] In T. Li Piani, “Operative Guidelines for Protection of Places of Worship from terrorist attacks, a new approach toward security design of sensitive buildings", 2017. Nella prima parte del rapporto viene spiegata didatticamente la creazione, organizzazione e compilazione del database ITAW (Islamist Terrorist Attacks on Places of Worship in the World). Il database è il risultato della rielaborazione di informazioni open source filtrata secondo definiti criteri di esclusione ed organizzata in 28 sezioni di dati.
[3] Si può notare che altri cinque attentati condotti nel mondo in chiese nel giorno di Pasqua sono contenuti nel database.
[4] La frequenza relativa è semplicemente il numero di volte in cui un evento accade diviso il numero di episodi totali (con cui si intende però solo la sottospecie di attacchi coordinati).
[5] Baghdad, Kaduna (Nigeria) e Mosul guidano la classifica nel database rispettivamente con 9, 5 e 4 attentati in chiese.
[6] L’equivalente TNT è un metodo di misura dell’energia rilasciata in una esplosione. Si misura in ‘tonTNT’. Essa viene usata per parametrizzare gli effetti di una esplosione nei calcoli di design strutturale (in edifici strategici).
[7] F. Marone "Gli attentati in Sri Lanka e l'ombra dello Stato Islamico", ISPI.
[8] In T. Li Piani, “Local trends and Global Dynamics of Religious Terrorism in Africa”, NATO Defense College Foundation, 2019. Viene evidenziato il ruolo di internet nel recente sviluppo di gruppi terroristici in Africa come Boko Haram e Al Shaabab. I “lupi solitari” sono persone che preparano e commettono attentati senza adesione e supporto formali da parte di nessun gruppo terroristico; spesso si radicalizzano anche autonomamente.
[9] L’angosciante commiato del romanzo “La Coscienza di Zeno” di Italo Svevo, 1923
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