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Focus

Attentato di Londra: un’analisi a caldo

23 marzo 2017

Il terrorismo torna a colpire l’Europa. E lo fa in uno dei luoghi simbolo della sua storia democratica, il Parlamento di Westminster. Mentre ISIS arretra sul terreno in Siria e Iraq, il suo messaggio ai simpatizzanti presenti in occidente non perde vigore. A un anno esatto dall’attacco a Bruxelles, un uomo, di cui non è ancora certa l’identità ma che secondo Scotland Yard avrebbe legami con il terrorismo islamico, ha investito ieri diverse persone sul ponte di Westminster causando 4 morti e una quarantina di feriti. Il processo di radicalizzazione appare in constante mutamento e così anche le azioni di contrasto e di risposta a questo fenomeno, come evidenziano gli approfondimenti di questo focus.

 

Il contesto britannico: che tipo di radicalizzazione?
Il Regno Unito è caratterizzato da una delle più importanti e lunghe esperienze di radicalizzazione jihadista in Europa. Per coloro che si radicalizzano – come sottolinea Doug Weeks, esperto della London Metropolitan University nel report "ISPI Jihadist hotbeds" – il percorso personale coinvolge una serie complessa di influenze. In particolare è ormai noto come le seconde e terze generazione di immigrati musulmani nel Regno Unito si trovino spesso intrappolati tra due mondi: i tradizionali costumi, valori e aspettative dei loro genitori e quelli della società nella quale vivono. Sebbene estremamente eterogenee, le comunità musulmane più soggette si trovano in varie zone di Londra, Birmingham, Bradford per citarne alcune. All’interno di queste aree il messaggio sembra trovare una rilevante risonanza proprio tramite coloro che sono in cerca di identità e appartenenza. Ciò ha portato, ad esempio, circa 800 persone a partire per andare a combattere nelle file del califfato in Siria ed Iraq.
 
Quale simbologia dietro all’attentato?
Il ricorso a strumenti di attacco semplici come i coltelli, anzichè un’arma da fuoco, non è necessariamente un fatto simbolico, quanto piuttosto una questione di facilità, secondo quanto riferito dal Presidente dell’ISPI Giampiero Massolo, su Rai1. L’ordine impartito dai gruppi jihadisti attraverso il web è di usare qualsiasi strumento, il più facile che si ha a disposizione, pur di fare danno. E quanto più ciò viene fatto nei luoghi emblematici dell’Occidente, tanto più farà clamore e proseliti. Da questo punto di vista, secondo l’Ambasciatore ci dobbiamo purtroppo aspettare una sequenza di questo genere di azioni alla ricerca di un maggior protagonismo mediatico, a maggior ragione considerato che già nei giorni precedenti c’era stata molta effervescenza sui canali web degli ambienti jihadisti a seguito dei "travel ban" americani e la messa al bando degli strumenti elettronici. Inoltre, come evidenziato da Paolo Magri direttore ISPI a La7, l’attentato avviene in un momento particolare per l’Europa, quando si accinge alle celebrazioni per i suoi sessant’anni, oscurando mediaticamente questo evento di rilancio e contribuendo a dettarci una nuova agenda negativa.
Come è cambiata la strategia di Daesh con le sconfitte in Siria e Iraq?
Aspettando di conoscere l’identità dell’attentatore, di avere una chiara rivendicazione e di conoscere se vi fossero legami diretti con network terroristici, ciò che è accaduto a Londra appare in continuità con il cambiamento di strategia del sedicente Califatto nell’ultimo anno. Impossibilitato dal descriversi come il nuovo eden in terra, come la realizzazione concreta ed effettiva del tanto promesso "Stato Islamico", viste le sconfitte sul campo in Siria e Iraq, Al Baghdadi ha smesso di chiedere ai propri simpatizzanti di raggiungerlo in Medio Oriente e chiede loro di attivarsi su suolo europeo. È una classica risposta asimmetrica. Secondo Arturo Varvelli, responsabile del Programma Terrorismo dell’ISPI, questo attentato – per quanto possa considerarsi rudimentale – rientra appunto nella più recente strategia dello Stato Islamico. Questa scelta è inoltre funzionale a una radicalizzazione reciproca e parallela delle società occidentali, a una strategia che mira ad aumentare la distanza e la diffidenza nei confronti delle comunità islamiche favorendo il progetto egemonico jihadista sulle stesse.
 
L’ideologia jihadista sopravviverà al Califfato?
La fine del Califfato è ancora lontana – come sostiene Lorenzo Vidino, ricercatore associato ISPI e presidente della commissione sulla radicalizzazione in Italia, su La Stampa – eppure, qualora dovesse arrivare, le migliaia di adepti del credo jihadista sopravvivranno alla sua sconfitta e altri gruppi globali o locali ne prenderanno il suo posto. Questo perché il Califfato non ha inventato l’ideologia jihadista, ma ne è diventato portavoce principale grazie tanto ai successi sul campo quanto a un’efficace campagna mediatica. Considerato che neanche il più efficiente apparato di antiterrorismo può bloccare attacchi di natura spontaneista e rudimentale come quello di ieri, è opportuno che i governi europei oltre a migliorare le proprie difese affrontino questa minaccia con la compostezza propria degli inglesi.

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