Negli ultimi anni, il Sahel ha assunto una nuova centralità geopolitica negli equilibri globali. La regione nord-occidentale dell'Africa, in particolare, rappresenta una delle aree più fortemente instabili del continente, attraversata da linee di frattura sociali, politiche ed economiche molteplici – dal consolidamento di reti di traffico illecito al radicamento di organizzazioni armate di matrice jihadista, fino alla moltiplicazione di conflitti per l'accesso alle risorse naturali – all'origine di ricorrenti crisi. Gli effetti della caduta del regime libico di Gheddafi, che aveva assicurato la tenuta degli equilibri regionali attraverso lo sviluppo di una capillare politica di investimenti, e il conflitto esploso in Mali nel 2012, hanno prodotto gravi ripercussioni sulla stabilità dell'area, e posto le condizioni per un ampio coinvolgimento di attori esterni al continente.
La Francia ha sviluppato storicamente una forte influenza politico-militare sugli Stati saheliani, in ragione del peso di una relazione post-coloniale fondata su una rete di basi permanenti, sul preposizionamento di forze speciali e sulla conclusione di accordi di difesa, rinnovando costantemente una tradizione di interventismo in Africa francofona. Attualmente, Parigi continua a esercitare un ruolo preminente nella regione. Nel gennaio del 2013, l'avanzata dei gruppi qaedisti verso il sud del Mali spinse il Presidente Hollande a deliberare il dispiegamento di un'operazione militare di vaste proporzioni: l'11 gennaio fu annunciato il lancio dell'Opération Serval, con l'obiettivo di arrestare la progressione jihadista, favorire il ripristino dell'integrità territoriale del Paese e sradicare la presenza dei gruppi jihadisti dai territori nord-maliani. Per far fronte all'insicurezza su scala regionale, alimentata dalla ricostituzione di cellule qaediste nel Sahara-Sahel, e tutelare interessi geostrategici fondamentali – si pensi, ad esempio, all'importanza delle riserve di uranio nigerine per la produzione nucleare – ridimensionando, al contempo, l'engagement militare e finanziario nella macro-regione, a luglio del 2014 Hollande decise una riorganizzazione complessiva della presenza francese nel subcontinente. L'Opération Barkhane raccolse il testimone dai dispositivi Serval in Mali ed Épervier in Ciad, attraverso il dispiegamento di un contingente esiguo, incaricato di operare in un territorio vastissimo, compreso tra la Mauritania e il Ciad.
Il mandato del dispositivo Barkhane, che conta attualmente 4.000 uomini per un costo annuale di 700 milioni di euro, prevede l'addestramento degli eserciti africani, l'implementazione di processi di capacity building, la fornitura di supporto materiale e assistenza logistica, strutturando una rete di connessione tra i principali centri urbani della regione al fine di circoscrivere la libertà di circolazione dei mujaheddin e rispondere alla minaccia transfrontaliera del terrorismo jihadista. Perno delle dinamiche di cooperazione securitaria e controterroristica in Sahel, Barkhane opera in sostegno delle forze militari mobilitate su iniziativa del G5 Sahel, network regionale costituito da Mauritania, Mali, Burkina Faso, Niger e Ciad per il coordinamento e l'armonizzazione delle politiche di sicurezza e lo sviluppo delle aree marginalizzate. Sotto un profilo economico, la diplomazia francese ha assicurato all'organizzazione un finanziamento di 8 milioni di euro per il 2019.
Sin dai mesi successivi al dispiegamento del dispositivo Serval, le operazioni militari francesi sono state affiancate dall'intervento dei caschi blu delle Nazioni Unite, impegnati in una missione di stabilizzazione del Paese, la MINUSMA (United Nations Multidimensional Integrated Stabilization Mission in Mali), istituita per effetto della risoluzione 2100 del Consiglio di Sicurezza. La missione di peacekeeping dell'ONU, composta da circa 12.000 unità, agisce in coordinamento con la forza Barkhane e le unità di sicurezza degli Stati membri del G5 Sahel, che dalle Nazioni Unite ottengono la maggior parte dei finanziamenti per l'organizzazione. La MINUSMA è stata resa oggetto di aspre critiche, riguardanti le debolezze del mandato e le presunte inefficienze della sua azione operativa, e più volte è stata colpita da attacchi terroristici, soprattutto nei territori nord-maliani di Gao e Timbuctu.
Accanto al sostegno materiale e finanziario riconosciuto all'organizzazione saheliana – circa 100 milioni per il 2019 – l'Unione Europea è presente nella regione attraverso iniziative di formazione e addestramento. Nel gennaio del 2013, su pressione francese, il Consiglio Europeo rese operativa la missione EUTM Mali (European Union Training Mission), per una durata iniziale di quindici mesi e a un costo stimato in 12,3 milioni di euro: finalizzata al conseguimento degli obiettivi di riorganizzazione dell’esercito maliano, la missione prevedeva l’invio di 550 uomini, incaricati di fornire alle forze armate nazionali addestramento militare e istruzioni in materia di comando e controllo delle operazioni. Nel giugno del 2017, le istituzioni comunitarie hanno previsto una sostanziale revisione del mandato della missione, che avrebbe dovuto rendere possibile una regionalizzazione del dispositivo, ampliando le attività di addestramento ai contingenti della forza congiunta del G5. In quest'ottica, il mandato di EUTM è stato recentemente rinnovato fino al 2020: l'UE ha deciso un incremento delle risorse finanziarie a disposizione del programma, elevandole a 59,7 milioni di euro, erogati per il periodo compreso tra maggio 2018 e maggio 2020, a fronte dei 33,4 milioni messi a disposizione nei precedenti due anni. La missione civile EUCAP Sahel (European Union Capacity Building Mission) in Mali e Niger è stata istituita, invece, allo scopo di supportare i processi di riforma istituzionale e impartire formazione alle unità di sicurezza interne (polizia, gendarmeria e guardia nazionale). Attualmente, EUCAP Sahel contribuisce a rafforzare le capacità di controllo delle frontiere e di gestione delle migrazioni da parte delle autorità locali, coerentemente con gli interessi securitari europei.
La Francia ha, indiscutibilmente, dato impulso al coinvolgimento europeo in Sahel. In particolare, a partire dal 2015, in seguito agli attacchi terroristici in Mali e Burkina Faso, la diplomazia di Parigi ha ottenuto la disponibilità di Berlino a rafforzare la presenza securitaria nella regione, già rilevante in termini di supporto logistico, materiale e finanziario assicurato alle forze francesi e internazionali operative in Nord Mali in occasione della crisi del 2012-2013. A gennaio 2017, il Bundestag ha approvato un incremento del contingente tedesco in seno alla MINUSMA, che ha superato le 1.000 unità, in aggiunta ai 350 addestratori dell'esercito maliano a disposizione della missione di training dell'UE. Nel giugno dello stesso anno, Berlino ha concordato la costituzione dell'Alliance for the Sahel: promossa dal Presidente Macron, l'iniziativa ha individuato il Sahel come priorità strategica per i governi di Francia e Germania, in relazione alle necessità di contrasto ai fenomeni di terrorismo jihadista e di contenimento dei flussi migratori, delineando le linee guida della cooperazione franco-tedesca sulla base della definizione di un approccio integrato alla sicurezza e allo sviluppo degli Stati saheliani.
Il coinvolgimento statunitense in Sahel risale ai primi anni 2000. Diverse sono state le iniziative securitarie adottate da Washington nell'area, tuttora in vigore: tra queste, la Trans-Saharan Counterterrorism Partnership (TSCTP), istituita allo scopo di rafforzare le capacità regionali di contrasto alle attività criminali e terroristiche e prevenire le cause all'origine dei processi di radicalizzazione, e lo US Africa Command (AFRICOM), il comando unificato per l'Africa subsahariana destinato a migliorare la cooperazione con gli Stati africani e i meccanismi di risposta alle crisi regionali, rafforzare sicurezza e stabilità sul continente e garantire la tutela di interessi strategici. In occasione della crisi in Mali, gli Stati Uniti lanciarono l'Operazione Juniper Shield, cui fecero capo le iniziative americane a supporto della forza Serval: il dispositivo militare, che assicurava il coordinamento operativo degli Stati partner attraverso la condivisione di informazioni e la pianificazione di missioni sincronizzate, ha costituito l'elemento focale delle strategie di counterterrorism americane. L'elezione di Trump alla Presidenza statunitense ha imposto un ulteriore declassamento dell'Africa tra le priorità di politica estera, rispetto alle scelte strategiche dei suoi predecessori. Tuttavia, nell'ottobre del 2017, in seguito alla traumatica uccisione di alcuni militari americani nel corso di un attacco in Niger, il Presidente federale ha deciso di stanziare un finanziamento di 51 milioni di euro – attraverso iniziative di cooperazione bilaterale, e dunque fuori dal quadro onusiano – per la costituzione di una forza multinazionale del G5 Sahel, allo scopo di contrastare i traffici criminali e le attività terroristiche dei gruppi jihadisti disseminati nell'area.
Il crescente interesse di Stati e attori internazionali in Sahel, infine, si è sviluppato in un contesto di forte competizione globale per l'accesso a risorse e mercati in Africa subsahariana. La Cina, in tal senso, occupa una posizione di primo piano. L'influenza politico-economico cinese in Sahel, fondata sulla costruzione di partnership paritarie con gli Stati africani, è stata veicolata attraverso accordi commerciali, investimenti diretti e, a partire dal 2013, mediante l'invio di un'unità militare di protezione del personale civile della MINUSMA. La partecipazione di un contingente cinese alla missione di stabilizzazione delle Nazioni Unite si inserisce nel quadro di un coinvolgimento sempre più ampio del Governo di Pechino nelle iniziative di peacekeeping internazionali in Africa, funzionale a preservare gli interessi economico-commerciali nell'area e a consolidare l'immagine di potenza globale. La Cina ha assicurato supporto politico e finanziario al G5 Sahel, precisando come l'iniziativa regionale sia destinata a contribuire, in maniera importante, alla pace e alla sicurezza nel continente; ad oggi, tuttavia, i finanziamenti cinesi alla forza multinazionale saheliana restano oggetto di negoziazioni.
Le opinioni espresse sono strettamente personali e non riflettono necessariamente le posizioni dell’ISPI