È notizia degli ultimi giorni la decisione del Consiglio europeo dei Ministri dell’Ambiente di mettere fuori mercato entro il 2035 i veicoli con motore a combustione interna. Una decisione attesa per cercare di restare in linea con gli obiettivi di riduzione delle emissioni di Fit for 55 e che potrebbe aprire in maniera decisa la strada alla diffusione delle auto elettriche. Tuttavia, il Consiglio ha anche parzialmente recepito le preoccupazioni dei grandi produttori aprendo ad altre tecnologie non inquinanti oltre all’elettrico, come ad esempio i combustibili sintetici. Segno che l’Europa non è ancora pronta ad affrontare la transizione verso l’elettrico con un ruolo da protagonista? In effetti, il rischio è di passare dalla dipendenza attuale (quella dai combustibili fossili e da fornitori come la Russia) ad altre dipendenze in termini di input chiave come materie prime, chip, batterie.
Auto elettriche: una storia lunga più di quanto si immagini
Sembra incredibile a dirsi, ma il primo veicolo elettrico della storia fu messo sul mercato nel 1884: non è un errore di stampa, è proprio così. Le auto a combustione interna furono inventate due anni più tardi, ma quando si trattò di intraprendere una produzione su larga scala ebbero facilmente la meglio su quelle elettriche per problemi legati alla durata delle batterie e alla necessità di infrastrutture su larga scala per la ricarica. Più o meno gli stessi problemi che oggi – quasi 140 anni più tardi – ostacolano la transizione dalle auto a motore termico verso l’elettrico. A cui si aggiungono però questioni di grande rilevanza geopolitica e geoeconomica: per realizzare auto elettriche su larga scala è necessario controllare filiere produttive strategiche, che vanno dalle materie prime a prodotti più sofisticati. È una partita appena cominciata ma che caratterizzerà i prossimi anni e decenni, intersecando tendenze di lungo periodo quali la transizione ecologica, quella digitale e l’evoluzione del mercato dell’automotive.
Come si caratterizza questa partita? Chi è in testa e chi vincerà?
Un mercato in espansione
Le auto elettriche sono sul mercato già da diversi anni: giusto per fare un esempio che in pochi forse ricorderanno, Fiat cercò di agire da pioniere in questo segmento lanciando – in verità con scarso successo - la Panda Elettra nel 1990. Tuttavia, è solo da poco che il business delle auto elettriche (peraltro disponibili in varie modalità dall’ibrido al plug-in) sta prendendo gradualmente quota: basti pensare che dei circa 400 miliardi di dollari investiti nel settore Electric Vehicles (EV) a livello globale dal 2010 al 2020, la metà è stata investita nel solo 2020: un aumento enorme rispetto agli anni precedenti che ha avuto anche un parallelo nel record di veicoli venduti in un anno, 3 milioni (+40% rispetto al 2019). Un decollo quasi verticale, dunque, e che sembra destinato a conoscere una fortissima accelerazione nei prossimi anni. Innanzitutto perché questa crescita quasi esponenziale sembra essere stata confermata anche nel 2021 (con una stima complessiva di quasi 7 milioni di EV venduti a livello mondiale); e poi perché le previsioni effettuate dall’Energia Internazionale per l’Energia stimano che da qui al 2030 la quota di mercato EV potrebbe passare dall’attuale 5% a circa il 60% sul totale delle automobili vendute.
Il tutto a patto che venga rispettata l’ipotesi di fondo che i Paesi tengano fede agli obiettivi di decarbonizzazione “net-zero” da qui al 2050. Eppure, sembra banale dirlo, tra il dire e il fare c’è di mezzo un mare di ostacoli: scarsità relativa di materie prime (in un contesto che sarà caratterizzato peraltro da una domanda in continua espansione); gap infrastrutturali che richiederanno parecchio tempo e denaro per essere colmati; prezzi degli EV ancora inaccessibili per la maggior parte dei consumatori a medio-basso reddito. È evidente dunque che, con queste condizioni di partenza, sembra difficile parlare di transizione all’elettrico già in corso d’opera.
Cina già in pole position
Per occupare un ruolo di leadership nel segmento degli EV, in un mercato così integrato come quello globale è fondamentale essere ben posizionati lungo tre filiere chiave: quella dei semiconduttori, quella delle batterie e quella dei minerali critici che sono materie prime essenziali per realizzare i primi due prodotti. Si tratta infatti di tre tipi di input chiave per realizzare prodotti ad alto contenuto tecnologico come i veicoli elettrici. La Cina occupa una posizione strategica nella parte più a monte dell’intera filiera dell’auto elettrica, controllando quasi totalmente il settore dei minerali critici: Pechino, infatti, ha in mano il 55% delle miniere e dei giacimenti mondiali e l’85% della capacità di raffinazione di queste risorse. Ma non solo: la quota di mercato globale relativa alla produzione di batterie detenuta dalla Cina equivale al 35%. Ecco perché la Repubblica popolare potrebbe esercitare una forte influenza geopolitica rispetto agli altri due grandi poli produttori, Stati Uniti ed Europa, che si trovano inevitabilmente a dover rincorrere Pechino, in grado di controllare sia il lato dell’offerta ma anche della domanda di auto elettriche: è infatti il più grande mercato in termini di veicoli acquistati. Non è dunque un caso se il governo degli Stati Uniti è particolarmente allarmato: nonostante Tesla sia, ad oggi, il principale produttore globale di auto elettriche, in realtà l’azienda (e in generale gli USA) dipendono fortemente dall’importazione di input chiave. Per dare solo due numeri, la quota statunitense di chips sul totale globale è crollata in meno di trent’anni dal 37% al 12%, mentre l’aumento dell’energia necessaria per soddisfare l’incremento atteso della domanda di batterie non sembra minimamente sufficiente se non ci saranno misure aggiuntive volte a rafforzare la capacità produttiva.
E l’Europa?
Come accennato in precedenza, la recente decisione del Consiglio europeo ha fissato una scadenza precisa per la dismissione dei veicoli a combustione interna. Per rispettare tale scadenza, sarà dunque necessario accelerare sul fronte della transizione verso l’elettrico. Tuttavia, l’industria automobilistica europea deve compiere ancora molti passi in avanti sul fronte EV: secondo l’Associazione dei Produttori di Auto Europei, nel 2020 le auto elettriche vendute corrispondevano al 5,4% del totale.
Il mercato continentale fa ancora fatica a decollare soprattutto per l’elevato grado di frammentazione e disomogeneità con cui il settore si sta sviluppando. Da un lato ci sono grandi produttori come Volkswagen che si avviano a diventare leader mondiali nella produzione di EV concentrando la loro attività nei Länder orientali della Germania. Dall’altro, l’Europa deve fare i conti con una pesante carenza infrastrutturale: ad esempio, circa metà dei punti di ricarica dei veicoli plug-in sono concentrati in soli due Paesi (Germania e Paesi Bassi). Al momento, sembra dunque che le principali strategie messe in campo – la European Battery Alliance e lo European Chips Act – non siano ancora in grado di produrre i risultati attesi, anche perché potrebbero dare vita a meccanismi protezionisti e distorsioni di mercato che non consentirebbero in ogni caso di ridurre la dipendenza dell’UE in segmenti chiave delle filiere, soprattutto per quanto riguarda il controllo delle materie prime.
Una gara lunga… con partenza a handicap
Il mercato delle auto elettriche è destinato inevitabilmente a crescere, innanzitutto per la necessità di raggiungere i target di riduzione delle emissioni che gli attuali motori a combustione interna non possono garantire. Tuttavia, per soddisfare la crescente domanda di EV sarà necessario trovare soluzioni che riescano ad ampliare le attuali limitazioni sul lato dell’offerta, che riguardano la scarsità relativa di input chiave ma soprattutto la distribuzione disomogenea degli stessi, attualmente controllati in larga parte dalla Cina. Per cercare di ridurre progressivamente la dipendenza da Pechino, Europa e Stati Uniti potrebbero rispondere mettendo in campo una maggiore cooperazione tecnologica per rafforzare le rispettive supply chains. La partnership transatlantica potrebbe favorire un rafforzamento dell’Occidente nei segmenti più a valle (e anche ad alto valore aggiunto) della filiera. Tuttavia, rischia di rimanere irrisolto il problema dell’accaparramento delle materie prime. Ecco perché, anche in questo caso, sarebbe opportuno cercare di disinnescare i rischi di frammentazione geoeconomica amplificati dall’attuale situazione internazionale.