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Commentary

Banco di prova per Trump

Giuseppe De Bellis
17 aprile 2020

Una battaglia durata mesi e mesi, fatta da una ventina di candidati, poi di primarie con sette-otto contendenti, poi diventati quattro, poi due. Ecco, una battaglia così alla fine si è risolta in meno di una settimana: Joe Biden ha incassato prima la rinuncia alla corsa e poi l’endorsement di Bernie Sanders, successivamente l’appoggio con relativa fiche sulla candidatura alla vicepresidenza di Elizabeth Warren e via, fatto.

Il grande dibattito sullo sfidante di Trump, la grande guerriglia interna ai Dem tra ultra liberal e centristi è svanita: tutti uniti contro l’avversario comune, cioè il presidente. Il che potrebbe far pensare la cosa più ovvia: perché perdere così tanto tempo? È una domanda senza risposta ed è anche una domanda che ha poco senso perché, senza l’epidemia che ha investito gli Stati Uniti, forse le rinunce non sarebbero mai arrivate e la battaglia sarebbe proseguita sul territorio, con le varie primarie. Invece alla fine il fattore esterno è stato determinante e determinante lo sarà anche nei prossimi mesi. Perché la campagna elettorale per le presidenziali sarà una campagna che ruoterà tutta attorno alle conseguenze del Covid-19.

Quelle di novembre saranno le prime elezioni di un grande Paese nel post pandemia, in un contesto che sarà molto diverso da tutti quelli vissuti negli ultimi decenni. Perché nessun attentato, neanche l’11 settembre 2001; nessuna crisi economica, neanche quelle del 2008-2009; nessun altro evento è così totalizzante come la pandemia da Covid-19. Condizionando ogni aspetto della nostra vita presente e futura è paragonabile solo a una guerra, anche se questo paragone non piace a molti. Così è, invece, per la politica e in particolare per quella americana che adesso è ancora totalmente immersa nella gestione dell’emergenza sanitaria e poi si ritroverà nella crisi economico-sociale più importante dal dopoguerra a oggi. Ciò significa che tutto quello che potevamo immaginare in campagna elettorale sarà stravolto: temi, priorità, geografia degli Stati da visitare, orientamento degli spot, gestione dei comizi. Entriamo in una sfera di confronto politico che non conosciamo e che neanche i candidati e i loro staff conoscono.

Una cosa, però, è certa: questa è e resta una campagna pro o contro Trump. Ancor più dell’era pre-Covid-19 questa campagna sarà un lungo banco di prova per il Presidente. Chi può battere Trump? Trump stesso. A oggi i sondaggi vedono quasi tutti Biden davanti, ma ciò è determinato essenzialmente da due fattori: il traino delle primarie e degli endorsement e il fatto di essere lo sfidante. Eppure i numeri relativi al gradimento del presidente prima della grande crisi del Coronavirus erano estremamente confortanti per Trump: dopo la vittoria in Senato sull’impeachment il suo gradimento ha toccato i massimi da un anno, l’economia americana, prima dell’arrivo del Coronavirus e dei suoi potenziali effetti sui mercati, continuava ad andare molto bene. E però poi il virus è arrivato, con tutto il suo carico di certezze (contagiati, ricoverati più o meno gravi, morti, città e Stati bloccati) e di incertezze (tempi di riapertura, effetti sul Pil, effetti sul mercato del lavoro, effetti sulla tenuta sociale). Da qui passa la strada per la Casa Bianca. Biden è preparato, è stato vicepresidente, senatore di lunghissimo corso, era il candidato potenzialmente migliore e sicuramente “inevitabile”, ma la sua campagna sarà una campagna di rimessa: Trump è un presidente in trincea, un presidente da gestione della crisi. Il collasso economico sta già lasciando milioni di americani a casa e vede fallire migliaia di imprese. Il modo in cui Trump gestirà le conseguenze della pandemia determinerà se seguirà le orme di Herbert Hoover, diventando un presidente di un solo mandato il cui nome resterà per sempre legato alla miseria economica, o se invece ricalcherà il solco tracciato da Franklin Delano Roosevelt che ne prese il posto e diventò il simbolo dei presidenti di guerra e fu rieletto due volte durante il secondo conflitto mondiale.

Molti analisti democratici pensano che tutto ciò che debba fare Biden da qui a novembre è mantenere la barra dritta, apparire solido, competente, autorevole, compassionevole e risoluto e poi aspettare: lasciare che Trump faccia le sue mosse, riuscendo a risalire la china di una situazione che per gli Stati Uniti sembra molto complicata, oppure schiantandosi. Trump è Trump, ha il merito, e al tempo stesso il demerito, di essere rimasto identico a sé stesso sia da candidato sia da presidente. Le sue conferenze stampa sul Coronavirus sono show che oscillano tra il tragico e il surreale. Ma è un errore pensare che la maggior parte degli americani consideri le sue accuse contro la Cina, l'Organizzazione mondiale della sanità o i media solo blandi tentativi di creare un diversivo. Al contrario, i suoi attacchi potrebbero, soprattutto in una situazione come quella attuale, essere apprezzati da molti elettori oltre la sua stessa base. Trump conterà i morti, i contagiati e poi man mano che l’emergenza sanitaria lascerà spazio alle conseguenze economiche e sociali, si giocherà la sua partita sul fronte della ripresa. La chiave della corsa alla Casa Bianca sta tutta lì ed è solo nelle mani del presidente.

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AUTORI

Giuseppe De Bellis
Direttore Sky Tg24

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