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Commentary
Barack Obama: lo stato dell'Unione e i dubbi della presidenza
03 febbraio 2014

Il tradizionale discorso sullo stato dell’Unione ha offerto, quest’anno, lo spettacolo di un Barack Obama particolarmente assertivo, sia sui temi economici e sociali – da sempre piatto forte della sua piattaforma – sia, soprattutto, su quello sempre sensibile nella cultura politica statunitense dei rapporti fra amministrazione e Congresso(1). La volontà manifestata dal Presidente di fare ampio ricorso, nell’anno appena iniziato, al potere di ordinanza (executive order) ha rappresentato il punto focale di un intervento che, come di consueto, ha visto i temi della politica interna farla da padrone rispetto alla dimensione internazionale, sebbene quest’ultima non abbia mancato di offrire, fra la fine del 2013 e il primo scorcio di 2014, diversi spunti d’interesse. L’attenzione che i media hanno dedicato a questo aspetto è significativa. Il favore dell’elettorato statunitense per le questioni interne e il ruolo preminente che esso attribuisce loro rispetto a quelle internazionali sono note. Non stupisce, quindi, che anche in questa occasione tali questioni abbiano rappresentato uno degli elementi portanti rispetto alle scelte di registro e di contenuto fatte dal presidente(2). Altri elementi, tuttavia, hanno concorso a strutturare la posizione della Casa Bianca. Fra questi, l’intenzione di rilanciare la figura del presidente e l’azione dell’amministrazione dopo un anno "a luci e ombre" come il 2013, e la volontà – in parte legata al punto precedente – di indirizzare la campagna per le prossime elezioni di midterm (previste per il 4 novembre) su un terreno – quello delle politiche pubbliche – considerato congeniale e “gradito” all’amministrazione.

Il 2013 è stato un anno complesso per Barack Obama e per il suo entourage, soprattutto per quanto riguarda i rapporti con la Camera dei Rappresentanti, saldamente in mano repubblicana (233 delegati contro 200 democratici, e due seggi attualmente vacanti) dopo le elezioni del novembre 2010. Sul piano interno, il momento più eclatante del confronto è stato, senza dubbio, il mancato accordo sul tetto del deficit federale, che ha portato alla sospensione delle attività correnti dell’amministrazione pubblica fra il 1° e il 16 ottobre. Il consenso faticosamente coagulatosi dapprima intorno al Reid-McConnell Bill del 16 ottobre (che ha permesso la ripresa delle attività prima interrotte), quindi intorno Ryan-Murray Budget Deal del 18 dicembre, se ha scongiurato, per il prossimo futuro, il rischio di un nuovo shutdown, non ha modificato concretamente la condizione di vulnerabilità dell’esecutivo sulle questioni finanziarie. L’accordo di dicembre in particolare, è stato assai criticato sia di quanti hanno voluto trovarne il minimo comune denominatore nella volontà bipartisan di favorire una lievitazione della spesa pubblica, sia da quanti, al contrario, hanno osservato come esso – lungi dal favore l’emergere di una reale convergenza fra la parti – non abbia intaccato le logiche competitive che presiedono all’azione dei due partiti(3). Il tema ancora aperto dell’implementazione dell’“Obamacare” (Affordable Care Act, 2010) alimenta questa contrapposizione, rilanciando continuamente il dibattito intorno a un tema che, fin dalle elezioni del 2009, si è imposto come perno simbolico della presidenza e metro di misura della sua credibilità.

In questo contesto, la piattaforma “interventista” delineata dal presidente per l’anno a venire ha scatenato la vivace (anche se largamente prevedibile) reazione di vari rappresentanti repubblicani. Sul piano delle esternazioni “fokloristiche”, questa reazione ha trovato la sua epitome nella scomposta evocazione, da parte del deputato del Texas Randy Weber, dello spettro di una “dittatura socialista”(4). Più concretamente, la levata di scudi della maggioranza congressuale sembra costituire (oltre che un tributo pressoché obbligato al mantra dello “Stato minimo”, ormai principale punto di convergenza per le diverse componenti del Grand Old Party) il chiaro segnale di una frammentazione non molto diversa da quella che affligge il campo democratico. Si tratta di un fenomeno, per vari aspetti “di lunga durata”, messo in evidenza, fra l’altro, dalla meteorica parabola di Sarah Palin fra il 2006 e il 2009, dal successo del movimento del Tea Party nelle elezioni di midterm del 2010, e dalle difficoltà incontrate da Mitt Romney nell’aggregare una maggioranza coesa sia durante le primarie di partito, sia durante la corsa presidenziale del 2012. Nonostante il proliferare dei candidati in pectore (o, forse, proprio per questo), allo stato attuale delle cose, il Partito Repubblicano appare ancora alla ricerca sia di un leader capace di imporre in modo chiaro la propria figura in vista delle ormai non remote presidenziali del 2016, sia (cosa più importante) di una piattaforma politica credibile, capace di fare presa nelle preferenze del corpo elettorale, al di là di un generico – e un po’ logoro – appello al contenimento dello “spazio della politica”.

È questo lo scenario che il discorso del 27 gennaio sembra volere battere in breccia. Se – come è stato osservato – difficilmente il discorso sullo stato dell’Unione riuscirà a rilanciare le fortune politiche del presidente e del suo partito, esso capitalizza, comunque, sulla evidente debolezza del fronte repubblicano. La scelta di quest’ultimo di spingere sulla strada dello shutdown ha contribuito in maniera significativa ad alienargli le simpatie dei ampi strati di elettorato “di centro” che pure ne condivide, in larga misura, la piattaforma politica. Da un altro punto di vista, l’esperienza dello shutdown ha accentuato, all’interno del GOP, le fratture esistenti fra le sue diverse anime, e messo a nudo la difficoltà di portare a fondo il confronto sui temi della finanzia pubblica, soprattutto di fronte alla "pregiudiziale anti-tasse" posta da parte della sua base. Com’è stato rilevato, sia il Reid-McConnell Bill sia il Ryan-Murray Budget Deal costituiscono il prodotto di una “convergenza al centro” legata ai prossimi appuntamenti elettorali, e anche per questo destinata ad accentuarsi nel corso dei mesi a venire, di fronte alla progressiva radicalizzazione della posizione delle ali estreme dei due schieramenti. L’enfasi rivolta dal presidente al desiderio di sviluppare politiche bipartisan nel campo della tutela ambientale, del lavoro e della promozione del commercio estero può essere letta, in questa prospettiva, come una sorta di “mano tesa” all’establishment repubblicano moderato, seppure controbilanciata dall’“atto d’imperio” computo sulla questione dei salari minimi dei dipendenti impiegati da titolari di contratti federali.

Le possibilità di successo di questa strategia restano tutte da valutare. Le fratture sono profonde anche in seno al Partito Democratico, e non è detto che la nuova postura presidenziale riesca davvero a sanarle. L’agenda dell’amministrazione per la promozione del commercio internazionale, ad esempio, è già stata fatta oggetto di critiche; critiche che, puntualmente, si sono ripetute in occasione del suo annuncio nel discorso davanti al Congresso(5). Nonostante l’intenzione di fare del 2014 un “anno d’azioni”, l’impressione è quindi che, una volta di più, Barack Obama rischi di trovarsi impegnato nel consueto, complesso esercizio di equilibrismo fra gli imperativi imposti dalla sua piattaforma politica (e, prima ancora, dalla sua immagine pubblica), dalle necessità immediate del suo partito e dai compromessi sui cui si basa il funzionamento dei meccanismi congressuali. Anche la volontà annunciata di ricorrere in maniera sistematica al diritto di veto per sostenere la sua politica di negoziato con l’Iran, si scontra con la consapevolezza che – su questo come su altri punti – l’amministrazione non può realmente impegnarsi in una prova di forza con il Legislativo senza che ciò si traduca in un danno netto per entrambi. Al di là delle elezioni di midterm, la lunga corsa per le presidenziali del 2016 è già iniziata, e ha già cominciato ad agitare le acque anche all’interno del Partito Democratico, che era apparso diviso già nel 2009, all’epoca delle primarie che avevano fatto di Obama il candidato alla successione di George W. Bush e che, nel corso degli ultimi due anni, sembra avere accentuato le proprie divergenze interne.

1. Per una trascrizione del testo del discorso sullo stato dell’Unione cfr. President Barack Obama’s State of the Union Address, 28.1.2014, all’indirizzo Internet: http://www.whitehouse.gov/the-press-office/2014/01/28/president-barack-obamas-state-union-address (accesso: 30.1.2014).
2. B. FRIEDMAN, "The State of the Union is Wrong", Foreign Affairs, 28 gennaio 2014, all’indirizzo Internet: http://www.foreignaffairs.com/articles/140694/benjamin-friedman/the-state-of-the-union-is-wrong (accesso: 30 gennaio 2014).
3. Cfr., ad es., E. KLEIN, “Ryan-Murray Budget Deal Doesn’t Show the Two Parties Can Compromise, It Shows They Can’t”, in The Washington Post, 18 dicembre 2013, all’indirizzo Internet: http://www.washingtonpost.com/blogs/wonkblog/wp/2013/12/18/ryan-murray-budget-deal-doesnt-show-the-two-parties-can-compromise-it-shows-they-cant/ (accesso: 30 gennaio 2014); V. DE RUGY, "The One Thing Both Parties Agree On. More Spending", US News, 23 dicembre 2013, all’indirizzo Internet: http://www.usnews.
com/opinion/blogs/economic-intelligence/2013/12/23/the-ryan-murray-budget-deal-shows-both-parties-want-more-spending (accesso: 30 gennaio 2014).
4. A. BLACK, “GOP Congressman Calls Obama a ‘Socialist Dictator’”, in The Washington Post, 28 gennaio 2014, all’indirizzo Internet: http://www.washingtonpost.com/blogs/post-politics/wp/2014/01/28/gop-congressman-calls-obama-a-socialist-dictator/ (accesso: 30.1.2014). Sulla figura del Weber cfr., ad es., le osservazioni di T. ALBERTA, “Randy Weber: Conservative Legend in His Own Mind”, in National Journal, 2 luglio 2013, all’indirizzo Internet: http://www.nationaljournal.com/congress/randy-weber-
conservative-legend-in-his-own-mind-20130702 (accesso: 30 gennaio 2014).
5. J. NICHOLS, "State of the Union: Right on Wages, Wrong on Trade",  in The Nation, 29 gennaio 2014, all’indirizzo Internet: http://www.thenation.com/blog/178144/state-union-right-wages-wrong-trade (accesso: 30 gennaio 2014).
Gianluca Pastori, professore aggregato di Storia delle relazioni politiche fra il Nord America e l’Europa, Facoltà di Scienze Politiche e Sociali, Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano

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