A due anni dalla terribile esplosione del porto di Beirut, il Libano aspetta ancora la verità sul disastro. Indagini ferme, una classe politica corrotta e una crisi economica senza precedenti sono lo specchio di un paese alla deriva.
Due anni. Tanto è passato dalla spaventosa esplosione che sventrò il porto di Beirut causando 220 morti, 6500 feriti e sepolto interi quartieri della capitale sotto cumuli di macerie e polvere. Ventiquattro mesi in cui l’orologio sembra essersi fermato, in un paese che aspetta ancora verità e giustizia sulla peggiore strage in tempi di pace che la storia del paese ricordi. Nel pomeriggio di un anniversario triste, diversi cortei e manifestazioni si sono svolti nella capitale per concludersi davanti alla statua dell’emigrante di fronte al porto. I sopravvissuti e diverse organizzazioni internazionali hanno chiesto al Consiglio dei diritti umani dell’Onu di istituire “un’inchiesta internazionale indipendente e imparziale” per far luce su una “tragedia di proporzioni storiche”. A due anni dall’esplosione – causata da quasi 3mila tonnellate di nitrato di sodio abbandonate in un container – l’indagine portata avanti dalla giustizia nazionale si è arenata, tra i veti incrociati dei partiti e delle istituzioni che ne hanno ripetutamente ostacolato l’avanzamento bloccando indagini, procedimenti legali e persino interrogatori a politici indicati dal giudice Tarek Bitar come responsabili o comunque a conoscenza dei fatti. Da allora il paese attende di sapere come sia stato possibile che una simile quantità di esplosivo – usato principalmente come fertilizzante – fosse rimasta abbandonata per anni nel cuore della città. Il Libano resta così immobile, paralizzato in preda di una classe politica rapace, impunita e incapace di adottare quelle riforme invocate dalla comunità internazionale, dal Fondo monetario internazionale e dalla Banca mondiale per sbloccare i fondi e consentire al paese – un tempo considerato la ‘Svizzera del Medio Oriente’ – di voltare pagina.
Crollano i silos o il paese?
L’impasse in cui versa il paese è tornata di drammatica attualità appena tre giorni fa, quando parte dei silos rimasti in piedi nel porto di Beirut dopo l’esplosione sono collassati. A causarne il crollo è stato un incendio sviluppatosi tra le riserve di cereali, che dopo aver fermentato hanno preso fuoco a causa delle alte temperature. Prima dell’esplosione al porto di due anni fa, quei silos custodivano circa l’85% delle scorte di cereali del Libano. Oggi il loro cedimento riproduce agli occhi di molti lo schianto di un intero paese, incapace di salvarsi da sé stesso. Il primo ministro Najib Mikati aveva avvertito che una parte dei silos rischiava di crollare e aveva invitato i militari e la direzione per la gestione dei disastri a mantenersi in stato di “massima allerta”. Le fiamme, tuttavia, hanno continuato a propagarsi per una settimana senza che i pompieri riuscissero a domarle. Nei silos del porto erano ancora depositate in totale 3mila tonnellate di grano e altri cereali che, dopo l'esplosione di due anni fa, non era stato possibile rimuovere a causa del pericolo di crollo. Il tutto in un paese in cui la crisi alimentare era già in atto ben prima dello scoppio del conflitto in Ucraina e che nelle prossime ore attende l’arrivo, a Tripoli, della prima imbarcazione salpata dal porto di Odessa con a bordo 26mila tonnellate di grano.
Una crisi senza fondo?
Lo stallo politico e la crisi economica che si trascina da ormai tre anni sta facendo sprofondare il Libano in un abisso di cui non si vede il fondo. Il primo default del paese risale al marzo 2020, e provocò un crollo del valore del 90% della lira libanese sul mercato nero. Parallelamente, il debito pubblico ha superato i 170 miliardi di dollari e la crisi è acuita dallo stallo politico dopo le elezioni legislative del 15 maggio scorso, in seguito alle quali non è ancora stato formato il governo. Gli ultimi dati indicano che a giugno l’inflazione su base annua ha raggiunto il 210% con vette anche di molto superiori sui generi alimentari e i beni di prima necessità: alle prese con la lenta crescita economica e l'impennata dei prezzi delle materie prime, spinti in alto dalla guerra in Ucraina, l'inflazione alimentare nominale in Libano ha raggiunto il 332%. In particolare, i costi di acqua ed elettricità – anche a causa di una rete idrica ed elettrica al collasso – e il prezzo dei combustibili sono aumentati del 594% nel mese di giugno su base annua, seguiti dall’incremento dei costi in ambito sanitario e dei trasporti. A far traboccare un vaso già colmo è arrivata la guerra e il blocco delle esportazioni di cereali dall’Ucraina e dalla Russia, che ha provocato una carenza di grano e cereali senza precedenti, con conseguenti razionamenti e lunghe code davanti alle panetterie.
Tra segreti e impunità?
Sebbene apparentemente indipendenti e distanti nel tempo, l’esplosione di due anni fa al porto di Beirut e l’incendio nei silos sono collegati da un filo rosso. Lo scorso aprile, con una decisione controversa, il governo libanese aveva deciso di demolire i silos parzialmente danneggiati e a rischio di crollare. Il progetto era stato però sospeso a causa delle proteste dei familiari delle vittime dell’esplosione, che temevano che un intervento con scavatrici e mezzi pesanti nell’area potesse spazzare via elementi potenzialmente utili per le indagini. “La loro demolizione è una soluzione puramente politica, per dire che l'esplosione non è mai avvenuta. Senza prove materiali, si possono falsificare dati e narrazioni e, a poco a poco, modificare la memoria", avverte Joanne Farchakh Bajjaly, direttrice di Baladi. Anche per preservare la memoria collettiva, in molti sostengono che il sito dovrebbe diventare un memoriale, dedicato al ricordo di quanto accaduto in quel fatidico 4 agosto 2020. “I silos sono il simbolo della corruzione nel paese – avvertono i familiari delle vittime – Devono essere preservati e consolidati per non dimenticare finché non sarà fatta giustizia. La decisione sul loro destino dovrebbe essere lasciata al popolo libanese e non solo alle autorità”.
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A cura della redazione di ISPI Online Publications (Responsabile Daily Focus: Alessia De Luca, ISPI Advisor for Online Publications)