In tempi di guerre commerciali e di confronto sistemico USA-Cina, tra gli analisti è ormai aperto il dibattito su una possibile nuova Guerra Fredda. Una Cold War 2.0 innescata dall’America di Trump per contenere la prepotente ascesa politica e tecnologica della Cina di Xi Jinping. Ben diverso, certo, il contesto odierno rispetto al confronto con l’Unione Sovietica, gigante politico dai piedi d’argilla non integrato nell’economia mondiale. La Cina di oggi è ben altro avversario e la sua Belt&Road Initiative (BRI) è una delle armi strategiche di Pechino per giocare una partita vincente nella globalizzazione e nell’esportazione del modello cinese nel quadro del confronto tra il Washington Consensus e il cosiddetto Beijing Consensus, in corso in realtà dalla metà dello scorso decennio. Ma il mondo di oggi può permettersi una nuova Guerra Fredda?
Interessante sarà quindi seguire l’evoluzione della BRI, la nuova Via della Seta non solo terrestre e marittima, nel quadro di uno scontro sempre più duro dove, paradossalmente, a fronte di un’America protezionista che si ritira dalle organizzazioni internazionali e minaccia i suoi partner commerciali, la Cina non solo ha dimostrato di saper costruire nuove alleanze (non senza errori) ma si propone come campione della globalizzazione e dello sviluppo sostenibile. “Ci impegniamo a supportare uno sviluppo aperto, trasparente e a rigettare il protezionismo”, ha ribadito il presidente Xi di fronte ai 37 capi di Stato e ai 5 mila tra diplomatici e rappresentati del business in occasione del Secondo Forum BRI svoltosi a Pechino alla fine dello scorso aprile.
La BRI in effetti ha posto la Cina al centro della grande e storica partita dello sviluppo delle infrastrutture globali, strumento strategico dello sviluppo mondiale dei prossimi anni: entro il 2040, si stima che serviranno 94 trilioni di dollari per investimenti in infrastrutture per poter gestire i grandi cambiamenti demografici, ambientali ed economici destinati a mutare il volto del mondo (previsioni del CSIS, Centre for Strategic International Studies – CSIS). Una partita geo-economica e geo-politica che è divenuta partita per la leadership mondiale e che, oltre alla Cina, vede oggi impegnati USA, Giappone e India.
Con due puntualizzazioni emerse chiaramente dal Secondo Forum BRI.
La prima: secondo molti analisti, la Cina ha già guadagnato molte posizioni. Pechino ha cominciato a lavorare alla nuova Via della Seta già dallo scorso decennio proponendo un progetto per avvicinare l’Asia all’Europa nel quadro della cosiddetta politica del “Go Out” per incentivare la proiezione internazionale dei grandi gruppi cinesi. Con l’arrivo del presidente Xi Jinping, nel 2013 il progetto “One Belt One Road” (OBOR) diviene strategico per l’affermazione della Repubblica popolare sulla scena mondiale. Così oggi il 64% dei paesi del mondo supportano la BRI e solo USA, Giappone e Paesi europei chiave (l’Italia, come è noto, ha dato recentemente il suo supporto) si astengono. Alla fine dello scorso marzo, il governo cinese aveva firmato accordi di cooperazione con 125 paesi e 29 organizzazioni internazionali per un progetto che nel frattempo ha superato la dimensione euroasiatica, includendo nuovi partecipanti in Africa, America Latina e Pacifico meridionale.
La seconda: nella prima fase della BRI, Pechino e il braccio armato delle sue imprese hanno commesso errori di governance che hanno dato un’arma a chi nel frattempo si era reso conto della potenziale “pericolosità” del progetto per il sistema occidentale, USA in testa. Un iniziale laissez-faire delle autorità cinesi sul fronte dei controlli in materia di corruzione, rispetto dei diritti sociali e dell’ambiente, come di conoscenza di sistemi diversi e di potenziali rischi politici hanno messo in contraddizione la proposta iniziale di una BRI come proposta operativa per una “comunità con un futuro condiviso per il genere umano” e un “nuovo modello di governance globale” così come proposto dal presidente Xi nel suo discorso al primo Forum BRI nel 2017. Per non parlare del problema della “debt trap diplomacy” e delle accuse di “neo-colonialismo” nei paesi in via di sviluppo interessati da progetti BRI, entrati di prepotenza nella narrazione dell’amministrazione americana (e non solo). Sulla difensiva e per dissipare i dubbi del resto del mondo, proprio al Secondo Forum di Pechino la Cina si è impegnata a migliorare la sua azione per renderla più responsabile, trasparente ed economicamente sostenibile. Quanto al problema della “trappola del debito”, alla vigilia del Forum è arrivato l’accordo con la Malaysia per la rinegoziazione degli importanti progetti infrastrutturali finanziati da Pechino e sospesi per volere della nuova leadership di Kuala Lumpur.
Rispetto alla fase uno della BRI, Pechino ha inoltre alzato la sfida e allargato il campo d’azione: non più solo una via di terra e una marittima per le nuove rotte commerciali globali, ma oggi “Sei Corridoi e Sei strade” che si irradiano dalla Cina e interessano tutti i Paesi confinanti (importanti le recenti dichiarazioni di Xi e Putin in terra russa) con vie che non sono più solo della seta ma anche energetiche e digitali.
Resta da vedere quali saranno le azioni al di là degli impegni a parole. In ogni caso tre sono le domande che si impongono di fronte a una potenziale nuova Guerra Fredda e della ridefinizione degli equilibri di potenza globali. La Cina sta imparando dalla sua esperienza sul fonte della BRI ed è disposta a migliorare realmente la sua azione nel rispetto delle regole globali o Pechino mira a esportare un modello diverso ed egemonico? Sarà possibile rendere veramente multilaterale la BRI e arrivare a una governance e ad una sostenibilità finanziaria migliore? In sostanza, quale volto avrà la BRI 2.0, ovvero la nuova e più matura fase di un progetto globale cui Pechino certo non vuole e non può rinunciare anche in presenza di tassi di crescita meno impetuosi del passato?
La risposta dipenderà certo da una concreta azione di “ripulitura” delle nuove Vie della Seta e per Pechino non sarà facile: implementare una buona governance nel settore delle infrastrutture è difficile in patria, lo è ancor più all’estero. La Cina di Xi appare comunque determinata a imporre maggior disciplina per assicurare “alta qualità” ai progetti BRI per il futuro. Ne va dell’immagine stessa della Repubblica popolare in un momento di duro confronto per la leadership globale.
Ma molto dipenderà anche dall’atteggiamento dell’America e dei suoi alleati, asiatici ed europei. Se si vorrà o se si riuscirà ad evitare la Cold War 2.0, e se nei rapporti con la Cina prevarrà la scelta di una “cooperative rivalry”, come propone Joseph Nye, allora la BRI 2.0 potrà essere una vera Via della Seta del Terzo Millennio per avvicinare e far convivere sistemi diversi. Si potrebbe partire dalla scrittura in comune di regole innovative per i grandi progetti infrastrutturali, irrinunciabili per affrontare le grandi sfide globali nell’era della rivoluzione tecnologica. Per arrivare alla riscrittura delle regole di governance del nuovo mondo nato con l’ascesa di nuovi protagonisti, a partire proprio da una Cina che rivendica il suo ruolo di potenza sulla scena globale. Ma chi vuole davvero questa nuova “coesistenza pacifica”?