Naftali Bennett negli Emirati per la prima storica visita di un premier israeliano nel paese arabo: “Siamo vicini e cugini”.
Naftali Bennett è arrivato ad Abu Dhabi per una visita storica: la prima volta di un premier israeliano negli Emirati Arabi Uniti. In un vicino Oriente in cui alleanze ed equilibri di potere appaiono in rapida evoluzione, il primo ministro è stato ricevuto dal Principe della Corona, Mohammed bin Zayed al-Nahyan, con cui ha discusso delle relazioni bilaterali tra i due paesi, dopo gli Accordi di Abramo dell’anno scorso. “Il messaggio che desidero trasmettere ai leader degli Emirati Arabi Uniti e ai cittadini degli Emirati è che la collaborazione e l’amicizia reciproche sono naturali. Siamo vicini e cugini. Siamo i nipoti del Profeta Abramo”, ha detto il premier israeliano, aggiungendo che la firma degli accordi di Abramo “sono la prova migliore che lo sviluppo delle relazioni bilaterali è un tesoro prezioso per noi e per l'intera regione”. Una visione condivisa dallo sceicco bin Zayed che ha rinnovato la speranza che il nuovo corso porti “stabilità in Medio Oriente”. Alla vigilia del viaggio – seguito con attenzione dalla stampa araba e israeliana – Bennett ha sottolineato che la visita riflette “una nuova era per la Regione”.
È il ‘new normal’?
Fortemente voluti dall’amministrazione americana di Donald Trump – deciso a farne la pietra miliare della sua azione in politica estera – i cosiddetti ‘Accordi di Abramo’ hanno inaugurato una nuova era di ‘normalizzazione’ tra lo stato ebraico e alcuni paesi a maggioranza islamica del Golfo e dell’Africa. Nella regione, solo Egitto e Giordania avevano relazioni con Israele, rispettivamente dal 1979 e dal 1994. Due eccezioni a fronte di una lunga storia di conflitti. Ma a partire dall’agosto 2020, dopo lunghe pressioni da parte di Washington, prima gli Emirati Arabi Uniti, poi il Bahrain, il Marocco e il Sudan hanno riconosciuto lo stato di Israele in cambio di importanti contropartite sul piano economico e strategico-militare: se gli Emirati hanno avuto accesso all’acquisto degli aerei da combattimento statunitensi, F-35, il Marocco ha ottenuto il riconoscimento di Washington della sovranità di Rabat sul Sahara Occidentale. Allo stesso modo il Sudan, la cui economia era strangolata da sanzioni e isolamento internazionale, ha ottenuto aiuti alimentari e finanziamenti ai progetti di sviluppo. Nei progetti di Trump c’era l’idea di isolare l’Iran e contenere la Turchia, creando un contesto di maggiore stabilità intorno allo stato di Israele man mano che prosegue il progetto di disimpegno americano dalla regione.
In the mood for....Expo?
Nel giro di un anno e mezzo il contesto è cambiato e Donald Trump non siede più alla Casa Bianca. Eppure, oggi, i sorrisi cordiali e le strette di mano tra Bennett e Bin Zayed a favore di telecamere fugano ogni dubbio: gli Accordi di Abramo non solo sono sopravvissuti alla fine della sua amministrazione ma sembrano godere di ottima salute. E non si capisce perché non dovrebbero: grazie ad essi i paesi del Golfo sono il nuovo baricentro nella regione, con buona pace del Qatar, che non intrattiene relazioni ufficiali con Tel Aviv, e di Riad, che pure approva la svolta emiratina e intrattiene relazioni non ufficiali con gli israeliani. A testimoniare il nuovo pragmatismo che orienta oggi le scelte di Abu Dhabi è il tema scelto per Expo Dubai 2020, “Connecting Minds, Creating the Future”: davanti al disimpegno di Washington e le incertezze del mondo pandemico, gli Emirati scelgono turismo, commercio e economia e si propongono di diventare un hub di connessione tra Europa, Africa e Sud–Est asiatico. Un’ambizione che corre lungo la nuova (e la vecchia) via della seta: lo si è visto lo scorso 22 novembre con l’accordo tripartito tra Abu Dhabi, Tel Aviv e Amman sulle energie rinnovabili: compagnie emiratine costruiranno un impianto solare in Giordania, la cui elettricità alimenterà Israele, mentre un impianto di desalinizzazione nello stato ebraico rifornirà la Giordania di acqua potabile. Accordi impensabili senza la firma dei Patti di Abramo.
Vincitori e vinti?
La visita avviene sullo sfondo della ripresa dei colloqui nucleari con l'Iran in corso a Vienna. Israele ha già intrapreso un’offensiva diplomatica in Europa, negli Stati Uniti e nel Medio Oriente per sollecitare un approccio più fermo nei confronti di Teheran. Abu Dhabi condivide le preoccupazioni di Tel Aviv sulla potenziale minaccia di un Iran dotato di armi nucleari, ma cerca al contempo di stabilire relazioni migliori con la Repubblica islamica, come con Ankara. Dopo anni di gelo, a novembre, Mohammed bin Zayed Al Nahyan è tornato nella capitale turca per stringere la mano al presidente Recep Tayyip Erdogan. Segno che gli Emirati hanno obiettivi geopolitici oltre che economici. C’è però chi guarda con sospetto e in modo apertamente critico al nuovo corso di scena ad Abu Dhabi. I palestinesi hanno condannato gli Accordi di Abramo che – di fatto – spezzano decenni di consenso condiviso in seno alla Lega Araba. Un consenso basato sull’impegno a negare il riconoscimento di Israele fino a quando quest’ultima non si fosse impegnato a riconoscere la creazione di uno stato palestinese con capitale a Gerusalemme est. Anche per questo, forse, ci sono segnali di cautela per non attirare troppo l’attenzione dei media sui rapporti tra i due paesi. Nonostante la visita ‘storica’ i funzionari emiratini hanno annunciato che – causa Covid – non ci sarà alcuna conferenza stampa congiunta dei due leader. Pazienza. Intanto il commercio bilaterale ha raggiunto quasi i 500 milioni di dollari nel 2021, rispetto ai 125 milioni di dollari del 2020, e si prevede che continuerà a crescere rapidamente.
Il commento
Di Eleonora Ardemagni, ISPI associate research fellow
“La politica estera degli Emirati Arabi ha rimesso al centro economia, connettività e diplomazia, dopo anni di rivalità incrociate e assertività militare. La visita del primo ministro israeliano negli EAU evidenzia quanto gli Accordi di Abramo siano funzionali alla nuova tattica emiratina. Oggi, anche grazie alla vetrina di Expo Dubai, gli Emirati scommettono sulla de-escalation (con Qatar, Iran, Siria, Turchia) per consolidare il ruolo regionale acquisito dopo il 2011. Insomma, per Abu Dhabi non è più questa, al momento, la fase del ‘colpo su colpo’ e della politica a somma zero’. Sarà interessante osservare però l’evoluzione dei rapporti fra Emirati e Arabia Saudita: i sauditi condividono la normalizzazione diplomatica fra emiratini e israeliani ma Riyadh, che è fuori dagli Accordi di Abramo, pare ora sempre un passo indietro, rispetto ad Abu Dhabi, nelle nuove geometrie del potere mediorientale”.
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A cura della redazione di ISPI Online Publications (Responsabile Daily Focus: Alessia De Luca, ISPI Advisor for Online Publications)