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INDO-PACIFICO

Biden al contrattacco economico

Filippo Fasulo
27 maggio 2022

La priorità strategica per gli Stati Uniti, anche in tempo di guerra in Ucraina, resta il contenimento dell’ascesa cinese. Questo è il messaggio chiaro lanciato da Biden in occasione della visita in Giappone e Corea del Sud dal 20 al 24 maggio, la prima in Asia da quando è diventato Presidente. Un viaggio preceduto da un summit a Washington il 13 e 14 maggio con i rappresentanti dei Paesi dell’ASEAN (l’associazione di dieci Paesi del Sud Est asiatico): incontro definito come deludente da diversi punti di vista. In particolare, era mancata una dichiarazione comune sulla guerra in Ucraina e, in generale, su una contrapposizione netta alla Cina. Diverso è stato l’esito degli incontri in Asia Nord-Orientale: Biden ha lanciato il suo piano economico regionale – l’Indo-Pacific Economic Framework (IPEF) e ha consolidato l’unità con gli altri Paesi membri del Quadrilateral Dialogue (QUAD), ovvero Giappone, India e Australia. In tutto ciò, l’aspetto più rilevante non è tanto quello militare-strategico quanto la dimensione economica. Per comprendere il senso dell’IPEF e il suo significato bisogna però fare un passo indietro e tornare alla Presidenza Obama.

 

Pivot to Asia: bocciato in economia

Nel 2011, con un articolo su Foreign Policy, l’allora Segretario di Stato Hillary Clinton presentava l’ormai famoso “Pivot to Asia”, ovvero una ridefinizione delle priorità strategiche degli Stati Uniti dal Medio Oriente e dall’Atlantico verso l’Asia e il Pacifico. La strategia era costruita su due pilastri: militare, ovvero il riposizionamento di una buona parte della flotta statunitense verso il Pacifico; economico, con un accordo commerciale che tenesse legati agli USA le maggiori economie della regione e che fosse costruito in modo da indurre la Cina ad adottare riforme di mercato. Se la componente strategica è stata mantenuta, quella economica è collassata con l’avvio della Presidenza Trump. Il pilastro economico, infatti, era rappresentato dal Trans-Pacific Partnership (Tpp) un accordo che era arrivato alla firma dei contraenti nel 2016, ma da cui gli USA si sono ritirati nel 2017, con la motivazione che un accordo di libero scambio avrebbe danneggiato la classe media americana, una critica che Trump condivideva con l’ala di sinistra del Partito Democratico.

 

Le contromosse di Pechino

In assenza degli USA, però, i Paesi dell’Asia Orientale non hanno rinunciato a una maggiore integrazione economica e, contestualmente, la Cina ne ha approfittato per presentarsi – in opposizione agli USA sempre più protezionisti di Trump – come un Paese favorevole alla globalizzazione e alla cooperazione economica. Il ritiro americano dal Tpp il 23 gennaio 2017 è avvenuto proprio nei giorni del celebre discorso di Xi Jinping al forum di Davos (il 17 gennaio) che aveva l’ambizione di incoronarlo come nuovo leader della globalizzazione. Da quel momento sono arrivati così a compimento due accordi regionali di libero scambio senza gli Stati Uniti: il Regional Comprehensive Economic Partnership (RCEP) e il Comprehensive and Progressive Trans-Pacific Partnership (CPTPP).

L’RCEP è indicato come il più grande accordo commerciale al mondo, visto che comprende Paesi per circa un terzo del Pil mondiale. Ne fanno parte in 15, ovvero la Cina, i 10 paesi membri dell’ASEAN, Giappone, Corea del Sud, Australia e Nuova Zelanda. L'accordo è entrato in vigore all’inizio di quest’anno e prevede una riduzione graduale dei dazi entro il 2030, migliorando le interconnessioni economiche in una regione – quella che comprende il Sud Est Asiatico – già fortemente integrata a livello commerciale. Uno dei punti di maggiore interesse dell’RCEP, allora, è la contemporanea presenza, per la prima volta, di Giappone, Corea del Sud e Cina che, proprio per questo, si sono riservati delle eccezioni reciproche nel fare concessioni doganali nel settore manifatturiero.

Il secondo accordo, il CPTPP, è sostanzialmente il TPP senza gli USA e ha una portata geografica più ampia, ma numerica più bassa di RCEP perché tra i suoi membri ci sono gli asiatici Giappone, Vietnam e Singapore, gli americani Messico, Canada e Perù e Australia e Nuova Zelanda in Oceania. Erede del TPP che mirava a imporre alla Cina riforme di mercato, il CPTPP mantiene disposizioni per limitare le azioni delle imprese di Stato. Nonostante questo, la Cina ha fatto richiesta di adesione nel settembre 2021, ovvero in un periodo di grande tensione regionale perché in quei giorni è stata creata a sorpresa una partnership militare regionale tra Stati Uniti, Australia e Regno Unito (AUKUS). Con la richiesta di aderire al CPTPP nei giorni della creazione di AUKUS, dunque, la Cina ha voluto presentarsi come un soggetto interessato alla cooperazione economica in contrapposizione a un approccio di tipo militare degli Stati Uniti. Tuttavia, è improbabile che la domanda cinese venga accolta, perché tutti i firmatari hanno potere di veto e il Giappone – solido alleato degli USA nel contenimento cinese – ha già manifestato l’intenzione di far ricorso alle proprie prerogative. Inoltre, la Cina non sembra davvero intenzionata a rivedere il ruolo delle proprie imprese di Stato nell’economia.  

 

I quattro fronti dell’IPEF

A questo punto, è facile comprendere l’urgenza per gli Stati Uniti di proporre un sostituto del TPP che compensasse l’assenza di una strategia economica verso la regione. L’IPEF è stato comunicato per la prima volta lo scorso autunno, per poi farne cenno nella Indo-Pacific Strategy of the United States pubblicata lo scorso 11 febbraio. È bene sottolineare come Indo-Pacifico non sia un termine neutro, bensì la concezione di un nuovo spazio geostrategico promosso dal Giappone e supportato dagli USA che mira a coinvolgere l’India in un fronte di contenimento dell’ascesa cinese che si estende dall’Oceano Indiano al Pacifico e che sostituisce il termine Asia-Pacifico, limitato all’estremità orientale dell’Asia e all’Oceania.

Dunque, fino alla presentazione di questi giorni, i dettagli sui contenuti e sui partecipanti all’IPEF sono rimasti molto scarsi, ma ora è possibile fare alcune valutazioni. Innanzitutto, gli aderenti sono più di quanto ci si potesse aspettare. Come accennato, infatti, nell’incontro a Washington i Paesi ASEAN non avevano preso impegni precisi, per cui si ipotizzava che avessero delle riserve sull’aderire a una partnership dai ritorni economici incerti e dal costo politico – in termini di critica alla Cina – alto. Tuttavia, dei 10 membri ASEAN tutte le principali economie hanno aderito all’IPEF, rimanendo fuori soltanto Paesi meno avanzati come Myanmar, Cambogia e Laos. Ci sono anche, come invece era lecito attendersi, Giappone, Corea del Sud, Australia e Nuova Zelanda che condividono con gli USA il proposito di contenimento cinese.

Infine, è estremamente significativa l’adesione dell’India per due ragioni: New Delhi non prende parte né a RCEP né al CPTPP e la mancata condanna indiana all’invasione russa aveva fatto pensare che ci potesse essere una frattura nel fronte dei Paesi che si riconoscono nell’Indo-Pacifico. A completare il quadro, il 26 maggio Fiji ha aderito come quattordicesimo membro fondatore. La scelta è particolarmente importante perché amplia la portata geografica dell’accordo e, soprattutto, avviene nei giorni del tour del ministro degli esteri cinese Wang Yi nelle isole del Pacifico. Per quanto riguarda i contenuti, bisogna rilevare che allo stato attuale i Paesi aderenti si sono soltanto impegnati ad avviare un dialogo per future negoziazioni su quattro capitoli quali 1) commercio, 2) supply chains, 3) energia pulita, decarbonizzazione e infrastrutture 4) tassazione e anti-corruzione. Non si tratta pertanto di un accordo di libero scambio “classico” focalizzato soprattutto sulla riduzione dei dazi, quanto di un piano economico con l’ambizione di portata maggiore di costituire un blocco omogeneo sulla base del principio di interconnessione tra prosperità economica e pace.

 

I nodi di Taiwan e del QUAD Plus

In maniera complementare, alcuni degli stessi temi sono stati trattati nel più ristretto gruppo del QUAD che, nato come piattaforma militare, ha ormai ampliato il proprio raggio d’azione ad altri temi di interesse comune dei partecipanti come la lotta al Covid e ai cambiamenti climatici e, persino, lo spazio. Di più stretto interesse economico, durante il summit dei leader dei Paesi QUAD si è stabilito di rafforzare la cooperazione nella realizzazione di infrastrutture e nella messa in sicurezza delle supply chains delle tecnologie critiche ed emergenti.

La visita di Biden, allora, ha segnato un punto per gli Stati Uniti nel processo di costruzione di un ampio consenso di adesione al proposito strategico di contenere la Cina. Si tratta però di un primo passo non vincolante, una circostanza che ha facilitato l’ampia partecipazione della maggioranza dei membri ASEAN e dell’India. Nelle evoluzioni future bisognerà considerare l’inserimento di Taiwan, oggi probabilmente esclusa per non accentuare ulteriormente il carattere anti-cinese dell’iniziativa, e la volontà di perseguire l’obiettivo di creazione di un blocco economico anche attraverso il QUAD, di cui si discute la possibilità di ampliamento a Corea del Sud e Nuova Zelanda nel formato QUAD Plus.

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Filippo Fasulo
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Image Credits (CC BY-ND 2.0): US Embassy Tokyo

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