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DATAGLOBE

Bitcoin&Co: un anno di svolta?

Lorenzo Borga
28 gennaio 2022

 

L’inverno sta arrivando. È questo ciò che vanno prospettando alcuni esperti per il futuro prossimo di Bitcoin e delle altre cryptovalute. Sono stati mesi tesi gli ultimi: la reginetta delle crypto ha perso quasi la metà del suo valore in due mesi, tornando ai livelli di metà 2021 quando era crollata a seguito di alcune esternazioni di Elon Musk. E con Bitcoin sono calate anche le altre valute decentralizzate, come Ethereum. Ad allontanare gli investitori sarebbe l’imminente rialzo dei tassi da parte della banca centrale americana. In assenza di denaro facile – tassi di interesse più alti significano maggiori costi per contrarre un prestito – è più sconveniente investire in asset rischiosi.

 

Estrazioni sotto attacco

Ma non sono solo le variazioni di prezzo a preoccupare gli analisti crypto. A impensierirli è anche la crescente regolamentazione che sta segando i rami su cui Bitcoin si poggia. Per ora ad aver agito sono stati principalmente regimi illiberali. La Cina, dopo un’escalation di regolamentazione, ha definitivamente messo fuori legge il mining (letteralmente l’ “estrazione” di nuove cryptovalute, che avviene fornendo potenza di calcolo al sistema blockchain attraverso supercomputer) e le stesse transazioni. La Repubblica Popolare era diventato il maggior Paese per potenza di calcolo prodotta, un vero e proprio Eldorado per i miners: secondo i dati del Cambridge Centre for Alternative Finance la Cina fino a due anni fa ospitava oltre il 70% dei server che tengono in piedi la blockchain di Bitcoin, una porzione che si è via via ridotta al susseguirsi dei divieti di Pechino, fino ad azzerarsi durante l’estate del 2021.

Alla blockchain sono bastati cinque mesi per rimpiazzare i server cinesi, e oggi la potenza di calcolo di Bitcoin ha superato i livelli pre-blocco cinese. Gli altri Paesi che a oggi hanno adottato divieti nei confronti delle valute decentralizzate sono meno rilevanti: secondo uno studio della Law Library del Congresso degli Stati Uniti sarebbero Algeria, Bangladesh, Egitto, Iraq, Marocco, Nepal, Qatar e Tunisia (curiosamente quasi tutti Paesi a maggioranza musulmana). Ma un altro stato, ben più rilevante, potrebbe presto aggiungersi alla lista. La banca centrale russa ha infatti proposto di vietare l’utilizzo e il mining di cryptovalute sul territorio della Federazione: anche se non è ancora chiaro se e quando la decisione diventerà operativa, l’impatto della proposta si è fatto sentire sul valore di Bitcoin. La Russia, sempre secondo gli analisti di Cambridge, è infatti il terzo paese per potenza di calcolo installata, dietro a Stati Uniti e Kazakistan, con un ruolo in ascesa proprio per compensare il divieto cinese.

 

Altri Eldoradi crescono?

La geografia di Bitcoin è insomma in rapido mutamento e non pare seguire le linee sfocate della geopolitica. La Turchia potrebbe presto accrescere il suo ruolo sulla blockchain, visto il crollo del valore della lira turca dovuto alle politiche monetarie iper-espansive richieste dal presidente Recep Tayyip Erdogan. In Kazakistan il mining ha subito un duro colpo dal blackout temporaneo della rete imposto dal regime per sedare le recenti rivolte (anche se sull’impatto sulla volatilità di Bitcoin gli esperti sono divisi).

Ma il 2022 potrebbe essere un anno di svolta anche per gli Stati Uniti, ed è forse questo che preoccupa di più gli investitori. L’amministrazione di Joe Biden starebbe infatti preparando una strategia per regolamentare le cryptovalute. Anche se non sono stati ancora forniti dettagli, la FEDe la SEC già a fine 2021 si erano dette convinte della necessità di regolare le attività finanziarie delle banche americane su Bitcoin&co, le piattaforme di exchange e l’emissione di nuove crypto e token. Su posizioni simili si trovano i regolatori anche dall’altra parte dell’Oceano: il vicepresidente dell’Esma (l’autorità europea che regola i mercati finanziari) ha infatti auspicato, parlando al Financial Times, che i Paesi europei vietino i metodi più energivori di gestione della blockchain, in particolare quella che regola Bitcoin che richiede una considerevole quantità di energia per ogni transazione. Su posizioni simili si trovano i regolatori anche dall’altra parte dell’Oceano: il vicepresidente dell’Esma (l’autorità europea che regola i mercati finanziari) ha infatti auspicato, parlando al Financial Times, che i Paesi europei vietino i metodi più energivori di gestione della blockchain, in particolare quella che regola Bitcoin che richiede una considerevole quantità di energia per ogni transazione. Anche se sembra impraticabile un divieto totale pari a quello cinese.

 

Le banche centrali di tutto il mondo – El Salvador escluso – da tempo sottolineano i punti deboli delle cryptovalute (estrema volatilità e rischio di attività illegali su tutti). E lavorano per tenersi ben stretto lo scettro dei mezzi di pagamento, attraverso l’emissione di valute digitali centralizzate e sotto il loro controllo che potrebbero, nei prossimi anni, rimpiazzare il contante come lo conosciamo oggi. A partire, neanche a dirlo, dalla Cina che è pronta a sperimentare su larga scala il suo Yuan digitale alle Olimpiadi di Pechino di febbraio.

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economia Geoeconomia
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AUTORI

Lorenzo Borga
Sky Tg24

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