Boeing-Airbus e il carosello delle ritorsioni | ISPI
Salta al contenuto principale

Form di ricerca

  • ISTITUTO
  • PALAZZO CLERICI
  • MEDMED

  • login
  • EN
  • IT
Home
  • ISTITUTO
  • PALAZZO CLERICI
  • MEDMED
  • Home
  • RICERCA
    • OSSERVATORI
    • Asia
    • Cybersecurity
    • Europa e Governance Globale
    • Geoeconomia
    • Medio Oriente e Nord Africa
    • Radicalizzazione e Terrorismo Internazionale
    • Russia, Caucaso e Asia Centrale
    • Infrastrutture
    • PROGRAMMI
    • Africa
    • America Latina
    • Global Cities
    • Migrazioni
    • Relazioni transatlantiche
    • Religioni e relazioni internazionali
    • Sicurezza energetica
    • DataLab
  • ISPI SCHOOL
  • PUBBLICAZIONI
  • EVENTI
  • PER IMPRESE
    • cosa facciamo
    • Incontri su invito
    • Conferenze di scenario
    • Executive Education
    • Future Leaders Program
    • I Nostri Soci
  • ANALISTI

  • Home
  • RICERCA
    • OSSERVATORI
    • Asia
    • Cybersecurity
    • Europa e Governance Globale
    • Geoeconomia
    • Medio Oriente e Nord Africa
    • Radicalizzazione e Terrorismo Internazionale
    • Russia, Caucaso e Asia Centrale
    • Infrastrutture
    • PROGRAMMI
    • Africa
    • America Latina
    • Global Cities
    • Migrazioni
    • Relazioni transatlantiche
    • Religioni e relazioni internazionali
    • Sicurezza energetica
    • DataLab
  • ISPI SCHOOL
  • PUBBLICAZIONI
  • EVENTI
  • PER IMPRESE
    • cosa facciamo
    • Incontri su invito
    • Conferenze di scenario
    • Executive Education
    • Future Leaders Program
    • I Nostri Soci
  • ANALISTI
TRADE

Boeing-Airbus e il carosello delle ritorsioni

Marina Benedetti
|
Carlotta Fumei
|
Cecilia Guagnini
30 ottobre 2020

L’utilizzo di misure protezionistiche da parte degli Stati Uniti come strumento strategico di politica estera non è una novità degli ultimi anni: a partire dagli anni '70, infatti, solamente i presidenti Bush Sr. e Clinton non hanno introdotto nuovi dazi ai prodotti d’importazione. L’amministrazione Trump è stata tuttavia una delle più attive in tal senso, avendo imposto nel solo 2018 283 miliardi di dollari di dazi sulle importazioni, al fine, tra le altre cose, di rafforzare la manifattura interna. Peraltro, l’applicazione di tali dazi è sopraggiunta più volte senza che l’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC) si pronunciasse. Questo atteggiamento ha spesso causato ritorsioni da parte dei Paesi destinatari delle misure, che sempre nel 2018 anno hanno a loro volta applicato dazi per un controvalore complessivo di 121 miliardi di dollari.

È proprio in questo contesto di irrigidimento delle misure protezionistiche da parte di Washington che l’OMC, lo scorso ottobre, ha emesso la propria decisione riguardo la controversia USA-Airbus, autorizzando gli Stati Uniti a imporre dazi sui prodotti europei; misure che, a distanza di un anno, anche l’Unione europea è autorizzata a implementare come indennizzo nel caso Boeing.

 

I contenuti della disputa

La disputa USA-UE sugli aiuti concessi ai produttori di aeromobili Boeing e Airbus risale all’ottobre 2004 quando sia gli Stati Uniti, da  una parte, che la Francia, la Germania, il Regno Unito e la Spagna, dall’altra, depositarono domanda di consultazione presso l'organo di composizione delle controversie dell’OMC per stabilire se gli aiuti concessi ad Airbus e Boeing, principali player dell’industria aeronautica civile, fossero o meno compatibili con le norme sul commercio internazionale. Secondo ambo le parti, le misure adottate dalla controparte erano in violazione dell’Accordo sulle Sovvenzioni e sulle Misure Compensative (c.d. SCM Agreement) e dell’Accordo Generale sulle Tariffe Doganali e sul Commercio del 1994 (GATT). 

Dopo una disputa giudiziaria durata quindici anni, il 14 ottobre 2019, l’OMC ha autorizzato gli Stati Uniti ad applicare nei confronti dell’Unione Europea contromisure nella forma di sospensione delle concessioni tariffarie in essere e, dunque, nell’applicazione di dazi sulle merci importate per un ammontare di 7,5 miliardi di dollari l’anno sino a quando gli Stati membri non applicheranno le raccomandazioni dell’organo di conciliazione. L’ammontare e la tipologia dei beni oggetto della misura vengono rivisti dagli Stati Uniti con cadenza trimestrale (c.d. carousel retaliation) contribuendo a creare un clima d’incertezza, massimizzando così l’effetto delle misure. Esattamente un anno dopo, il 13 ottobre 2020, l’OMC ha stabilito (e il 26 ottobre autorizzato) che l’UE possa a sua volta applicare, a rimedio dei danni concorrenziali subiti, dazi sulle merci di origine statunitense nella misura di circa 4 miliardi di dollari l’anno. Le istituzioni europee si sono dimostrate, come anche in altre circostanze (vedi Brexit), più aperte al dialogo per raggiungere una soluzione non conflittuale della controversia, ma molto dipenderà anche dalle scelte di politica estera che assumerà chi, fra pochi giorni, verrà eletto quale 46° presidente americano.

 

L’impatto dei dazi americani

I dazi americani, entrati in vigore il 18 ottobre 2019, non hanno colpito solamente i beni legati all’industria aerospaziale e provenienti dai Paesi facenti parte del consorzio Airbus (Francia, Germania, Regno Unito e, in minor misura, Spagna):  anche altri beni – tra cui quelli dell’agroalimentare – e gli altri Paesi Membri dell’Ue sono finiti nel mirino, per quanto in misura più contenuta. Il settore agroalimentare, da subito identificato dagli Stati Uniti come possibile obiettivo su cui rivalersi nella controversia, è particolarmente rilevante per l’export italiano, che trova negli USA uno sbocco importante per questi beni; il mercato americano ha infatti accolto nel 2018, anno antecedente l’entrata in vigore dei dazi, il 10,2%[1] di tutti i beni dell’agroalimentare esportati dall’Italia. Tale valore è allineato a quello di Regno Unito e Francia (9,5% e 7,3% rispettivamente), mentre è più contenuto per Spagna e Germania (3,8% e 2,7% rispettivamente), Paesi per cui gli Stati Uniti rappresentano un mercato di sbocco più marginale.

Sebbene in termini assoluti il numero di prodotti italiani effettivamente colpiti dai dazi e il loro valore risultino minori rispetto a quelli dei principali peers europei, si tratta di alcuni dei beni del Made in Italy più conosciuti a livello mondiale, quali per esempio il Parmigiano reggiano, che rappresentavano nel 2018 lo 0,9%[2] di tutto l’export italiano verso Washington. Non sorprende che i Paesi maggiormente colpiti siano stati proprio Spagna, Francia e Regno Unito per cui i beni soggetti a dazi rappresentavano, sempre nel 2018, rispettivamente il 7,2%, il 3,3% e il 2,6% dell’export verso gli Stati Uniti; meno toccata la Germania per cui i beni agroalimentari non costituiscono la principale fonte di export oltreoceano (0,3%). 

 

L’impatto per il Made in Italy

Un’analisi dell’andamento dei prodotti soggetti alle misure protezionistiche rivela che i dazi imposti a partire da ottobre e la possibilità di revisione periodica hanno sortito l’effetto sperato dal governo americano: le esportazioni verso gli Stati Uniti hanno mostrato un’elevata volatilità, proprio come riflesso dell’incertezza degli importatori statunitensi circa le future condizioni del mercato(Fig. 1). Nonostante ciò, i beni del Made in Italy interessati dalle misure hanno chiuso l’anno con una crescita del 22%, seguiti da quelli inglesi (+5,5%), francesi (+4,6%), tedeschi (+2,3%) e spagnoli (+1,4%), grazie principalmente alla dinamica positiva registrata nei mesi antecedenti la decisione dell’OMC. Tuttavia, nell’ultimo trimestre del 2019, dall’entrata in vigore dei dazi, l’export italiano ha registrano un calo del 13,7% rispetto allo stesso periodo del 2018, in linea con la performance tedesca (-13,3%), ma meglio di UK, Spagna e Francia. 

I mesi peggiori per il Made in Italy sono risultati essere proprio ottobre e novembre, subito dopo l’annuncio dell’OMC (-12,4% e -38,3%), ma già in dicembre e poi in gennaio, poco prima dell’arrivo del Covid-19 l’export italiano aveva invertito la rotta segnando un +18,6% e un +107,6%. Questo andamento discontinuo è uno dei tipici effetti della carousel retaliation: nei mesi antecedenti la decisione dell’OMC l’export italiano dei prodotti indicati come possibile target dei dazi ha visto una crescita a doppia cifra (+37,2%, in media, tra gennaio e settembre 2019 rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente); successivamente all’entrata in vigore delle misure, l’export ha segnato, come prevedibile, una contrazione repentina, salvo poi tornare a crescere nei mesi di dicembre e gennaio in previsione di un’ulteriore revisione al rialzo delle misure protezionistiche prevista per fine mese. Una dinamica simile è visibile anche per i beni francesi e inglesi, mentre l’export tedesco e spagnolo è rimasto negativo a partire, rispettivamente, da settembre e ottobre. 

 

Figura 1. Esportazioni delle merci colpite dai dazi americani

 (var. % tendenziale)

 Nota: L’analisi si ferma al mese di febbraio 2020 in quanto successivamente risulta impossibile distinguere gli effetti dello shock legato al Covid-19 da quelli dei dazi americani.

Fonte: Elaborazione SACE su dati Eurostat.

 

In attesa delle elezioni USA

Per conoscere l’evoluzione di questa guerra commerciale bisognerà attendere l’esito delle elezioni presidenziali americane, che si concluderanno il 3 novembre prossimo. I due potenziali vincitori, infatti, hanno diverse visioni sull’atteggiamento da tenere nei confronti della UE. 

Se da un lato Donald Trump ha già dimostrato di preferire una politica protezionistica, arrivando addirittura a definire l’Europa un “nemico” commerciale degli Stati Uniti e promettendo nuovi dazi sulle merci di importazione europea, dall’altro Joe Biden non si è ancora espresso circa gli indirizzi della sua politica estera, preferendo concentrare il proprio programma elettorale su interventi mirati a contenere le problematiche interne. Il timore dei partner commerciali europei è che, nella forma, il dialogo con l’eventuale nuovo presidente possa avere toni più pacati, ma nella sostanza, poco o nulla cambi rispetto al suo predecessore.

In un clima di forte incertezza dovuto alla pandemia da Covid-19 e alla combattuta corsa per le elezioni presidenziali, resta dunque da vedere se la decisione dell’OMC in favore dell’Unione Europea porterà all’apertura di negoziati per ridefinire le politiche di sostegno ai propri produttori aerospaziali oppure a una escalation delle misure protezionistiche.




[1] Fonte Eurostat; il calcolo include i beni classificati nei codici HS01-23.
[2] Sebbene la lista pubblicata dagli Stati Uniti sia stata espressa in HS8 l’analisi dei beni colpiti dai dazi è stata condotta sui codici HS6 in quanto i dati disponibili non consentono ulteriore dettaglio. Questo comporta una possibile sopravvalutazione del valore dei beni soggetti alle misure protezionistiche.

 

Ti potrebbero interessare anche:

Il futuro del denaro
Lorenzo Borga
Sky e ISPI Contributor
Global Watch: Speciale Geoeconomia n.103
Da Draghi a Biden, la pace che verrà
Ugo Tramballi
ISPI Senior Advisor
Buenos Aires in cerca di nuove opportunità
Antonella Mori
ISPI
Tassi: la tempesta è arrivata
Lorenzo Borga
Sky Tg24
UE: la maratona delle sanzioni alla Russia
Massimo Nicolazzi
ISPI e Università di Torino

Tags

Geoeconomia Italia
Versione stampabile

AUTORI

Marina Benedetti
Ufficio Studi SACE
Carlotta Fumei
Ufficio Studi SACE
Cecilia Guagnini
Ufficio Studi SACE

SEGUICI E RICEVI LE NOSTRE NEWS

Iscriviti alla newsletter Scopri ISPI su Telegram

Chi siamo - Lavora con noi - Analisti - Contatti - Ufficio stampa - Privacy

ISPI (Istituto per gli Studi di Politica Internazionale) - Palazzo Clerici (Via Clerici 5 - 20121 Milano) - P.IVA IT02141980157