Tra il 2014 e il 2016 il Brasile ha vissuto la recessione più profonda e duratura degli ultimi quarant'anni : il Prodotto interno lordo si è contratto dell’8% circa e la domanda di investimenti è calata del 28%. La ripresa è stata molto lenta (+2,5% da fine 2016), in parte per l’incertezza politica legata agli scandali che hanno colpito lo scorso anno il Presidente Temer e, più recentemente, per le incertezze sugli esiti delle elezioni presidenziali.
La tornata elettorale che si è appena conclusa dovrebbe contribuire a creare un clima decisamente più favorevole alla ripresa economica. Essa consegna al paese un nuovo presidente, Jair Bolsonaro (guarda il video), eletto con una netta maggioranza popolare e con una piattaforma economica riformista e pro-mercato. Regista dell’agenda economica del governo è il futuro ministro dell’Economia Paulo Guedes – dottore in economia all’Università di Chicago e tra i fondatori del Banco Pactual (attuale BTG Pactual) – che assumerà da gennaio il nuovo “superministero” nato dalla fusione delle Finanze, del Bilancio e dello Sviluppo economico.
Le proposte principali comprendono: a) un nuovo piano di privatizzazioni e concessioni; b) la modernizzazione della burocrazia pubblica e il contenimento della spesa per stipendi (oggi alla base della crisi fiscale in molti stati della federazione); c) la riforma tributaria, che dovrebbe introdurre tra l’altro l’IVA, in sostituzione di numerose imposte distorsive; d) l’aumento del grado di apertura dell’economia, con la riduzione unilaterale delle tariffe esterne (in particolare per i beni intermedi e di capitale) e la ricerca di nuovi accordi commerciali; e) l’autonomia della banca centrale; f) la riforma della previdenza, fondamentale e estremamente urgente per garantire la tenuta dei conti pubblici (il debito pubblico ha raggiunto 77% del Pil in settembre, da 52% a inizio 2014 e l’indebitamento netto rimane superiore al 7%) e per adempiere al disposto costituzionale che impone un tetto alla crescita della spesa pubblica (si rammenti che la spesa previdenziale rappresenta quasi il 60% della spesa primaria a livello federale).
Alcuni analisti hanno sollevato dubbi circa l’effettiva conversione del nuovo presidente eletto al libero mercato e sui futuri rapporti con l’ultra-liberista Guedes. Nella quasi trentennale vita parlamentare di Bolsonaro ha sempre prevalso, infatti, un approccio statalista come quando, all’epoca di Fernando Henrique Cardoso, si oppose alla fine del monopolio nel settore del petrolio e delle telecomunicazioni o, più recentemente, quando ha votato contro la stessa proposta di riforma della previdenza del governo Temer. Ma alcune recenti nomine in posti chiave dell’amministrazione – in particolare Banca Centrale, BNDES, Banco do Brasil, Caixa Econômica Federal, Petrobras e Tesoro – riflettono un approccio pragmatico e sembrano segnalare l’effettiva intenzione di approfondire il processo di riforme economiche.
Continuano a permanere invece i dubbi circa la realizzabilità, sul piano strettamente politico, di tale processo riformista. Molti osservatori ritengono che, se da un lato non avrà particolari problemi a far approvare la propria agenda in materia sociale e di sicurezza (ad esempio sul possesso di armi, sulla revisione al diritto penale per questioni di legittima difesa, etc.), il governo potrebbe fronteggiare maggiori resistenze in Parlamento sulle questioni economiche ritenute assai più impopolari (si pensi alla riforma della previdenza o all’aperura dell’economia) e sulle quali il governo si è speso molto meno durante la campagna elettorale. La creazione di maggioranze qualificate (necessarie per l’approvazione di riforme costituzionali come quella della previdenza) in un parlamento più polverizzato e polarizzato che in passato potrebbero essere rese più difficili dal fatto che Bolsonaro ha ripetutamente affermato di non voler ricorrere agli antichi metodi di “lottizzazione” partitica per consolidare la propria maggioranza parlamentare.
Se dovessero effettivamente prevalere le istanze riformiste e il governo riuscisse a presentare in breve tempo una riforma della previdenza credibile, l’economia brasiliana potrebbe cogliere una fase di intenso recupero ciclico. In parte, i mercati hanno anticipato questo tipo di scenario, con l’apprezzamento del real, i rialzi in Borsa e il calo dei tassi domestici tra metà settembre e fine ottobre. La spinta sembrerebbe essersi affievolita nelle settimane successive in assenza anche di indicazioni precise sulle future misure, soprattutto in materia di previdenza. La percezione di una continuità nell’agenda di riforme ridurrebbe ulteriormente il rischio fiscale e consoliderebbe l’impatto positivo sulle aspettative. L’ampio output gap e la buona situazione dei conti con l’estero garantirebbe spazi di crescita della domanda interna senza incorrere nei vincoli interni (inflazione) e esterni (deficit delle partite correnti). Inoltre, le banche – soprattutto quelle private, che negli ultimi anni hanno avuto un atteggiamento prudente – sono oggi liquide e ben capitalizzate e sarebbero pronte a sostenere investimenti e consumi. Non a caso, gli analisti privati più ottimisti indicano già una possibile espansione del prodotto intorno al 4,5% per l’anno prossimo (rispetto a +2,5% per la media degli analisti). I vantaggi della prosecuzione dell’agenda di riforme si coglierebbero, inoltre, anche nel lungo periodo, grazie all’aumento del tasso di crescita potenziale per l’aumento della produttività e dello stock di capitale.
Il rischio principale per l’economia brasiliana deriva, dunque, proprio dalla possibile frustrazione delle aspettative sulla continuità delle riforme. Infatti, questa porterebbe all’ampliamento dei premi per il rischio, all’elevazione della traiettoria dell’inflazione e a tassi di interesse più elevati, che contribuirebbero a deprimere nuovamente la domanda. Tale rischio si accentuerebbe, inoltre, nel caso di un deterioramento delle condizioni di finanziamento esterno per le economie emergenti in seguito, ad esempio, a sorprese sulla conduzione della politica monetaria USA e agli effetti di una possibile intensificazione delle guerre commerciali tra i principali player mondiali.