Le truppe russe al confine ucraino riaccendono l’allarme su una possibile invasione. Una strategia geopolitica, più che militare.
Dal 2014, il conflitto nell'Ucraina orientale, che ha provocato quasi 14.000 vittime e 1,5 milioni di sfollati, è rimasto una ferita aperta in Europa. La risoluzione diplomatica del conflitto nel quadro degli accordi di Minsk è in una situazione di stallo, ma non solo; ci sono state occasioni in cui il rischio militare è salito alle stelle, come nella primavera e ancor più nell'autunno del 2021, quando l'accumulo di truppe russe al confine russo-ucraino ha generato timori di una possibile invasione russa dell'Ucraina. Se al quadro si sommano la crisi del gas e parallelamente quella dei migranti al confine tra Polonia e Bielorussia, l'Europa si sente molto vulnerabile e, come peraltro auspicato da Putin, che l'ha detto a chiare lettere nel suo discorso in occasione dell'incontro allargato con le rappresentanze diplomatiche del Ministero degli Esteri nel novembre 2021, ha la sensazione di essere sottoposta a una tale pressione da trattenersi dall'intraprendere qualsiasi azione che possa provocare Mosca.
Pochi commentatori hanno pieno accesso all'intelligence militare e possono valutare con precisione in che misura le truppe russe siano pronte a sferrare un possibile attacco. Gli americani e gli europei sembrano divergere nettamente nella loro analisi. Gli ucraini, relativamente tranquilli all'inizio di novembre, hanno iniziato a preoccuparsi, e non poco, dopo la visita a Washington del Ministro degli Esteri Dmytro Kuleba. La Russia ha ovviamente negato ogni intenzione bellicosa e ha invocato il suo diritto di condurre manovre sul proprio suolo. È vero che, nelle precedenti operazioni in Crimea o nel Donbass, la Russia ha usato l'arma della sorpresa strategica anziché far rullare i tamburi.
L'invasione russa dell'Ucraina è uno scenario estremo. I rischi sarebbero troppo alti: nuove sanzioni occidentali, l'arresto del progetto Nord Stream 2, attualmente in corso di certificazione, un ulteriore deterioramento dei rapporti con gli Stati Uniti, che sono appena entrati in una fase di “stabilizzazione del confronto” dopo il vertice Putin-Biden di Ginevra di luglio. Una nuova aggressione aperta contro l'Ucraina impedirebbe a Mosca di rivendicare, come fa attualmente, lo status di mediatore in quello che chiama il “conflitto civile” ucraino. Sta di fatto che la Russia mantiene il controllo sulle regioni separatiste del Donbass: ha distribuito quasi 700.000 passaporti russi ai residenti, riconosce i documenti rilasciati dalle autorità separatiste, dà alle imprese di queste regioni l'accesso ai propri appalti pubblici e così via. Queste regioni sono più utili a Mosca all'interno dell'Ucraina, come leva di pressione e focolaio di tensione da riaccendere quando lo si ritiene necessario. Occupare i territori attualmente sotto il controllo ucraino rappresenta una sfida di tutt'altro livello. L'esercito ucraino è meglio addestrato ed equipaggiato di quanto fosse all'epoca della battaglia di Debal'ceve all'inizio del 2015 (quasi il 6% del Pil ucraino è oggi destinato alla spesa militare; inoltre, il paese ha ricevuto un aiuto militare significativo dagli Stati Uniti). Le perdite inflitte all'esercito russo potrebbero essere tutt'altro che trascurabili. Ma, soprattutto, anche in caso di vittoria militare, mantenere in stato di occupazione questi territori, tutt'altro che filorussi, avrebbe un costo (geo)politico proibitivo per Mosca. Da parte degli ucraini, nonostante il recente acquisto e il primo utilizzo di droni turchi che hanno svolto un ruolo decisivo nella vittoria dell'Azerbaigian nella guerra del Nagorno-Karabakh nel 2020, un'offensiva per recuperare con la forza i territori separatisti sarebbe suicida. L'errore fatale dell'ex presidente della Georgia Mikheil Saakashvili, che ha portato alla guerra in Georgia nel 2008, dovrebbe servire da lezione a Kiev.
Come in primavera le manovre autunnali sembrano avere uno scopo geopolitico più che militare immediato, quello di fare pressione sia sul presidente Zelensky che sui suoi partner occidentali. La Russia sembra non credere più nell'avanzamento del processo di Minsk e accusa Parigi e Berlino, che fanno parte del "Formato Normandia", insieme a Russia e Ucraina, di mostrarsi compiacenti nei confronti di Kiev. Un gesto inconsueto, la pubblicazione da parte del Ministero degli Esteri russo della corrispondenza diplomatica riservata tra i Ministri degli Esteri tedesco, francese e russo, va nella stessa direzione. Per il Cremlino, il presidente Zelensky accumula punti negativi con il suo atteggiamento duro, la chiusura dei media filorussi, le sanzioni contro Viktor Medvedchuk, che è vicino a Putin, e il lancio della piattaforma di Crimea che rimette sul tavolo la questione dell'annessione della Crimea.
Nella mente del Cremlino, la diplomazia non porta risultati tangibili: le truppe della Nato effettuano manovre nel Mar Nero, mentre l'afflusso di armi e istruttori militari in Ucraina è continuo e anche senza un'adesione formale alla Nato il paese rischierebbe di diventare la “portaerei” dell'Alleanza Atlantica. L'obiettivo finale di questa escalation va in definitiva oltre l'Ucraina: il Cremlino chiede garanzie giuridicamente vincolanti a lungo termine per imporre i propri interessi di sicurezza, compresa la fine dell'allargamento della Nato e la non installazione di sistemi militari occidentali in prossimità dei confini russi. Vladimir Putin cerca di riparare "il peccato originale" di Mikhail Gorbaciov, che si era fidato delle promesse non scritte dell'Occidente di non allargare la Nato durante l'unificazione della Germania; il suo scopo è di ottenere un capovolgimento della situazione che consoliderebbe la sua eredità e che sarebbe almeno altrettanto importante dell'annessione della Crimea. È questa la vera posta in gioco di questa escalation militare, che il presidente Biden ha finalmente mostrato di iniziare a comprendere in una certa misura dopo il secondo vertice bilaterale (stavolta virtuale) del 7 dicembre. Biden non ha però promesso nulla di specifico e, per gli Alleati, gli impegni richiesti da Putin sarebbero una concessione inaccettabile a favore del Cremlino. Il conflitto è quindi lungi dall'essere risolto e non si possono escludere ulteriori episodi di escalation militare. Il conflitto nell'Ucraina orientale continuerà a essere la linea di faglia dell'Europa per il prossimo futuro e a preoccupare gli europei.
Ci sono diversi punti che richiedono di essere monitorati da vicino, due dei quali meritano di essere evidenziati. La prima preoccupazione è ancora il confine russo-ucraino (ma anche la linea di contatto tra l'Ucraina e le regioni separatiste): anche se guerra e invasione diretta sono poco probabili, l'accumulo di equipaggiamenti e truppe al confine implica il rischio di un "incidente", seguito da un'escalation incontrollata. La seconda è la situazione interna in Ucraina, dove il presidente Zelensky sta vivendo il suo momento di maggiore debolezza da quando è stato eletto: la sua popolarità è scesa dal 73% al momento delle elezioni al 21% attuale, e la sua recente dichiarazione sul golpe contro di lui, sostenuto dalla Russia con l'aiuto dell'oligarca Rinat Akhmetov, è indicativo della sua sensazione di grande fragilità, indipendentemente dal fatto che ci sia effettivamente stata una congiura. Resta tuttora possibile una destabilizzazione interna dello stato ucraino anche senza un'aggressione militare manifesta. Nel prossimo futuro, le questioni intorno e all'interno dell'Ucraina continueranno a essere estremamente impegnative per la sicurezza europea e la capacità diplomatica dell'UE. L'evoluzione dell'Ucraina è anche un banco di prova per la trasformazione democratica nello spazio post-sovietico che, a trent'anni dalla caduta dell'URSS, ha un disperato bisogno di una storia di successo.