Critiche e richieste di dimissioni per Josep Borrell dopo la sua visita controversa a Mosca. Ma se la politica estera dell’Europa è sotto scacco non è colpa sua.
Qualcuno lo aveva avvertito dei rischi. Ma alla fine la visita di Josep Borrell a Mosca – la prima di un rappresentante delle istituzioni europee dal 2017 – c’è stata. E gli esiti hanno scatenato sulla sua testa un crescendo di lampi e tuoni, pronti a deflagrare nella classica tempesta perfetta.
Venerdì scorso, nel corso di una conferenza stampa congiunta con Sergey Lavrov, l’Alto rappresentante europeo per la politica estera e la difesa è apparso titubante, in difficoltà di fronte alle staffilate del ministro degli Esteri russo che ha definito l’Europa “un partner inaffidabile”, e accusato il blocco di mentire riguardo l’avvelenamento dell’oppositore Alexei Navalny. Poco dopo la fine della conferenza, inoltre, Mosca ha espulso tre diplomatici europei – un tedesco, uno svedese e un polacco – colpevoli di aver partecipato alle manifestazioni di protesta che da settimane riempiono le piazze russe per chiedere la scarcerazione di Navalny. Uno schiaffo in pieno viso che ha sollevato critiche e richieste di dimissioni dell’Alto rappresentate Ue, accusato di non aver retto il confronto, con conseguente umiliazione di tutta l’Unione.
Borrell ha risposto che invece il viaggio ha centrato l'obiettivo desiderato: chiarire che il Cremlino “non è interessato a perseguire alcuna partnership con l'Ue”. E ha aggiunto che preparerà una proposta per un nuovo pacchetto di sanzioni a Mosca e agli oligarchi russi che hanno beni e proprietà in Europa.
Al netto delle polemiche – Borrell ha incassato la stima della presidente della Commissione Ursula von der Leyen e del Consiglio Europeo – va detto che l’alto rappresentante viaggiava con il consenso passivo della maggioranza degli stati membri e che il vero problema, nei rapporti con la Russia, come in quelli con la Cina e sulle altre grandi questioni di politica estera, è la divisione interna all’Unione. La mancanza di una linea comune che oggi, come in passato, impedisce a chiunque ricopra il ruolo di mr (o mrs) Pesc, ogni capacità di risposta coerente e compatta, col rischio di rendere l’Europa sempre più irrilevante sul piano internazionale.
Vittime di un’imboscata?
Pur in tempi difficili, con l’arresto e la condanna di Navalny e la repressione delle proteste di piazza, Borrell ha deciso di tenere in agenda il suo viaggio a Mosca sperando di ricavarne delle aperture in vista del Consiglio europeo di fine marzo, al cui ordine del giorno c’è l’esame delle relazioni con il presidente russo Vladimir Putin. Ha dovuto ricredersi, e oggi è impegnato a stilare una lista delle personalità da inserire in un nuovo pacchetto di sanzioni. Ma adesso, invece di “cadere nella trappola tesa per dividerci” come ha esortato l’Alto rappresentante, conviene prendere atto della rinnovata assertività della Russia, sinceramente convinta – come sottolinea Le Figaro – di poter fare a meno di dialogare con l’Europa nel suo insieme, coltivando relazioni solo con alcuni singoli paesi.
Dopo i disordini seguiti all’arresto di Navalny delle ultime settimane, ai falchi del Cremlino la visita di Borrell dev’essere sembrata l’occasione giusta per distrarre dalla situazione interna e per di più a costo zero: i russi scommettono sul fatto che gli stati membri non riusciranno a mettersi d’accordo se non su questioni marginali, che non compromettono i grandi interessi strategici della Russia in Europa. In altre parole il gasdotto Nord Stream II. Difficile dargli torto. Oggi in Europa gli schieramenti sulla Russia sono tre: Polonia e paesi baltici per la linea dura, Francia e Germania inclini al dialogo e in mezzo Italia, Grecia, Spagna, Austria e altri. Trovare una mediazione è tutt’altro che facile.
…O delle divisioni?
La tensione nelle istituzioni europee era già alta dopo la vicenda dell’acquisto dei vaccini: proprio ieri Ursula von der Leyen ha ammesso che l’UE si è “mossa in ritardo con le autorizzazioni” e che siamo stati “troppo ottimisti riguardo alla produzione di massa e forse troppo fiduciosi che quelli che avevamo ordinato sarebbero stati consegnati in tempo”. Ora l’affaire Borrell ha finito col provocare una spaccatura anche all’Europarlamento. Sono 81 gli europarlamentari del Partito popolare europeo (Ppe) che hanno sottoscritto la lettera dell’estone Riho Terras alla presidente della Commissione von der Leyen che, in pratica, chiede le dimissioni dell’Alto rappresentante Ue. Agli eurodeputati, che lo accusano di aver provocato “gravi danni alla reputazione dell’Ue e alla dignità del suo ufficio”, hanno risposto Socialisti e Democratici ribadendo il sostegno all’Alto rappresentante che è stato “all’altezza del suo mandato”. “Per alcuni di voi il problema sembra essere il solo fatto che la visita sia avvenuta”, si è difeso Borrell, chiedendo se i legislatori sapessero quante delegazioni dei singoli paesi europei hanno visitato la Russia negli ultimi due anni. “Diciannove – ha poi spiegato l’Alto rappresentante – diciannove delegazioni europee hanno visitato la Russia negli ultimi due anni. Dovevo andare? Non dovevo andare? O tutti possono andare in Russia tranne l’Alto rappresentante della politica estera e di difesa dell’Unione? Ma allora perché ne abbiamo uno?”.
Dove va la politica estera europea?
Oltreoceano osservano le evoluzioni di una diplomazia europea da tempo in cerca di un centro di gravità permanente: se il Financial Times parla di “débacle diplomatica”, il Washington Post titola: “Il capo della diplomazia europea umiliato a Mosca”. Ma se il viaggio di Borrell non ha aiutato le relazioni con il Cremlino, potrebbe contribuire a riallineare Bruxelles con Washington, in un momento in cui il presidente Joe Biden sta adottando una nuova linea dura contro Mosca, dopo quattro anni in cui Donald Trump era sembrato spesso riluttante a criticarla. Ma c’è di più. Nel giorno in cui Borrell era a Mosca, il Segretario di Stato americano, Antony Blinken, ha avuto una conversazione telefonica con il suo omologo cinese in cui ha detto molto chiaramente che gli Stati Uniti non avranno esitazioni nella difesa dei loro interessi, della democrazia e nel ritenere Pechino responsabile di abusi. E ancora oggi, nella sua prima telefonata con l’omologo cinese Xi Jinping, Joe Biden ha espresso preoccupazione “per le pratiche coercitive e ingiuste di Pechino, la sua repressione a Hong Kong, le segnalazioni di violazioni dei diritti umani nello Xinjiang e azioni sempre più assertive nella regione, anche nei confronti di Taiwan”. Nella prima telefonata. Ma certo, Blinken e Biden sono i rappresentanti di un solo governo e di una grande potenza militare, mentre Borrell ha dietro di sé solo la disunita litigiosità dei Ventisette. Il Cremlino lo sa e agisce di conseguenza. È un problema che va affrontato e risolto: la divergenza di interessi che sta rendendo impotente la politica estera europea.
Il Commento
Di Antonio Villafranca, ISPI Director of Studies and Co-Head, Europe and Global Governance Centre
Se in campo economico, anche di recente, l’Unione ha compiuto enormi passi avanti, non si può dire lo stesso della politica estera e di sicurezza, da sempre suo tallone d'Achille. Di fronte alle sfide alle proprie porte – dal Mediterraneo alla Russia – e alla crescente contrapposizione tra Cina e Usa, l'Ue dovrà trovare una unità di intenti se vuole evitare di essere relegata a un ruolo marginale nella scena politica mondiale. La scusa del freno britannico ormai non funziona più.
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A cura della redazione di ISPI Online Publications (Responsabile Daily Focus: Alessia De Luca, ISPI Advisor for Online Publications)