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Commentary

Brasile: è vera svolta in politica estera?

Antonella Mori
20 giugno 2019

I primi mesi della presidenza Bolsonaro hanno messo in luce le difficoltà della nuova politica estera brasiliana, che mira ad avere una relazione privilegiata con il presidente Trump, ma che deve fare i conti con un’opinione pubblica statunitense a lui contraria, con la necessità di non mettere in pericolo le intense relazioni economiche con la Cina e con la questione relativa alla crisi venezuelana.

Il presidente Bolsonaro è stato definito il Trump del Sud America, per la similitudine di pensiero e metodo tra i due leader, che si sono già incontrati lo scorso marzo a Washington. Il presidente Trump intende appoggiare l’entrata del Brasile nell’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) e proporlo come partner della NATO. Trump e Bolsonaro condividono la stessa posizione nei confronti del Venezuela e hanno riconosciuto Juan Guaidò, e non Nicolas Maduro, come legittimo presidente del Venezuela. Tuttavia, potrebbero emergere contrasti proprio su questo tema: l’amministrazione brasiliana ha dichiarato infatti di essere contraria a un intervento militare, che comunque al momento non sembra una minaccia seria da parte degli USA, e difficilmente sarà disponibile ad accettare molti più migranti venezuelani o ad impegnare sostanziali risorse finanziarie per aiutare un nuovo governo in Venezuela.

Contrasti potrebbero sorgere anche per questioni commerciali. Sebbene secondo Trump le relazioni commerciali bilaterali debbano aumentare, di fronte all’annuncio di una possibile ripresa delle importazioni americane di  carni fresche dal Brasile, molti americani hanno chiesto che questa apertura fosse condizionata a impegni da parte del governo Bolsonaro sui controlli alla deforestazione dell’Amazzonia dovuta agli allevamenti di bovini. Va ricordato che durante la campagna elettorale, Bolsonaro aveva minacciato di ritirare il Brasile dall’Accordo di Parigi sul Clima, minaccia che per il momento è stata ritirata.

Se fino a questo momento, Trump ha accolto positivamente il nuovo presidente brasiliano, non si può dire che questo sentimento sia condiviso da tutti gli americani: significativo è stato il caso di un recente ricevimento in onore di Bolsonaro che si sarebbe dovuto tenere a New York, ma che è stato spostato a Dallas e ha perso molti sponsor, a seguito di una protesta pubblica contro il presidente brasiliano per le sue posizioni sui diritti umani, sulle comunità LGBT e sull’ambiente.

Il presidente americano potrebbe cercare in Bolsonaro un alleato nel suo tentativo di contrastare l’avanzata cinese nelle Americhe, ma è possibile, anzi altamente probabile, che in Brasile gli interessi economici prevarranno sull’ideologia. La Cina è, infatti, il principale partner economico del paese sudamericano: nel 2018 il 27% delle esportazioni del Brasile sono state destinate alla Cina, con cui il Brasile registra un avanzo commerciale di circa 30 miliardi di dollari americani (circa metà dell’avanzo totale). Gli USA, che sono il secondo partner commerciale del Brasile, importano molto meno (il 12% delle esportazioni brasiliane). La Cina è anche stato il più grande investitore in Brasile negli ultimi 15 anni: dal 2003 (fino al primo trimestre 2019) gli investimenti diretti provenienti dalla Cina sono stati pari a 71 miliardi di dollari americani (38% del totale), rispetto ai 58 miliardi arrivati dagli USA (31% del totale), secondo investitore più importante. Nonostante la divergenza ideologica, sembra quindi improbabile che l’amministrazione Bolsonaro metta in pericolo le forti relazioni economiche con la Cina; i flussi commerciali bilaterali stanno, anzi, aumentando a seguito della guerra dei dazi tra Cina e USA.

Nell’agenda di Bolsonaro il futuro del Mercosur - di cui sono membri anche l’Argentina, il Paraguay e l’Uruguay - non sembra prioritario. Comunque se venisse rieletto Mauricio Macri in Argentina, i prossimi anni potrebbero essere un momento favorevole per ridurre il protezionismo del Mercosur, sia rimuovendo le ultime barriere intra-area sia con una maggiore apertura verso paesi terzi. Il Mercosur sta già discutendo la creazione di un’area di libero scambio con l’Alleanza del Pacifico (formata da Cile, Colombia, Messico e Peru), che liberalizzerebbe il commercio tra gli otto principali paesi latinoamericani. Ma anche la conclusione dei negoziati per l’accordo di associazione tra Mercosur e Unione Europea potrebbe essere vicina, nonostante occorra essere piuttosto cauti visto che dopo venti anni e quaranta round di negoziati, il principale ostacolo, ovvero il settore agricolo, non è ancora stato superato.

Il Brasile sotto la guida di Bolsonaro in ogni caso avrà un interesse minore per le istituzioni e gli accordi multilaterali rispetto ai sui predecessori Luiz Inàcio Lula da Silva e Dilma Vana Rousseff Linhares, che erano riusciti a far eleggere due brasiliani a capo di importanti organizzazioni internazionali, José Graziano da Silva alla FAO e Roberto Azevêdo all’OMC. Nei primi giorni del suo mandato, Bolsonaro ha ritirato il Brasile dal Global Compact for Migration delle Nazioni Unite. Questa decisione è una manifestazione della volontà sovranista del nuovo presidente e un segnale che il governo brasiliano adotterà una posizione dura sull’immigrazione. I primi a subire le conseguenze di questo atteggiamento ostile sono stati i rifugiati venezuelani. Poiché la fuga dal Venezuela potrebbe aumentare nei prossimi mesi e per Trump è prioritario frenare il flusso di migranti verso gli Stati Uniti, il futuro delle relazioni tra Bolsonaro e Trump non dipenderà dunque solo dal fattore Cina, ma anche dall’eventuale pressione americana per un maggior impegno del Brasile nell’accogliere emigrati venezuelani anche se Bolsonaro in persona ha già affermato che il Brasile non è un paese con frontiere aperte, quasi a richiamare le parole del presidente americano. 

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Brasile Stati Uniti bolsonaro trump Cina
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AUTORI

Antonella Mori
ISPI Head Latin America Programme

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