Un milione di persone in piazza, proteste e violenze. Ciò che sta accadendo in Brasile è piuttosto inusuale, per un paese pacifico e poco incline agli scontri tra classi sociali. A maggior ragione durante un torneo calcistico, la Confederation Cup. Il calcio, si sa, in Brasile può ipnotizzare un intero paese. Ma allora perché sono esplose queste tensioni? Che sta succedendo? E poi proprio ora, dopo la lunga galoppata dell’economia brasiliana che ha beneficiato decine di milioni di abitanti.
Forse quello attuale è un momento davvero interessante. In questi anni i brasiliani hanno potuto usufruire di crediti al consumo, incentivi agli acquisti di beni materiali mai conosciuti in precedenza. Ma ora chiedono altro, chiedono più stato sociale, sanità, scuola, trasporti migliori. In altre parole meno beni di consumo e migliore qualità della vita. Una crisi di maturità, quindi, in cui riconoscono di essere diventati consumatori, ma chiedono qualcosa di più e di diverso: essere riconosciuti come cittadini.
Sanità, istruzione, trasporti, sono i comparti che i manifestanti brasiliani considerano indecenti e di cui attendono riforme urgenti. Più welfare e meno sprechi, meno opere faraoniche e più servizi pubblici. Sono queste le richieste del Movimento brasiliano che ha messo a fuoco i limiti del modello economico brasiliano, il più osannato degli ultimi anni. Quello capace di coniugare crescita e stabilità finanziaria. Eppure qualcosa non ha funzionato. L’accesso al credito al consumo ha redistribuito parte della ricchezza, ma solo in forma di beni materiali. La domanda di welfare è rimasta inevasa.
Alle proteste e alle manifestazioni il governo di Dilma Rousseff ha risposto in modo anomalo: il ritiro del provvedimento (l’aumento del prezzo del biglietto dei mezzi pubblici) ha dato l’impressione di un Esecutivo in difficoltà, sorpreso dalla veemenza delle proteste e al tempo stesso impacciato nel fronteggiare un attacco così massiccio. E infatti le proteste sono continuate. A conferma dell’imbarazzo del governo e della sua incapacità di risposta univoca e chiara, va ricordato che Dilma Rousseff non si sarebbe mai attesa una contestazione così vibrata. Gode, infatti, di un consenso elevatissimo, fino a pochi mesi fa vicino all’80%. Ora sceso, senz’altro, ma comunque molto alto. Il suo intervento a reti unificate, mirato a dare un segnale forte alle contestazioni, non ha ancora placato gli animi dei contestatori.
Le proteste di queste settimane, secondo il sociologo brasiliano Gabriel Cohen, esprimono «un malessere generale, un risentimento, una frustrazione diffusa, alimentata da uno stile di gestione della cosa pubblica poco improntato al dialogo». Rousseff è stata molto apprezzata dall’elettorato per la lotta strenua alla corruzione, ha espulso ministri in odore di collusione con poteri occulti, ma non ha potuto sradicare la piaga più vasta, il patto politico basato su sistemi clientelari.
I politici brasiliani, per fortuna, non sfruttano questa protesta in termini anticostituzionali (come avviene in Italia) ma resta evidente la loro incapacità di riorientare il modello economico verso una maggiore equità sociale che non passi attraverso un semplice e reiterato sostegno ai consumi, soprattutto di beni durevoli. Ma riparta dalle esigenze più profonde di ogni società, ovvero la convivenza civile, tra cittadini che, seppure ancora poveri o neo-appartenenti alla classe media, possano beneficiare di diritti sanitari e scolastici decorosi. Diritti per ora inesistenti.
Gli economisti hanno legittimamente tessuto le lodi di un modello economico che ha trascinato fuori dalla povertà 30milioni di miserabili, che però non hanno accesso a un sistema di sicurezza sociale dignitoso. È proprio durante la Confederations Cup e alla vigilia dei Campionati del mondo di calcio (previsti nel 2014) che la società brasiliana, amante del futebol, ha protestato per le spese folli (15 miliardi di dollari) destinate alla costruzione di stadi, impianti sportivi, e attrezzature varie, senza affrontare la questione welfare, di un welfare insufficiente.
Lo ha fatto in modo spettacolare e forse troppo violento. Tanto da mettere a rischio la visita del Papa a Rio de Janeiro, in programma dal 22 al 28 luglio. Ma lo ha fatto. Ora la palla passa a Dilma Rousseff e al suo Esecutivo, di sinistra. Un imprevisto braccio di ferro di un governo di sinistra superato a sinistra da un elettorato partecipativo per questioni che, una volta tanto, non pertengono a vantaggi di parte o di partiti, ma alla società nel suo complesso.