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Il presidente positivo al virus

Brasile: tempesta perfetta su Bolsonaro

Emiliano Guanella
07 luglio 2020

Pandemia di COVID-19, crisi economica e turbolenza politica: la “tempesta perfetta” si è abbattuta sul Brasile creando un panorama di forte incertezza per il futuro del più grande paese sudamericano. Già ad aprile l’università Johns Hopkins aveva previsto lo scenario drammatico di oggi. Il Brasile era candidato a essere uno dei paesi più colpiti a causa di una serie di fattori: le sue dimensioni geografiche e demografiche, il tessuto urbano delle grandi metropoli con le sue immense favelas, dove l’assembramento è inevitabile e le condizioni igienico sanitarie precarie, le lacune del sistema di salute pubblico, le forti diseguaglianze sociali. Ultimo, ma non meno importante, il quadro politico, con un presidente, Jair Bolsonaro, considerato l’ultimo dei negazionisti a livello globale smentito dalla realtà dei fatti: perché proprio ieri anche lui è risultato positivo al coronavirus.

Gli errori di Bolsonaro

Il presidente Bolsonaro ha negato la forza della pandemia, ha sbandierato doti miracolose dell’idrossiclorochina, ha invitato i suoi rumorosi sostenitori a entrare di forza negli ospedali per verificare di persona se i letti di terapia intensiva siano effettivamente occupati. Il Brasile, ora, piange i suoi morti e nessuno sa dire con esattezza quando tutto questo finirà. 

In un paese dalle dimensioni continentali la curva dei contagi ha forti differenze regionali ed è prevedibile che ci siano diverse ondate da qui fino alla fine dell’anno. Secondo il centro di calcolo dell’Università di Washington, che ha aiutato il dottor Fauci a correggere il tiro della Casa Bianca a pandemia iniziata, nel mese di agosto il Brasile potrà addirittura superare gli Stati Uniti per numero di decessi. Ma se il presente è drammatico a preoccupare è soprattutto il futuro. Ci si chiede come si uscirà da questa tormenta e che posizione si saprà conservare a livello globale. Il Brasile, si dice, è l’eterno paese del futuro, una nazione con tutte le caratteristiche per trasformarsi in una grande potenza, ma che non riesce mai a diventarlo.

 

Il quadro economico

Il primo scenario da considerare è quello economico. Le previsioni più ottimistiche parlano di una flessione del Pil dell’8% per il 2020, quelle più negative dicono 12%. In ogni caso, sarà un colpo gravissimo per chi stava faticosamente cercando di uscire dalla recessione iniziata nel 2016. La disoccupazione aumenterà anche perché il lavoro informale, grande ammortizzatore sociale in tempi di crisi, è stato polverizzato, come mostrano i 60 milioni di brasiliani che hanno chiesto il sussidio emergenziale stanziato dal governo. Aiuto che continuerà in forma ridotta a luglio e agosto, ma non in eterno. Il consumo interno, da sempre il motore dell’economia in un Paese molto protezionista, è destinato a crollare anche a causa dell’elevato indebitamento della popolazione: 63 milioni di debitori morosi che non possono accedere a un prestito o ad un mutuo, se non a tassi da usura (fino al 400% all’anno). Il rapporto tra debito pubblico e PIL arriverà al 96% nel 2020, secondo solo all’Angola considerando i 36 paesi emergenti analizzati dal FMI. 

Anche se le riserve brasiliane sono comunque solide e il disavanzo dei conti pubblici rimarrà inferiore al 6% del Pil, è certo che il Paese uscirà dalla pandemia più povero, più indebitato e ancor più diseguale. Avrà, quindi, ancora più necessità di aprirsi al mondo, ma per fare questo dovrà essere in grado di proseguire sul cammino delle riforme. 

 

La complessa situazione politica interna e le relazioni internazionali

Qui entra il gioco il fattore politico. La leadership di Jair Bolsonaro è messa in discussione. Lo scontro continuo con i governatori, con la stampa e, soprattutto, con i giudici della Corte Suprema infiamma suoi sostenitori ma lo allontana dall’elettorato moderato che nel 2018 lo aveva votato in quanto unica alternativa alla possibilità di un ritorno della sinistra. Bolsonaro divide le acque e nessuno sa quanto questa strategia possa essergli utile in uno scenario di grave recessione. 

A fine anno ci sarà un primo banco di prova con le elezioni amministrative. Da osservare con estrema attenzione anche gli equilibri in Parlamento, chiave della governabilità. L’impeachment di Dilma Rousseff ha dimostrato la forza del Congresso, tanto che molti analisti parlano ormai di una repubblica semi-presidenziale: il presidente governa per mandato popolare ma dipende da un potere legislativo sempre più insidioso. Bolsonaro dipende dal “centrao”, una decina di piccoli partiti che messi insieme dominano i giochi di Brasilia. 

Tutto ciò spaventa i mercati. Nei primi cinque mesi dell’anno gli investitori stranieri hanno ritirato più di 20 miliardi di euro dal Brasile, fino all’anno scorso considerato tra i più vantaggiosi degli emergenti. In piena pandemia nessuno ama rischiare e per scommettere a lungo termine sul Brasile oggi ci vuole una buona dose di coraggio. A questo si aggiunge la forte pressione internazionale legata alle sorti dell’Amazzonia. A metà giugno 29 grandi fondi globali, da BlackRock in giù, hanno firmato una lettera in cui si dicono preoccupati per il crescente disboscamento della maggiore foresta pluviale del pianeta. Hanno citato le parole del ministro dell’Ambiente Salles che ha suggerito in una riunione di governo di avanzare sulla deregulation delle norme ambientali approfittando dell’attenzione globale sulla pandemia. Il governo è schierato completamente con la grande agro-industria.E anche l’accordo quadro tra Mercosul e Unione Europea è a rischio a causa delle questioni ambientali. 

Pesa poi il posizionamento strategico del Brasile nella guerra commerciale tra Usa e Cina. Bolsonaro è profondo ammiratore di Trump, ma non può dimenticare che i cinesi sono i principali compratori della soia brasiliana e che potranno essere, nel mondo post pandemico, gli unici in grado di poter investire massicciamente fuori dai loro confini. L’abbraccio con Trump, inoltre, può essere fatale se questi non verrà confermato nelle presidenziali USA di novembre. I diplomatici di carriera di Itamaraty, il Ministero degli Esteri di Brasilia, inorridiscono di fronte alle esternazioni del ministro Ernesto Araujo, un conservatore apertamente schierato con Washington e che non piace certamente a Pechino.  A Bolsonaro, poi, non interessano per nulla l’America Latina o il Mercosur e non ha nessuna sintonia con il suo collega di Buenos Aires Alberto Fernandez; ma l’Argentina rimane comunque un partner strategico per settori importanti dell’industria brasiliana. 

In un clima poco edificante c’è comunque chi conserva un certo ottimismo. Per Ian Bremmer, fondatore di Eurasia, il Brasile ha tutte le carte per superare l’”effetto Bolsonaro” e non diventare un paria a livello globale. Ha materie prime, un grande mercato interno e una popolazione giovane, dinamica e digitale. Non sarà un protagonista, ma ha ancora un peso specifico da giocare, pur con un futuro quanto mai incerto.  

 
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America Latina Brasile coronavirus jair bolsonaro
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AUTORI

Emiliano Guanella
Corrispondente da San Paolo (RSI - Tv Svizzera, La Stampa)

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