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Commentary
BRICS: nuovi attori in ordine sparso
19 Dicembre 2011

A 10 anni dalla loro nascita i Brics riescono addirittura a sorprendere il chief economist di Goldman Sachs che li ha inventati il quale, nel suo libro appena pubblicato per celebrare il decennio, archivia definitivamente la definizione di “economie emergenti” per introdurre quella, oggi più coerente, di “economie in crescita”.

 

Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica sono, infatti, avanzati in modo apparentemente inarrestabile e, soprattutto, più velocemente del previsto.

 

Nel decennio la Cina ha quadruplicato il suo Pil (che dovrebbe superare quello Usa in meno di 15 anni) creando di fatto tre nuove Cina. Anche il Brasile, partito più lentamente, ha raddoppiato la ricchezza prodotta e dopo aver sorpassato l’Italia nel 2010 si accinge quest’anno a superare la Gran Bretagna diventando così la sesta economia mondiale. Lo sarà però per poco, perché già nel 2013 verrà a sua volta raggiunto dall’India.

 

Tutto ciò in soli dieci anni, durante i quali abbiamo assistito, oltre alla crescita, alle prime “prove generali” di coordinamento politico fra questi paesi: ai primi tre vertici ufficiali; all’astensione collettiva in Consiglio di sicurezza sulla Libia; al sostegno sempre collettivo all’ammissione della Palestina all’Unesco; agli ostacoli – un po’ più in ordine sparso – nei negoziati globali, dall’ambiente al commercio internazionale. Sino ad arrivare al G20 di Cannes dove — se Papandreu non avesse riaperto la crisi greca con l’annuncio del referendum – avremmo forse assistito al primo “salvataggio” dell’Occidente da parte degli emergenti.

 

Non è accaduto ma l’Unione Europea sembra avere già preso atto del nuovo ruolo di questi paesi, escludendo nei giorni scorsi i Brics dall’elenco dei possibili beneficiari della propria politica di aiuti allo sviluppo: troppo ricchi.

 

Questo processo di ridefinizione della mappa del potere è davvero così inarrestabile e imminente? Dopo decenni di confronto “East - West” e poi “North - South” stiamo davvero entrando in un nuovo ordine – o disordine – globale dove prevale il paradigma «West and the rest»?

 

Vista la natura ancora prevalentemente economica del potere di questi paesi, la prima riflessione che è necessario fare riguarda la sostenibilità di tassi di crescita elevati “nonostante” l’ulteriore rallentamento delle economie occidentali.

 

Nel 2008-2009 non vennero quasi toccati, salvo la Russia, dalla crisi finanziaria Usa ma il rallentamento registrato quest’anno non può non destare preoccupazione anche perché la contrazione della domanda di beni da Europa e Usa si accompagna – con l’emergere di nodi connessi – con la fase di maturità economica che questi paesi stanno raggiungendo e in particolare con la necessità di fronteggiare il rischio inflazione garantendo nel contempo un riequilibrio fra consumi e investimenti, e quello fra domanda interna ed export.

 

Per il Brasile la sfida è risparmiare (e investire) di più; per la Cina favorire i consumi interni anche per gestire le crescenti tensioni sociali; Brasile e (soprattutto) Russia dipendono ancora eccessivamente dall’export di materie prime di cui Cina e India sono invece ancora eccessivamente affamate.

 

La questione demografica è poi fonte di preoccupazione, per motivi opposti, sia per i russi sia per i brasiliani: per i primi significa scarsità di manodopera e il peso crescente di una popolazione sempre più anziana, per i secondi la “condanna” è creare milioni di posti all’anno per i giovani che s’immettono sul mercato del lavoro.

 

La fase di maturità economica si accompagna anche a un impegno diverso nel contrastare la corruzione; un impegno meritorio che però, come dimostra l’esperienza negli ultimi mesi di India e soprattutto Brasile (sette ministri dimissionati da gennaio a oggi), indebolisce le coalizioni di governo e rende ancora più ardua l’introduzione dei piani di modernizzazione necessari a garantire sostenibilità alla crescita di questi anni.

 

La seconda riflessione attiene alla capacità dei Brics di trasferire, in tempi brevi, nella sfera della politica internazionale il potere che, nonostante i citati interrogativi, hanno sino a ora acquisito in campo economico. L’esperienza europea impone cautela. Sapranno essere diversi e fare prevalere convergenze strategiche nella loro proiezione esterna?

 

Le differenze profonde – due regimi autoritari e tre democrazie consolidate – e i fattori di tensione e contrasto appaiono più forti degli interessi comuni. Basti pensare al confronto in Asia fra Russia, India e Cina per la definizione delle reciproche sfere di influenza: più che all’approssimarsi dei tre giganti, negli ultimi anni abbiamo assistito a un graduale rafforzamento del dialogo India - Usa (in chiave anticinese) e di quello fra Russia - Usa (nonostante il risorgere di una retorica antiamericana nell’attuale fase elettorale).

 

In Brasile, indenne da contrasti regionali, la relazione con la Cina – accusata di “de-industrializzare” il paese – è quantomeno dialettica: non a caso al G20 di Cannes Brasilia si è accodata agli Usa nel chiedere la rivalutazione dello yuan. Il governo di Dilma Rousseff vede inoltre con crescente diffidenza l’identificazione con i due regimi autoritari Brics (Russia e Cina) e tende a fare prevalere in ambito politico gli accordi con Ibsa (India, Brasile e Sudafrica).

 

Sui principi – in primis sulla non ingerenza, soprattutto post intervento in Libia – la vicinanza fra i 5 è parsa sino a oggi più forte anche se le recenti aperture russe sulla crisi siriana fanno apparire le prime crepe; si sgretola del tutto – rimanendo sempre in ambito Onu – non appena si affronta il tema della riforma del Consiglio di sicurezza. L’appetito brasiliano e indiano per un posto permanente, accuratamente sostenuto da Washington, non è condiviso con analogo entusiasmo da Cina e Russia, gelose delle proprie prerogative.

 

Neppure nel soft power paiono fare meglio: non possono proiettare una comune concezione della politica viste le profonde differenze di regimi e neppure modelli alternativi di sviluppo, come i non allineati negli anni ’60 e ’70 (la “crescita con uguaglianza” del Brasile di Lula e Dilma Rousseff non trova particolari consensi fuori dal Brasile). Prepariamoci dunque a qualche ulteriore sorpasso (nonostante i tentennamenti), a qualche nuovo vertice degli emergenti, ma non illudiamoci (o spaventiamoci) troppo.

 

Europa e Usa non si confronteranno a breve con un blocco coeso di nuovi potenti ma con una complessa e mutevole coalizione di paesi le cui contraddizioni potrebbero accentuarsi con la maturità economica.

 

Rassegniamoci allora a un 2012 ancora inesorabilmente e confusamente multipolare, con attori protagonisti un po’ da “viale del tramonto” e promettenti “attori giovani” con ruoli ancora marginali, più in grado di ostacolare che di proporre modelli alternativi.

 

La politica internazionale, nonostante tutto, è troppo seria per essere affidata alla fantasia creativa del chief economist di Goldman Sachs.

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