Nonostante in politica estera ci si aspetti un ritorno al rispetto del multilateralismo e degli impegni internazionali, sul fronte mediorientale si continuerà lungo la linea tracciata da Trump: disimpegno militare; alleanze nel Golfo e contenimento dell'Iran.
La vittoria di Joe Biden alle presidenziali Usa avrà conseguenze notevoli sulla politica estera di Washington in Medio Oriente e Nord Africa (Mena). Il neopresidente ha infatti promesso che adotterà un approccio più multilaterale e meno antagonistico nel perseguimento degli obiettivi di politica estera. Verosimilmente però le linee che la nuova amministrazione seguirà per la regione Mena saranno le stesse della precedente: il disimpegno militare, l’alleanza con Israele e i paesi arabi del Golfo e il contenimento delle ambizioni nucleari iraniane.
Una regione a conflittualità aumentata
Il lavoro di Biden nello scacchiere mediorientale non sarà semplice: quelle che quattro anni fa sembravano improvvisate propagandistiche dell’inesperto e imprevedibile presidente Trump, hanno invece rivelato un vero disegno trumpiano per la regione, in parziale discontinuità con la precedente presidenza di Barack Obama. Pur restando fisso l’obiettivo del disimpegno militare americano dal Medio Oriente e dal Nord Africa del suo predecessore, Trump ha messo da parte la strategia del “leading from behind” nelle crisi della regione, optando per il non coinvolgimento. Inoltre, picconando le fragili impalcature costruite da Obama e dal suo segretario di Stato John Kerry volte a favorire la definizione di un nuovo equilibrio tra i principali attori mediorientali attraverso un graduale reintegro dell’Iran nel sistema regionale, Trump ha invece voluto puntare tutto sui tradizionali alleati di Washington nella regione, Arabia Saudita e Israele, lavorando alla creazione di un fronte anti-iraniano, il cui effetto collaterale è stato però il sacrificio della causa palestinese. È in questa direzione che si inseriscono decisioni come il trasferimento dell’ambasciata USA a Gerusalemme, l’Accordo del Secolo (fortemente sbilanciato a favore degli israeliani), il ritiro americano dall’accordo sul nucleare iraniano (JCPOA, Joint Comprehensive Plan of Action), le ingenti commesse di armi americane dell’Arabia Saudita e la recente normalizzazione delle relazioni tra Israele, Emirati Arabi Uniti e Bahrein con gli Accordi di Abramo.
Biden trova dunque una regione in cui instabilità, frammentazione e conflittualità sono aumentate in maniera esponenziale. E in cui gli spazi lasciati vuoti dagli Stati Uniti hanno fomentato un’accesa competizione tra attori regionali ed esterni, non ultime Turchia e Russia, che complicano ulteriormente la soluzione delle crisi nell’area, tramutatesi in vere e proprie guerre per procura.
Nessuna inversione di marcia
L’elezione di Biden non imporrà una radicale inversione di marcia rispetto alle posizioni dell’amministrazione Trump in Medio Oriente. L’ex vicepresidente di Obama non disattenderà gli interessi strategici americani, ma muterà l’approccio per raggiungerli. Sul dossier iraniano, durante la campagna elettorale, Biden aveva espresso la sua disponibilità a ridiscutere il ritorno statunitense al JCPOA. Tuttavia, la situazione attuale è mutata rispetto a cinque anni fa quando l’accordo fu firmato. Anche da parte di Teheran potrebbe non esserci la stessa disponibilità al dialogo, e l’obiettivo di Biden sarà comunque quello di evitare lo sviluppo del programma nucleare della Repubblica islamica. Tuttavia il ritorno al multilateralismo e al rispetto del diritto internazionale promesso da Biden dovrebbe portare la nuova amministrazione a evitare strumenti come le sanzioni unilaterali e a cercare una convergenza con i vecchi alleati europei.
Sul versante palestinese, il neopresidente ha già dichiarato che tornerà a spingere per una soluzione dei due stati. Ma sarà difficile cancellare con un colpo di spugna l’azione del predecessore, e ha già annunciato che manterrà l’ambasciata statunitense a Gerusalemme.
Per quanto riguarda le tre crisi regionali – Siria, Libia e Yemen – i margini di manovra di Washington sono ormai ridotti. Biden ha dichiarato di voler rafforzare la capacità americana di risoluzione dei conflitti, ma nei citati teatri di guerra non sarà facile per gli Stati Uniti recuperare una posizione di influenza. Washington potrebbe forse ritagliarsi uno spazio esercitando pressioni sugli alleati coinvolti nei conflitti ma questa mossa richiederebbe una chiara volontà politica da parte americana. Volontà che al momento non sembra affatto scontata. Il democratico infatti si troverà di fronte a dossier prioritari, come la crisi dell’Alleanza atlantica e la crescente contrapposizione con la Cina, che porteranno in secondo piano la regione mediorientale. La regione Mena, tra l’altro, potrebbe diventare terreno di scontro con la potenza cinese se Pechino decidesse di esercitare un’influenza geopolitica accanto all’ormai consolidata collaborazione economica.