Negli ultimi due mesi, gli investitori stranieri hanno venduto le loro azioni e obbligazioni cinesi per un controvalore di oltre 17 miliardi di dollari, un massimo storico, secondo i dati dell'Istituto di Finanza Internazionale (IIF). Questo sell-off segue quasi due anni consecutivi di deflussi netti di portafoglio dalla Cina (trainato principalmente dagli elevati investimenti cinesi in uscita, anche negli anni della pandemia), incluso il quarto trimestre del 2021, con un deficit del conto capitale e finanziario di 32,6 miliardi di dollari, secondo i dati dell’Amministrazione statale dei cambi cinese (Figura 1).
L’obbligazionario ha sofferto maggiormente: i dati del governo cinese mostrano un ritiro record degli investitori stranieri pari a 5,5 miliardi di dollari di titoli di stato cinesi a febbraio, la più grande riduzione mensile mai registrata, secondo la China Central Depository and Clearing, seguiti un nuovo massimo di oltre 8 miliardi di dollari a marzo.
Figura 1. Saldo conto capitale e finanziario in Cina
(miliardi di dollari, 2019-22)
Gli investitori se ne vanno?
Dunque, dopo aver aumentato rapidamente la loro esposizione tra il 2014 e il 2018, ora gli investitori stanno abbandonando la Cina su una scala senza precedenti, considerando che l'ultima volta che la Cina aveva sperimentato una simile fuga di capitali era tra il 2015 e il 2017 e aveva richiesto pesanti controlli di capitale per arrestare il deflusso. IIF ha parlato di vera e propria fuga di capitali "senza precedenti" da parte degli investitori esteri, soprattutto perché durante questo periodo non ci sono stati deflussi simili da altri mercati emergenti.
Si noti che al contrario degli investimenti in asset finanziari, gli afflussi di investimenti diretti esteri in Cina hanno raggiunto un livello record di 173 miliardi di dollari nel 2021, con un aumento del 20% rispetto all'anno precedente, secondo i dati del Ministero del Commercio cinese, e questo perché il mercato interno cinese, sebbene cresca a ritmi inferiori al passato, è enorme.
Perché la fuga?
Le motivazioni di questa fuga sono principalmente quattro. Due interne, due internazionali.
Innanzitutto, le prospettive di crescita economica interna si sono deteriorate nel primo trimestre del 2022. Sebbene il dato aggregato sul trimestre sia stato accolto come ampiamente positivo (4,8% rispetto al 4,4% atteso), in realtà il mese di marzo ha visto i consumi molto indeboliti rispetto al marzo del 2021. Ed è il mese di marzo quello più significativo tra i primi tre dell’anno, perché i primi due mostrano sempre una forte e vivace stagionalità dovuta al Capodanno cinese. Il Fondo Monetario Internazionale ha recentemente tagliato le sue previsioni di crescita per la Cina al 4,4%, dal 4,8%, citando i rischi della rigida politica di Covid zero di Pechino. Il dato è ben al di sotto della previsione ufficiale della Cina di circa il 5,5%. La politica Covid zero ha peggiorato le prospettive di crescita e l’allargamento in corso dei lockdown, da Shanghai a Pechino, ha reso consapevoli gli investitori esteri che la pandemia in Cina è tutt’altro che sotto controllo.
Una seconda motivazione interna riguarda il contesto regolamentare e normativo, che in Cina è tutt’altro che trasparente e prevedibile. Gran parte dell'attuale sfiducia degli investitori nelle prospettive che il Paese diventi davvero attrattivo sul fronte finanziario può essere ricondotta all'ampio giro di vite normativo sul settore privato, che è stato scatenato dal presidente Xi Jinping nel 2020. C'è il timore che il governo continui quest'anno a porre un freno a settori che vanno dall'istruzione alla tecnologia. Una serie di regole svelate lo scorso luglio ha essenzialmente chiuso l'industria dell’istruzione privata, un business da 120 miliardi di dollari, mettendo decine di migliaia di aziende fuori mercato. Un'altra decisione dei regolatori di vietare Didi - la più grande app di corse in vettura con autista del Paese – pochi giorni dopo la sua IPO negli Stati Uniti ha stupito gli investitori internazionali ed è costata cara. Il giro di vite ha portato ad un forte sell-off delle azioni cinesi in tutto il mondo.
Passando alle ragioni esterne, la più potente è certamente il rialzo dei tassi di interesse altrove, soprattutto negli Stati Uniti, misura che rende la Cina un posto meno attraente dove investire. E le aspettative sul differenziale non possono che aumentare, visto che la FED ha già annunciato nuovi rialzi e viceversa la PBoC non potrà che mantenere una politica espansiva, date le condizioni della domanda. All'inizio di questo mese, i rendimenti dei titoli di stato cinesi a 10 anni sono scesi sotto i rendimenti del Tesoro USA per la prima volta in 12 anni.
I fondi americani che investono in Cina hanno attratto solo 1,4 miliardi di dollari nel primo trimestre del 2022, in calo del 70% rispetto al trimestre precedente, secondo Preqin, una società di dati sugli investimenti con sede a Londra. Un sondaggio separato di Bain & Company ha mostrato che i fondi di private equity focalizzati sulla Grande Cina hanno attratto 28 miliardi di dollari in nuovi finanziamenti per la seconda metà dello scorso anno, in calo del 54% rispetto al primo semestre, poiché gli investitori globali sono sempre più preoccupati per l'incertezza politica ed economica del mercato cinese.
Infine, sul fronte geopolitico, il protrarsi della guerra in Ucraina e l’inasprirsi delle sanzioni contro la Russia, in un contesto di “amicizia sconfinata’”di quest’ultima con la Cina, hanno reso meno improbabile che in un futuro imprecisato anche la Cina possa essere colpita da sanzioni, per lo meno secondarie. Soprattutto anticipando le pressioni che nel 2023 Pechino eserciterà su Taiwan in occasioni delle elezioni primarie per favorire il candidato filocinese, il che potrebbe riaprire le tensioni in Asia orientale. A riprova dell’importanza di questo elemento geopolitico, di recente si sono intensificati i deflussi di portafoglio anche da Taiwan.
La conseguenza immediata della fuga degli investitori, uno yuan che ha toccato un minimo di sei mesi contro il dollaro americano, non potrà compensare le aspettative in calo sull’andamento dell’attività economica in Cina, perché da un lato una maggior competitività di prezzo non è più un motore per l’export cinese e dall’altro rende più costose le importazioni di tecnologia e di IP che ancora alla Cina servono in misura massiccia.