I sabotaggi ai gasdotti del Nord Stream 1 e 2 a inizio ottobre inaugurano una nuova stagione nella crescente tensione tra Russia e Occidente. Sin dall’attacco, i cui i responsabili non sono stati ancora stati individuati, si sono moltiplicati i timori di un salto di qualità nella guerra ibrida tra Russia e Occidente, che prima confinato ad azioni di natura cyber ora verrebbe a giocarsi anche sul piano delle infrastrutture fisiche. Un attacco che, da qualsiasi parte provenga, distrugge una delle infrastrutture strategiche per l’approvvigionamento del gas europeo e accelera inevitabilmente il decoupling energetico tra Russia e Unione europea. Prima dell’inizio del conflitto, infatti, dei 155 miliardi di metri cubi di importazioni di gas provenienti dalla Russia, ben 55 miliardi transitavano per il Nord Stream 1. Tale grado di dipendenza avrebbe potuto persino aumentare se il gasdotto Nord Stream 2, completato e pronto per l’utilizzo, fosse stato attivato. Al contrario, l’invasione russa in Ucraina ha posto una pietra tombale sulla nuova infrastruttura.
Tutta la rete delle infrastrutture sottomarine è critica e il suo funzionamento è cruciale per l’economia internazionale e per la sicurezza degli Stati. Quella dei cavi sottomarini digitali in particolar modo. Basti un dato per comprendere la loro importanza fondamentale: circa il 97% del traffico internet globale passa attraverso tali cavi e grazie ad essi si realizzano transazioni finanziarie pari a circa 10 trilioni di dollari al giorno. Ad oggi, sul fondo degli oceani ci sono circa 450 cavi sottomarini per un totale di 1,2 milioni di km. E l’importanza di tali cavi aumenterà esponenzialmente nel corso dei prossimi anni, a causa dell’alta domanda di dati, ai servizi cloud, alle reti di nuova generazione (5G e, in prospettiva, il 6G), così come l’Internet of Things.
Oggi, perciò, i cavi sottomarini sono l’infrastruttura chiave dell’era digitale, così come sono una componente imprescindibile della governance della sicurezza digitale globale. Tuttavia, essi non ricadono all’interno di una regolamentazione internazionale condivisa, né spesso sono riconducibili a un singolo Stato. Molto spesso la proprietà è divisa tra più aziende e istituzioni di diversi Stati e giurisdizioni. Inoltre, la loro struttura risulta collegata ad un ambiente più variegato e interconnesso di infrastrutture, quali centri dati e standard tecnici e tecnologici. Infine, oggi si assiste al ruolo sempre crescente nel mercato dei cavi sottomarini delle grandi tech companies (come Google, Amazon e Facebook) che stanno acquisendo un predominio sempre maggiore. Basti pensare che la quota di cavi sottomarini a fibra ottica delle big-tech è passata da meno del 10% nel 2012, al 66% di oggi. Il nuovo cavo Dunant, entrato in funzione nella primavera del 2021 e che collega Stati Uniti ed Europa, è stato sviluppato e usato da Google, e ha segnato un nuovo record nella capacità e nella velocità di trasmissione dati.
Le minacce più probabili
Le minacce a tali infrastrutture sono molteplici e vanno dalla distruzione fisica da parte di un attore rivale per danneggiare l’economia e la sicurezza di uno o più Stati (come è probabilmente accaduto al Nord Stream) a tentativi di spionaggio, in particolare per quanto riguarda i cavi sottomarini di dati. L’installazione di virus, backdoor nei centri di comunicazione, di partenza o di arrivo dei cavi sottomarini, può essere uno strumento fondamentale di spionaggio, ma non è il solo. Vi sono infatti sottomarini dotati di particolari strumentazioni che possono carpire direttamente dati transitanti lungo cavi sottomarini in pieno oceano.
Proprio per ridurre tali rischi, la strategia della ridondanza risulta centrale. Ogni Stato dovrebbe essere collegato alla rete internazionale per mezzo di più di un cavo, proprio per diminuire i danni in caso di attacco a una singola infrastruttura e prevenire un blocco totale delle comunicazioni che comporterebbe una minaccia esistenziale alla sicurezza dello Stato. Nell’UE, ad esempio, tutti gli Stati membri sono collegati alla rete internazionale con almeno sette cavi di interconnessione. Ma, come abbiamo visto, anche le infrastrutture che trasportano il gas e l’energia sono estremamente vulnerabili, e lo saranno sempre di più anche alla luce della necessità di procedere a una veloce diversificazione e transizione energetica. In tutti e due i casi, centrali saranno le interconnessioni tra le due sponde del Mediterraneo, così come nel Mare del Nord. Quanto all’idrogeno verde, ad esempio, nel caso di uno scenario di una partnership rafforzata euro-mediterranea, cruciali saranno i collegamenti tra i luoghi di produzione del Nord Africa e i maggiori luoghi di consumo situati nel continente europeo.
Per migliorare la sicurezza dei cavi sottomarini tre tipi di approcci possono essere adottati: quello normativo, che assicuri regole condivise per la posa, la manutenzione e la sorveglianza dei cavi sottomarini; l’approccio militare, che impiega navi e sottomarini per il corretto funzionamento delle infrastrutture sottomarine e sorveglia in caso di minaccia di spionaggio; infine, l’approccio della ridondanza, che suggerisce appunto che ogni Paese dovrebbe essere collegato verso l’esterno attraverso più cavi sottomarini, con l’obiettivo di limitare l’impatto economico e strategico negativo in caso di malfunzionamento o distruzione di singoli cavi.
Il quadro giuridico dei cavi sottomarini
In questo contesto è utile richiamare la disciplina internazionale che regola la posa dei cavi sottomarini. La normativa più importante è data dalla Convenzione di Montego Bay del 1982 sul Diritto del mare, che corrisponde largamente al diritto internazionale consuetudinario. Essa distingue le regole esistenti per il mare territoriale da una parte, e la Zona economica esclusiva e il mare internazionale dall’altra. Per il mare territoriale, che si è estende fino a 12 miglia dalla linea di base, la posa di cavi sottomarini così come il collegamento con le infrastrutture terrestri può avvenire solo con il consenso dello Stato territoriale, che ne disciplina anche il percorso della posa nonché le modalità di protezione. Nella Zona economica esclusiva, che ogni Stato costiero può dichiarare fino a 200 miglia nautiche dalla linea di base, vige il principio della libertà della posa dei cavi sottomarini, sebbene lo Stato territoriale possa richiedere di approvarne il tracciato affinché questo non interferisca con le attività di pesca o sfruttamento minerario del sottosuolo. Tuttavia, ciò non può tradursi in un divieto di posare cavi nei confronti di altri Stati. In alto mare, infine, si afferma il principio di totale libertà di posa dei cavi sottomarini.
Inoltre, occorre risalire alla Convenzione di Parigi del 14 marzo 1884, tuttora valida ed efficace, per trovare una fonte normativa che attribuisca, chiaramente e inequivocabilmente, un potere di coercizione alle navi da guerra (tra cui il fermo e diritto di visita) nei confronti di tutte le navi degli Stati contraenti che abbiano causato la rottura o il danneggiamento di cavi sottomarini.
La partita geopolitica dei cavi sottomarini digitali e la strategia europea
Nel corso degli anni, nel settore della connettività dei dati sottomarini un ruolo crescente è stato assunto dai consorzi privati che riuniscono aziende di costruzione e telecomunicazione. Sebbene il settore sia stato dominato tradizionalmente da aziende americane, la Cina – in particolare attraverso la Digital Silk Road lanciata nel 2015 e il piano China Manufacturing 2025 – intende divenire leader nel settore della connettività dati attraverso i cavi sottomarini. Sia nel campo della costruzione (attraverso Huawei Marine e Hentong) sia nel campo della proprietà dei cavi (attraverso China Mobile, China Telecom e China Unicom), Pechino sta infatti incrementando in modo esponenziale il suo ruolo nel settore. Ciò ha implicato anche una reazione da parte degli Stati Uniti, con un aumento degli investimenti, in particolare nella regione dell’Indo-Pacifico.
A partire dal 2021, i vertici QUAD tra Stati Uniti, India, Australia e Giappone hanno focalizzato la propria attenzione sulla necessità di aumentare gli investimenti in connettività digitale nella regione, in particolare nei Paesi in via di sviluppo. E i finanziamenti arriveranno sia dall’annuncio di un piano infrastrutturale da 50 miliardi di dollari per cinque anni dei Paesi QUAD nella regione indo-pacifica, sia attraverso il piano del G7 da 600 miliardi di dollari Partnership for Global Infrastructure and Investment (PGII), erede del Build Back Better for the World (B3W) statunitense. Dal 5G, ai semiconduttori, ai server per immagazzinare dati, fino appunto ai cavi sottomarini, i Paesi alleati si sono impegnati a offrire soluzioni alternative competitive in termini di prezzo e condizionalità a quelle offerte da Pechino attraverso la Digital Silk Road. Inoltre, gli USA nell’agosto 2020 hanno annunciato il Clean Network Program, che include cinque linee d’azione per contrastare l’influenza cinese nelle reti di telecomunicazione statunitensi, compresa la connettività sottomarina.
Infine, l’importanza geopolitica e strategica dei cavi è confermata, ad esempio, dall’intervento dell’Amministrazione Trump nel 2019 per bloccare il collegamento diretto tra gli Stati Uniti e Hong Kong del cavo Pacific Light Cable Network, progettato nel 2016 da Facebook e Google e che ora è stato terminato con la connessione a Filippine e Taiwan, ma senza Hong Kong. Le preoccupazioni del Governo americano vertevano in particolar modo sulla presenza di un’azienda cinese all’interno del consorzio di costruzione e sulla possibilità che il cavo potesse essere oggetto di spionaggio se collegato direttamente al territorio cinese.
Anche l’UE ha adottato una strategia complessiva per rafforzare la connettività dell’UE con il resto del mondo. In questo quadro saranno centrali i fondi previsti dall’EU Global Gateway, lanciato a dicembre 2021. All’interno del grande piano di connettività saranno infatti presenti importanti investimenti per la realizzazione di nuove connessioni intercontinentali attraverso i cavi sottomarini, tra cui il progetto internazionale BELLA, che collegherà Portogallo e Brasile, primo cavo diretto tra Europa e Sudamerica.
Per quanto riguarda gli investimenti in infrastrutture digitali all'estero, un ruolo fondamentale sarà svolto dai cavi sottomarini, che costituiranno la spina dorsale di connettività per i Digital Connectivity Gateways. Questa infrastruttura sarà progettata in modo da garantire la connettività internazionale ai partner dell'UE in tutto il mondo, come base per l'autonomia strategica europea. I gateway globali digitali sosterranno lo sviluppo della connettività dorsale per le rotte all'interno degli Stati membri, tra gli Stati membri e tra l'UE e i Paesi terzi, anche verso territori remoti dove: i) manchi la ridondanza su una rotta; ii) l'infrastruttura esistente non sia in grado di soddisfare la domanda; e iii) gli utenti nei territori godano di servizi e prezzi non ottimali. Inoltre, per motivi strategici e di sicurezza, le entità extra-UE saranno escluse dagli investimenti nell'UE e non saranno acquistate attrezzature o servizi sensibili alla sicurezza da fornitori di Paesi terzi. Per le infrastrutture che collegano l'UE con i Paesi terzi, è prevista un'eccezione per i soggetti giuridici del Paese terzo, qualora la loro partecipazione sia indispensabile per il raggiungimento degli obiettivi e sia soggetta a garanzie di sicurezza approvate dal Paese terzo.
Nella Giornata del Digitale a marzo 2021, venticinque Stati membri, oltre all'Islanda e alla Norvegia, si sono impegnati a rafforzare la connettività Internet tra l'Europa e i suoi partner in Africa, Asia, nel vicinato europeo, nei Balcani occidentali e in America Latina, firmando la dichiarazione che istituisce gli European Data Gateways come elemento chiave del prossimo decennio digitale dell'UE. In particolare, sono state individuate quattro piattaforme principali per la connettività anche attraverso cavi sottomarini: l’Atlantico, il Mediterraneo, il Mare del Nord e l’Artico e, infine, il corridoio dal Baltico al Mar Nero.
In un contesto come quello attuale, caratterizzato da crescenti tensioni internazionali, risulta perciò centrale un coordinamento tra UE e NATO a protezione delle infrastrutture strategiche sottomarine. Già ad ottobre 2020, i ministri della Difesa della NATO valutarono i potenziali rischi alla sicurezza dei cavi sottomarini rappresentata dalla Russia. A partire dal luglio 2021 è quindi operativo il North Atlantic Command che, tra i diversi compiti, ha quello di monitorare e proteggere dalle minacce alle infrastrutture sottomarine.
La risposta della NATO e degli Stati membri
La sorveglianza sulle infrastrutture critiche sottomarine appare quindi essere un compito fondamentale ma richiede impegni importanti da parte degli Stati. Soprattutto nel caso delle porzioni di mare internazionale, il controllo permanente di tali infrastrutture risulta complicato e oneroso. Complicato, poiché la maggior parte delle infrastrutture di collegamento energetico e dati sottomarine poggiano sul fondo di acque internazionali. Tuttavia, subito dopo l’attacco ai gasdotti di Nord Stream, i principali Paesi della NATO hanno schierato i propri dispositivi militari a tutela di tali infrastrutture. La Norvegia ha aumentato la protezione di tutte le proprie infrastrutture energetiche, sia interne che di collegamento con il resto d’Europa, in particolare dopo l’individuazione di un alto numero di droni sorvolanti le stesse infrastrutture. La Marina Militare italiana, nel Mediterraneo, ha rafforzato la protezione delle infrastrutture energetiche, in particolare quelle di collegamento con il Nord Africa.
La NATO ha altresì dichiarato che un attacco da parte di una potenza straniera nei confronti di infrastrutture strategiche degli Stati membri potrebbe essere considerato come un attacco ai membri dell’Alleanza ai sensi dell’art.5. Tuttavia, poiché la maggior parte di tali infrastrutture di connettività sottomarine sono possedute da aziende private, dimostrare un attacco a un singolo Stato, così come individuare i governi sponsor degli attacchi, risulta complicato. Inoltre, nel caso del Nord Stream l’attacco è avvenuto in acque internazionali, al di fuori quindi della giurisdizione sovrana degli Stati. La reazione della NATO potrebbe essere sicuramente più forte nel caso la Russia colpisse un’infrastruttura strategica nelle acque territoriali di uno Stato membro: ciò provocherebbe molto probabilmente l’attivazione della difesa collettiva a norma dell’art.5 del Trattato NATO.
In un contesto di tensione crescente e conflitto non guerreggiato tra Occidente e Federazione Russa, risulta centrale quindi aumentare la sorveglianza e la protezione per le infrastrutture fisiche che assicurano le transazioni economiche e le comunicazioni strategiche dei nostri Paesi. Prevenzione e sorveglianza sono quindi parole d’ordine, che devono andare di pari passo con innovazione tecnologica e cooperazione tra Paesi alleati.