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"Anti-Kamala"

Chi è Nikki Haley, ex ambasciatrice USA all’ONU

28 Agosto 2020

A spezzare la routine di una delle Convention a tratti monotona e a tratti aggressiva, in cui il presidente Trump ha parlato ogni sera, era stata Nikki Haley, ex ambasciatrice USA alle Nazioni Unite. Nel suo discorso per la rielezione del presidente, Haley ha parlato delle sue origini indiane dichiarando al contempo che gli Stati Uniti “non sono un paese razzista”. Un discorso che sembra fare da controcanto a quello di Kamala Harris, candidata vice presidente per il partito democratico, con la quale Haley condivide le origini indiane. Le origini familiari non sono però l’unico elemento che unisce le due donne: come Harris per i democratici, sono non pochi gli insider del partito repubblicano che guardano a Haley come possibile candidata alla Casa Bianca nel 2024. Anche questo, oltre alla grinta e all’ambizione, ne ha decretato il soprannome di ‘anti-Kamala’. 

Classe 1972, Nikki Haley nasce con il nome Nimrata Randhawa nella piccola cittadina di Bamberg, South Carolina. Figlia di immigrati indiani sikh, da ragazza si converte però al cristianesimo. Inizia a lavorare già da teenager, facendo la contabile per il negozio di vestiti della famiglia - un campo che la seguirà anche durante gli anni universitari, fino alla laurea proprio in contabilità. Dopo aver preso il cognome del marito sposato nel 1996, Haley si avvicina alla politica e a 32 anni, nel 2004, vi entra a pieno titolo, come rappresentante alla Camera del South Carolina. Una vittoria inaspettata, quella di Haley, che strappa il seggio a un avversario più esperto, e che viene riconfermata poi anche nel 2006 e nel 2008. Due anni dopo, Haley tenta un’altra sfida difficile: quella per il posto di governatrice del South Carolina. Anche stavolta Haley riesce nel suo intento, diventando la prima governatrice donna dello Stato e la prima appartenente a una minoranza etnica, grazie anche al sostegno del Tea Party, una frangia molto conservatrice del partito repubblicano che godeva di ampio sostegno all’inizio degli anni 2010. Sarà riconfermata governatrice anche nel 2014, mentre l’anno seguente si guadagnerà l’attenzione dei media ottenendo la rimozione della bandiera confederata dalla Camera del South Carolina, pochi giorni dopo la strage di Charleston. Quattro anni dopo, Haley verrà però criticata per aver dichiarato in un’intervista che le foto che ritraevano l’omicida con in mano la bandiera confederata aveva profanato il significato di “servizio, sacrificio e eredità” di quel simbolo. 

A inizio 2016, Haley viene scelta come voce rep in risposta al discorso del presidente Barack Obama sullo stato dell’Unione: un’occasione che in genere viene riservata agli astri nascenti del partito. Un discorso in cui non mancano alcune velate critiche al candidato di punta del partito repubblicano per le elezioni: Donald Trump. Quel discorso diventa così un’anticipazione dell’ambiguo rapporto che da sempre lega Haley a Trump. Alle primarie repubblicane del 2016, infatti, Haley sostiene prima Marco Rubio e poi Ted Cruz, descrivendo Trump come “tutto quello che un governatore non vuole da un presidente”. Si guadagna così prontamente le critiche di Trump, alle quali risponde unendosi al coro di chi chiedeva al candidato presidente di rilasciare le proprie dichiarazioni dei redditi. Immigrata di seconda generazione, Haley si pronuncia duramente anche contro la proposta di Trump di vietare l’ingresso negli USA a tutte le persone di fede musulmana. 

Al momento di scegliere tra Trump e la democratica Hillary Clinton, Haley però si allinea al partito e vota per il tycoon. Le presidenziali 2016 sembrano segnare un giro di boa nella relazione con il presidente che, poche settimane dopo l’elezione, la nomina ambasciatrice americana alle Nazioni Unite. Nel Palazzo di Vetro, Haley convince Cina e Russia a imporre sanzioni alla Corea del Nord e si distingue per la posizione dura contro l’Iran e in difesa di Israele, sostenendo la decisione della Casa Bianca di riconoscere Gerusalemme come capitale dello stato ebraico. Critica delle dinamiche interne di organizzazioni multilaterali come l’ONU, Haley negozia per il ridimensionamento del budget dell’organizzazione. Durante il suo mandato, gli USA si ritirano anche dall’Accordo di Parigi e dal Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite.

Due anni dopo la nomina, nell’ottobre 2018, Haley annuncia però le dimissioni. A differenza di altri funzionari allontanati dalla Casa Bianca, Haley rimane in buoni rapporti con il presidente, di cui ha spesso echeggiato la retorica. Lo fa anche alla convention repubblicana del 2020 dove mette in guardia i cittadini americani contro “l’avanzata del socialismo”. Non è un caso che il suo nome sia già girato in ambienti repubblicani come possibile sostituta di Mike Pence: con un curriculum perfetto, che unisce esperienza amministrativa e diplomatica, Haley sembra incarnare agli occhi di molti la candidata perfetta per le presidenziali 2024. Tutti gli elementi sembrano allinearsi a tracciare il percorso che porta a Pennsylvania Avenue, in modo forse troppo esatto perché non sia calcolato. 

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