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Commentary

Chi protegge Haftar: Mosca e l’intervento turco in Libia

Andrea Beccaro
10 gennaio 2020

La situazione in Libia si è ulteriormente complicata in queste ultime settimane per una serie di dinamiche. Prima la decisione della Turchia di inviare consiglieri militari a sostegno del governo di Tripoli ha messo in allarme la comunità internazionale. Poi si è registrato un rinnovato slancio offensivo da parte del generale Haftar con la conquista di Sirte, città fondamentale sia per la sua vicinanza con Misurata, sede delle milizie che appoggiano Sarraj e dove è presente un contingente militare italiano, sia come simbolo della lotta contro ISIS liberata dal governo di Tripoli con il supporto occidentale nel 2016.

Sull’intervento militare turco bisogna però chiedersi se Ankara ha la forza e le capacità per essere veramente un game-changer. La risposta non può essere totalmente positiva. Infatti, le forze armate turche, pur avendo maturato negli ultimi anni una discreta esperienza sul campo (grazie alle operazioni in Siria e a sporadiche incursioni nel Kurdistan iracheno), non hanno mai operato lontano dai propri confini nazionali se non nel contesto di operazioni di pace internazionali in cui il quadro di sicurezza, politico e logistico era in parte già garantito. Ne consegue che l’intervento militare turco, di cui si ignora ancora la reale composizione (numero di uomini, tipologia di armi), è indubbiamente un passo significativo, ma non può essere considerato, ancora, un elemento in grado di rovesciare gli equilibri locali. Infatti, Haftar gode di un vantaggio strategico fondamentale rispetto a Serraj e a Erdogan: la sua linea logistica è molto più breve, semplice ed economica perché è un collegamento via terra diretto che passa attraverso il suo alleato egiziano. Al contrario Ankara deve affidarsi a lunghi ponti navali o aerei nel Mediterraneo con i rispettivi costi sia economici sia politici. Inoltre, Egitto, Russia ed Emirati Arabi Uniti supportano Haftar a livello politico, logistico e con l’invio di armi, droni e soldati.

Il governo di Sarraj, pur riconosciuto a livello internazionale, si è sempre trovato piuttosto isolato e senza un vero alleato forte. Nell’ultimo anno tale situazione è peggiorata con l’Italia che si è autoesclusa dal teatro libico, l’UE assente (mentre alcuni dei suoi membri, Francia, sostengono la parte avversa), Stati Uniti ondivaghi. L’isolamento politico di Sarraj ha sicuramente aperto una finestra di opportunità per lanciare la campagna di Haftar iniziata ad aprile scorso per conquistare Tripoli e ha fatto comprendere a Sarraj la sua debolezza. In questo quadro l’inserimento della Turchia offre a Tripoli un protettore internazionale e a Erdogan un’importante possibilità di ampliare l’influenza turca.

La scelta di Ankara ha sparigliato le carte e in particolare, risulta complessa la posizione di Mosca. La Russia, pur lasciando aperto un dialogo con entrambe le parti, ha innegabilmente concentrato il suo appoggio sul generale Haftar. Un sostegno che si è articolato su più livelli: diplomatico, economico e militare. Proprio su quest’ultimo aspetto negli mesi scorsi sono emerse varie notizie che hanno messo in luce come, per cercare di sbloccare l’azione militare di Haftar arenatasi alla periferia della capitale, fossero stati inviati contractors russi. In particolare si tratta di tiratori scelti, ben addestrati ed esperti, che sono riusciti ad aumentare le capacità operative delle milizie di Haftar offrendo loro un appoggio altamente professionale nei compiti sia offensivi sia di intelligence. La presenza di questi elementi, pur non venendo mai confermata da parte di Mosca, è stata corroborata da recenti analisi di voli aerei. In questi primi giorni di gennaio sono stati registrati un AF Tu-154M e un Ilyushin Il-76MD russi decollati da Bengasi e atterrati nella base russa di Latakia in Siria. Ciò non solo dimostra come Mosca sia stata in grado di costruire negli ultimi anni una importante rete logistica, oltre che di alleanze politiche, nel Mediterraneo, ma è anche indicativo dell’affollamento dei cieli libici dove, oltre ai droni e caccia tradizionali legati alle milizie in campo, volano droni di almeno altri due Paesi, ovvero Stati Uniti e Italia, come dimostra l’abbattimento del Predator il 21 novembre scorso.

Nei giorni scorsi Putin si è incontrato con Erdogan per l’inaugurazione del gasdotto Turkstream. Un incontro dal quale è scaturito l’invito congiunto a un cessate il fuoco subito accettato da Serraj, ma rifiutato da Haftar che indubbiamente sta cercando di cogliere più risultati militari possibili prima di un eventuale intervento esterno. Dunque i due paesi, malgrado profonde divergenze su vari teatri, condividono importanti interessi economici e una volontà di collaborare, almeno entro certi limiti. Di conseguenza è probabile che in Libia i due possano stabilire modalità e procedure per evitare che le rispettive unità sul terreno entrino in contatto. Bisognerà vedere come queste relazioni diplomatiche evolveranno. Ovvero se le convergenze sviluppate tra le due nazioni in Medio Oriente potranno distendere la situazione in Libia oppure se rimarranno lì confinate per lasciare spazio a ulteriori tensioni.

Come in Siria, Mosca continuerà ad appoggiare la parte da cui ritiene di poter ottenere maggiori risultati, pur senza chiudere le porte alle altre fazioni. Malgrado un invio di forze come in Siria sia da escludere, indubbiamente cercherà di tenere in corsa i propri alleati e interessi. Infatti, non va dimenticato che la Russia ha importanti contratti di vario genere in Libia che certamente vuole difendere.

Un altro protettore di Haftar è l’Egitto che ha fin da subito espresso la sua contrarietà a qualunque intervento turco in Libia. Le tensioni tra i due paesi non sono certo una novità e avevano iniziato a inasprirsi a fine novembre quando Erdogan e Serraj avevano firmato un memorandum che delinea su nuove basi la Zona Economica Esclusiva tra Libia e Turchia, la quale otterrebbe così ampi margini per lo sfruttamento delle ingenti risorse di gas che in quelle acque si trovano. Nel corso di dicembre l’Egitto aveva compiuto diverse mosse diplomatiche parlando direttamente con vari Paesi coinvolti dagli Stati Uniti alla Russia, chiedendo un meeting d’urgenza alla Lega Araba che ha poi divulgato un comunicato di condanna per l’intervento turco in Libia.

L’azione turca, qualunque forma prenderà, complica ulteriormente una situazione politico-militare già di per sé intricata e malgrado gli ultimi tentativi dell’Italia il rischio è quello di vedersi esclusi dal teatro libico dove ormai gli attori cruciali sono altri. La posizione mediana tenuta dall’Italia non sembra quindi aver ripagato.

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Libia MENA Russia Turchia
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AUTORI

Andrea Beccaro
Ricercatore e Analista Strategico

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