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La visita di Xi Jinping
Cina e Italia: sfide e opportunità di una partnership discussa
Alessia Amighini
|
Giulia Sciorati
|
Alessandro Gili
21 marzo 2019

Annunciata ufficialmente dai media cinesi lunedì 18 marzo, la visita del Presidente cinese Xi Jinping in Europa si svolge dal 21 al 26 marzo: è cominciata in Italia, farà tappa nel Principato di Monaco e terminerà in Francia. Sei giorni che si prospettano densi di opportunità per l’evoluzione della Belt and Road Initiative (BRI) cinese in Europa. Nonostante le reticenze di diversi governi europei, l’Italia ha in programma di entrare ufficialmente a far parte della rosa dei partner BRI attraverso la firma di un Memorandum of Understanding (MoU) fra i due paesi. Il testo di tale documento è già circolato, in bozza non ufficiale, sulla stampa italiana. In un contesto di crescente preoccupazione per la penetrazione cinese in settori strategici dell’economia europea, e nei conseguenti tentativi da parte dell’UE di porre in essere strumenti di screening per valutare le implicazioni degli investimenti cinesi per la sicurezza nazionale dei Paesi membri, la scelta di Roma segnerebbe per la prima volta l’ingresso di un Paese del G7 e fondatore dell’UE nel quadro del progetto di espansione infrastrutturale, economica e politica cinese. Qual è lo stato delle relazioni Italia-Cina al 2019? In quali settori si snodano e da quali accordi sono sostenute? Come può la BRI ridisegnare lo stato delle relazioni politiche ed economiche di Roma?

 

La visita di Xi: il contesto europeo e internazionale 

La visita del Presidente Xi Jinping si svolge in un momento in cui l’UE cerca di bilanciare l’influenza di Pechino e il crescente bisogno di investimenti esteri dei suoi Stati membri. In vista dell’EU-China Summit a Bruxelles del prossimo 9 aprile, la leadership cinese ha sottolineato la volontà di incrementare la collaborazione tra Cina, Stati Uniti ed Europa nell’ambito BRI nel tentativo di arginare le crescenti critiche derivanti dalla valenza strategica del progetto: uno strumento, per molti, che ha il potenziale di accrescere l’influenza cinese nei Paesi ospitanti.

Nonostante la visita di Xi Jinping sia programmata per terminare in Francia, l’atteggiamento di Parigi si prospetta tendenzialmente più cauto rispetto a quello italiano. Il Presidente Emmanuel Macron si è più volte espresso a favore di un coordinamento multilaterale tra i membri dell’UE e la Cina, rivendicando il suo sostegno allo “spirito di uguaglianza, reciprocità”, dove lo spirito di uguaglianza sottintenda però “il rispetto della sovranità nazionale”. Il governo francese ha manifestato comunque un marcato interesse per accrescere gli investimenti, le importazioni e le joint venture cinesi, nonché per migliorare l’accesso delle merci francesi sul mercato cinese.

Inaspettato è l’annuncio della visita del Presidente Xi Jinping al Principato di Monaco, il cui carattere portuale, racchiuso tra i porti di Marsiglia e di Genova, è di particolare interesse per un incremento dei flussi commerciali cinesi nel Mediterraneo. Xi Jinping sarà infatti il primo Presidente cinese a visitare il Principato di Monaco e a incontrare il principe Alberto II, un incontro storico tra i due Paesi che sottolinea ancor di più il potenziale di una futura cooperazione bilaterale.

Il “grande assente” nel viaggio che Xi Jinping intraprenderà verso Ovest riguarda invece il tanto atteso vertice tra il Presidente cinese e il Presidente statunitense Donald Trump, inizialmente previsto per la fine di marzo ma ora già al secondo rinvio: un’occasione che secondo molti avrebbe potuto porre fine alla guerra commerciale tra le due potenze in corso dal luglio scorso. L’imposizione di dazi commerciali appare come un segnale evidente del fatto che il rapporto tra Cina e Stati Uniti sia ormai entrato in un’era di aperta concorrenza strategica per acquisire la leadership mondiale in settori chiave come l’hi-tech, un’ambizione che per Pechino è in linea con il programma “Made in China 2025”.

L’Europa, nello scontro tra USA e Cina, potrebbe limitarsi a un ruolo di osservatore o di interlocutore esterno. Oppure, potrebbe schierarsi con gli Stati Uniti, suo tradizionale partner economico e tecnologico, in opposizione a Pechino, considerata come una concorrente da Washington. Malgrado l’amministrazione Trump abbia dimostrato un certo grado di ostilità anche nei confronti dell’Europa - soprattutto in relazione all’accesso ai mercati europei e al livello di condivisione degli oneri relativi alla sicurezza in ambito NATO - dare nuovo slancio alle relazioni transatlantiche rimane una priorità per Bruxelles. Per questo motivo è improbabile che l’UE metta da parte la storica alleanza con gli Stati Uniti in favore della Cina. Così è stato per esempio lo scorso luglio, quando il Presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker ha interrotto bruscamente il dialogo su un accordo commerciale tra Bruxelles e Pechino per scongiurare l’estensione dei dazi statunitensi sui prodotti europei. In questo quadro, Bruxelles si trova oggi nella posizione ideale per assumere un ruolo da mediatore tra Stati Uniti e Cina: grazie alla storica alleanza con Washington e i legami economici con Pechino, l’UE è in una posizione ottimale per mostrare a entrambi i partner che, a lungo termine, le prospettive di uno scontro frontale sono negative per entrambi.

L’UE sta però attraversando un momento particolarmente critico per la sua coesione interna, anche a causa delle incognite rappresentate dalle modalità di attuazione della Brexit, al momento ancora ignote. In questo contesto, i MoU già firmati tra la Cina e tredici Paesi membri dell’UE (tra cui Bulgaria, Croazia, Repubblica Ceca, Estonia, Ungheria, Grecia, Lettonia, Lituania, Malta, Polonia, Portogallo, Slovacchia e Slovenia; il Lussemburgo è invece in trattativa) e la prospettiva che anche l’Italia, primo tra gli Stati fondatori dell’UE, adotti questo strumento di collaborazione, è una circostanza che potrebbe alimentare, a breve termine, il rischio di un’ulteriore divisione interna all’Unione. Alla luce del ruolo che l’Italia ricopre all’interno dell’UE, tuttavia, a lungo termine la cooperazione tra Italia e Cina potrebbe porre Roma nella posizione di agire come canale per l’instaurazione di una relazione europea collettiva e unica con Pechino.

 

Relazioni Italia-Cina: a che punto siamo?

Le relazioni tra Cina e Italia hanno registrato una tendenza particolarmente positiva negli ultimi cinque anni. Ciò che ha garantito il rafforzamento della cooperazione bilaterale tra i due Paesi sono stati soprattutto gli incontri tra esponenti del governo italiano e cinese, nonché gli accordi informali e i gruppi di lavoro che ne hanno permesso l’operazionalizzazione.

La visita del Presidente Xi Jinping si pone quindi in coda a una serie di incontri bilaterali che hanno contribuito a definire l’attuale framework di cooperazione tra i due Paesi. Lo scorso autunno, il Ministro dello Sviluppo Economico Luigi Di Maio e il Ministro dell’Economia e delle Finanze Giovanni Tria si sono recati a Pechino per una visita di stato congiunta, mentre i Premier Li Keqiang e Giuseppe Conte si sono incontrati bilateralmente a Bruxelles a margine dell’ Asia-Europe Meeting (ASEM) dell’ottobre 2018. Wang Yi, ministro degli esteri cinese, si è infine recato in visita in Italia a fine gennaio 2019 per sovrintendere alla sessione plenaria della nona riunione del Comitato Governativo Italia-Cina, strumento cardine del Partenariato Strategico tra i due Paesi.

La Cina è un partner commerciale fondamentale per l’Italia, sia in termini di esportazioni che di importazioni. Il 3% del totale esportato dall’Italia nel 2018, pari a circa 13,7 miliardi di euro, è infatti destinato al mercato cinese. Come destinazione dell’export italiano, la Cina si colloca dopo l’UE (55,5%), gli Stati Uniti (9,1%) e la Svizzera (4,6%). Nel contesto delle importazioni italiane da altri Paesi, la Cina è seconda solo all’UE con il 7,1% del totale importato dall’Italia, pari a 30,78 miliardi di euro nel 2018. Questi dati sono rappresentativi di un saldo commerciale tra i due Paesi che ha iniziato a deteriorarsi dal 2001 in poi: nel 2018 l’Italia ha chiuso infatti negativamente a -17,6 miliardi. Questa cifra comprende un export in calo del 2,4% rispetto al 2017, e un import in aumento dell’8,2% rispetto al 2017. Nell'ambito europeo, l’Italia è il terzo importatore dalla Cina dopo Germania e Regno Unito, e quarto esportatore, dopo Germania, Regno Unito e Francia.

Tra il 2000 e il 2018, l’Italia è stata tra i primi Paesi destinatari delle acquisizioni cinesi, insieme a Gran Bretagna e Germania. Mentre in Italia sono stati destinati 15,3 miliardi di euro, in Gran Bretagna e in Germania sono arrivati rispettivamente 22,2 miliardi e 46,9 miliardi. Per la Gran Bretagna, la Cina rappresenta il secondo Paese importatore e la seconda destinazione dell’export, mentre per la Germania la Cina si colloca al primo posto. Brexit ha il potenziale per modificare questo trend a favore dei Paesi dell’UE, alla luce del fatto che la Gran Bretagna non potrà più ricoprire il ruolo di punto di accesso per gli investimenti sui mercati dell’UE.

 

 

Non solo infrastrutture: la cooperazione nel turismo e nell’istruzione

Il partenariato strategico tra Italia e Cina non si limita ai settori economico, commerciale e finanziario, ma si estende alle collaborazioni culturali, scientifico-tecnologiche, ambientali e turistiche. Questi settori, capitanati da turismo ed istruzione, sono un caposaldo del Piano d’Azione per il rafforzamento della cooperazione economica, commerciale, culturale e scientifico-tecnologica tra Italia e Cina 2017-2020 firmato dal Premier cinese Li Keqiang e dall’allora Presidente del Consiglio italiano Paolo Gentiloni nel maggio 2015.

Il 2018 è stato l’anno del turismo tra UE e Cina: quest’iniziativa, lanciata a Venezia a inizio 2018, era volta a promuovere il turismo sostenibile, stimolare gli investimenti, migliorare la connettività e la sicurezza aerea e smorzare i requisiti per l’ottenimento dei visti d’ingresso tra la Cina e i Paesi membri dell’UE.

Nel 2018, l’Italia è stata il terzo Paese in Europa visitato da turisti cinesi. La Cina ha rappresentato infatti l’undicesimo Paese d’origine di turisti in Italia con una media annua di cinque milioni di visitatori. La spesa totale annua dei turisti cinesi in Italia si aggira intorno ai 480 milioni di euro, mentre quella media giornaliera è di 900 euro e comprende, in larga misura, beni o servizi di lusso. Nonostante la spesa dei global shopper cinesi nel mondo sia diminuita del 4% dal 2017, la Cina ha contribuito per il 29% della spesa totale duty-free in tutta Europa.

Per quanto concerne il settore dell’istruzione, nell’anno accademico 2017-2018 gli studenti cinesi hanno rappresentato il 9% del numero totale di studenti stranieri in Italia, grazie, in particolare, ai programmi di scambio Marco Polo e Turandot. Le facoltà che hanno ricevuto il maggior numero di studenti cinesi sono state ingegneria industriale, architettura e ingegneria delle costruzioni, design, mediazione linguistica, economia e gestione aziendale. Gli studenti cinesi hanno preferito istituzioni accademiche nel nord-ovest dell’Italia, in particolare Lombardia e Piemonte. Mentre la Cina detiene il terzo posto tra le nazionalità degli studenti stranieri nelle università italiane dopo l’Albania e la Romania, rimane il primo Paese asiatico di provenienza degli studenti in Italia, seguito da Iran e India.

 

La BRI: un game changer nel posizionamento internazionale dell’Italia?

La BRI ha nell’Italia l’approdo storico e geograficamente naturale della sua via marittima. Per questo motivo, un’assoluta centralità assume il settore della logistica e, in particolare, dei porti, quali strumenti per permettere una rapida diffusione delle merci cinesi nell’intera Europa continentale. Pechino si è assicurata dal 2016 una presenza diretta nel panorama logistico ligure, attraverso una partecipazione del 49,9% nel container terminal di Vado Ligure (40% attraverso COSCO Shipping e 9,9% in capo al Porto di Qingdao), dove si sta costruendo una nuova piattaforma che sarà operativa per la fine del 2019. Ulteriore interesse è stato dimostrato per le infrastrutture portuali di Genova e Savona, con la recente visita di esponenti del Porto di Qingdao e con la possibile firma nel mese di marzo di un accordo di cooperazione con la Chinese Communications Construction Company (CCCC).

Sul versante adriatico, esiste da tempo un’intensa cooperazione con Pechino. Trieste fa parte del progetto Trihub, nell’ambito di un accordo quadro tra UE e Cina per promuovere reciproci investimenti infrastrutturali. La China Merchants Group potrebbe realizzare nuovi investimenti nel porto triestino, mentre il gigante CCCC intende impegnarsi con un’ingente esposizione finanziaria (pari a circa 1,3 miliardi di euro) nella realizzazione di una banchina alti fondali nel porto di Venezia. Sempre nell’Adriatico, nel 2018 la China Merchant Group ha investito 10 milioni di euro nel porto di Ravenna con l’obiettivo di rendere la città bizantina l’hub europeo dell’ingegneria navale.

La presenza di Pechino all’interno del tessuto economico dell’Italia – seconda manifattura europea – si è costantemente rafforzata nel corso dell’ultimo decennio, con l’ingresso nell’azionariato di aziende strategiche del Paese quali Fca, Telecom Italia, Enel, Generali, Ansaldo Energia e Cdp Reti. L’operazione di maggior rilievo risale al 2015, quando è stata acquisita Pirelli da parte di China National Chemical. L’Italia risulta la terza destinazione di IDE nell’UE, con 15,3 miliardi di euro nel periodo 2000-2018.

La svolta nei rapporti tra Cina e Italia può essere rintracciata nell’ingresso di Roma nell’Asian Infrastructure Investment Bank (AIIB) nel 2015 (insieme anche a Germania e Francia) con una quota del 2,66%. Tale partnership è rafforzata da un’intesa su un precedente Memorandum of Understanding per la cooperazione in Paesi terzi negoziato dal Sottosegretario Michele Geraci nel settembre 2018 a cui è recentemente seguita un’analoga disposizione nella bozza di accordo dell’attuale MoU.

Per Roma si pongono opportunità e sfide: da un lato, nuovi investimenti cinesi garantirebbero una spinta per uscire dalla stagnazione dell’economia nazionale e un possibile accesso preferenziale al mercato cinese, grazie al rafforzamento del corridoio infrastrutturale e un possibile aumento dell’export. Il nuovo accordo strategico, inoltre, potrebbe favorire una maggiore cooperazione in diversi ambiti con mutui benefici ad entrambe le parti. Ad esempio, un rapporto più intenso potrebbe creare le condizioni per aumentare il flusso del turismo cinese in Italia.

D’altro canto le criticità sono numerose: la Cina non è ancora considerata un’economia di mercato a causa dell’attività di dumping praticata sulla vendita di alcuni prodotti all’estero; Pechino spesso opera in regime di non reciprocità nel campo commerciale e nel quadro degli investimenti, utilizzando standard differenti dal quadro occidentale e praticando forme di discriminazione all’ingresso di operatori stranieri nel proprio mercato.

Va però ricordato che lo scorso 15 marzo Pechino ha approvato una nuova legge sugli investimenti diretti esteri – operativa dal gennaio 2020 – per tentare di garantire un level playing field, aprire maggiormente il Paese ai capitali stranieri e fornire maggiori elementi di sicurezza per gli investitori internazionali. In primo luogo, la nuova legge eliminerà l’obbligo di trasferire tecnologia per poter accedere al mercato cinese, con maggiori sanzioni per violazioni dei brevetti e con un’estensione della validità degli stessi da 10 a 15 anni. Secondo, la legge prevede che gli investitori stranieri godano di eguale trattamento e accesso al mercato rispetto ai loro competitor cinesi, ad esclusione di quei settori che afferiscono ad una blacklist. Quest’ultima, aggiornata a dicembre 2018, illustra dettagliatamente i campi soggetti a limitazioni o proibizioni totali.

Per il momento i rischi che Roma corre sono diversi. In primis, la condivisione di elementi sensibili del proprio patrimonio industriale e tecnologico con un attore che sembra non poter ancora garantire condizioni adeguate di reciprocità. In secondo luogo, date le attuali condizioni di finanza pubblica, l’Italia deve fare un’attenta analisi della definizione, realizzazione e gestione degli eventuali progetti sul territorio nazionale, nonché delle modalità di finanziamento.

Permane dunque centrale, nel nuovo corso delle relazioni geo-economiche di Roma, uno stretto coordinamento con le autorità e i partner europei, così come sembra essere per ora garantito dalla bozza del MoU. L’interesse nazionale a una diversificazione dei propri rapporti economici deve perciò essere perseguito nel rispetto degli standard e delle normative europee, nonché in aderenza ai valori condivisi nel quadro delle storiche alleanze occidentali.

Particolarmente acceso è stato ed è tuttora il dibattito sulla possibile apertura italiana agli investimenti cinesi in settori strategici, in particolare le nuove tecnologie 5G, su cui potrebbe aprirsi una divergenza di visioni e interessi strategici con gli alleati storici, soprattutto gli Stati Uniti. È auspicabile un’attenta valutazione delle conseguenze politiche di taluni progetti, al di là della loro convenienza economica interna. Roma, in definitiva, può alzare la posta in gioco, riservandosi il ruolo di attore attivo e non mero esecutore della cosiddetta Nuova Via della Seta.

Qual è l'obiettivo del MoU Italia-Cina?

Intervista a Michele Geraci, Sottosegretario allo Sviluppo Economico

 

Il commento di Giampiero Massolo, Presidente ISPI

 

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Giampiero Massolo
Presidente ISPI

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Italia Cina Belt and Road visita Xi Jinping
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A cura di

Alessia Amighini
Co-Head, ISPI Asia Centre
Giulia Sciorati
Research Assistant, China Programme, ISPI Asia Centre
Alessandro Gili
Research Trainee, ISPI Centre on Infrastructure

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