Xi Jinping a Davos esalta la crescita cinese e invita ad abbandonare “la mentalità da Guerra fredda”. Intanto la Cina si prepara a festeggiare il capodanno, tra lockdown e culle vuote.
Mentre l’economia cinese in frenata preoccupa i mercati, nel suo intervento in apertura del Forum di Davos – quest’anno interamente online – il presidente Xi Jinping annuncia che la Cina invierà un miliardo di dosi di vaccini anti-covid in Africa. Nel suo discorso, durato poco più di mezzora, il leader cinese è intervenuto su altri temi di portata globale e, pur senza fare nomi, ha invitato “le altre nazioni” ad abbandonare “la mentalità da Guerra fredda” per cooperare sulle sfide globali. “La storia – ha detto Xi – ha dimostrato più e più volte che lo scontro non risolve i problemi, ma porta solo a conseguenze catastrofiche”. Il presidente ha quindi ribadito che solo una collaborazione globale potrà aiutare il mondo ad uscire dall’impasse. Ma nonostante l’assoluto ottimismo vantato da Xi per le sorti dell’economia cinese, da Pechino arrivano segnali in controtendenza: ieri il comitato organizzatore delle Olimpiadi invernali, al via il 4 febbraio, ha annunciato che agli eventi sportivi assisteranno “gruppi selezionati di persone” ma non saranno venduti biglietti al pubblico, per arginare i rischi legati al covid. Misure che rispecchiano la politica della “tolleranza zero” attuata dal governo cinese, che ha invitato i cittadini a non ordinare prodotti importati, a cui sospetta siano da attribuire alcuni casi di contagio. Un allarme che ha avuto ampia risonanza all’estero, ma che non convince gli esperti, per cui sarebbe privo di basi scientifiche.
Crescita impetuosa o in frenata?
Secondo la Banca Centrale Cinese, nel 2021 la Cina ha registrato una crescita annua dell'8,1%, la più alta in quasi un decennio e superiore agli obiettivi fissati dal governo al 6%. Ma malgrado la crescita all’apparenza impetuosa, “l'economia cinese ha di fronte una triplice pressione, tra cui la contrazione della domanda, lo shock dell'offerta e aspettative più deboli”, ha messo in guardia l'Ufficio Nazionale di statistica. A segnalare il rallentamento, il fatto che nel quarto trimestre il Pil sia cresciuto sì (+4%), ma in netta diminuzione rispetto al +4,9% del trimestre precedente e al ritmo più lento in un anno e mezzo. Complici il declino del settore immobiliare (il caso Evergrande), la limitazione dell'indebitamento e le restrizioni legate alla strategia ‘zero Covid’ imposta dalle autorità, la Cina affronta un progressivo rallentamento che preoccupa la Banca Cinese. Per questo l’istituto ha annunciato ieri un taglio dei tassi d’interesse, nel tentativo di innescare una spinta alla ripartenza e attutire la frenata della seconda economia mondiale.
Culle vuote: un problema politico?
Allo stato attuale però sembra essere un altro il dato che preoccupa Xi Jinping e il Partito comunista cinese: l’anno scorso nel paese si è registrato il tasso di natalità più basso da decenni. Secondo l’Istituto nazionale di statistiche, nel 2021 in Cina le nascite sono crollate a 10,6 milioni, rispetto ai 12 del 2020. Sono 7,52 nuovi nati ogni mille abitanti, il numero più basso dalla fondazione della Repubblica popolare nel 1949. Il fenomeno della ‘culle vuote’ che accomuna la Cina a molte altre potenze industriali, dal Giappone all’Italia, era già stato messo in evidenza dagli esperti del governo, secondo cui ai trend attuali la popolazione cinese potrebbe dimezzarsi nel giro di 45 anni. Un campanello d’allarme che preoccupa sia per le cause che per i potenziali effetti: i cinesi fanno meno figli perché la vita in Cina è diventata più cara e perché le prospettive sul futuro li preoccupano. Tanto che, di questo passo, la spesa cinese legata all'invecchiamento della popolazione triplicherà entro il 2050, passando dal 10 al 30% del Pil. Una crisi demografica che rischia di minare la strategia di crescita pianificata da Xi Jinping – proiettato verso il terzo mandato presidenziale – e che rivela anche che i desiderata del governo, spinti attraverso politiche aggressive di incentivi al matrimonio e ai valori della famiglia tradizionale, non riescono a influenzare più di tanto le scelte individuali di cittadini.
Nuovo shock per le catene globali?
Intanto, la decisione del governo cinese di mettere in lockdown intere città in cui sono state riscontrate poche decine di casi di coronavirus sta mettendo a serio rischio le catene dell’approvvigionamento globale. Al momento sono circa 20 milioni, circa l’1,5% della popolazione cinese, gli abitanti costretti al lockdown, principalmente nella città di Xi’an nella Cina occidentale e nella provincia di Henan nella Cina centro-settentrionale. Per cercare di contenere i rischi, le quattro principali città portuali della Cina – Shanghai, Dalian, Tianjin e Shenzhen – hanno imposto blocchi mirati per cercare di controllare i piccoli focolai di contagio. Finora la crisi delle ‘supply chain’, dovuta principalmente alla mancanza di beni prodotti in Cina, come i microchip nel settore elettronico, ha causato un aumento generale dei prezzi, portando ad un conseguente aumento dell’inflazione nelle principali economie mondiali. Ma le cose potrebbero aggravarsi man mano che si avvicina il 1° febbraio, giorno del capodanno cinese, quando di solito molte fabbriche chiudono per circa una settimana. È per questo, avverte Fredrich Neumann, analista del gruppo bancario HSBC, che l’inizio dell’anno della Tigre in Cina potrebbe coincidere con “la madre di tutti gli shock sulla catena degli approvvigionamenti globali”.
Il commento
di Alessia Amighini, Co-Head ISPI Asia Centre
“Gli effetti collaterali della pandemia sono tra le molte ombre che incombono sugli scenari futuri per l'economia cinese e sulle sue capacità di continuare nel suo ruolo di pilastro della crescita globale. I lockdown frenano molte attività produttive e commerciali, compromettendo le catene di approvvigionamento. A ciò si aggiungono le difficoltà già causate dalla carenza di energia elettrica, cui il governo fa fronte favorendo le grandi imprese di Stato rispetto alle piccole e medie imprese. All'estero, alcuni settori a valle che non hanno provveduto a differenziare i fornitori si ritrovano a fronteggiare la scarsità di prodotti e materiali. Alcuni più lungimiranti hanno accorciato le filiere o addirittura limitato le stesse a partner europei più affidabili. Altri settori a monte hanno beneficiato della riduzione dell'export cinese e sperano di mantenere le maggiori quote di mercato europee guadagnate negli ultimi due anni”.
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A cura della redazione di ISPI Online Publications (Responsabile Daily Focus: Alessia De Luca, ISPI Advisor for Online Publications)