Una storia che è stata raccontata molto nelle ultime settimane è che tra le letture preferite degli investitori internazionali nell’estate 2021 abbiano avuto un posto rilevante i discorsi pronunciati negli ultimi anni dal Presidente Xi Jinping. Seppur aneddotico, il racconto potrebbe apparire verosimile e giustificato sulla base di una decisa azione di regolamentazione dell’economia da parte dei decisori politici che ha coinvolto il settore finanziario, digitale, educativo e l’industria dei videogiochi. La morale della storia è l’auspicio che, leggendo e rileggendo le frasi del Segretario Generale del Partito comunista cinese, si possa capire con anticipo quale settore sarà il prossimo a subire una decisa distorsione a seguito di un intervento statale.
Riuscire a decifrare il lessico di partito, tuttavia, non è un’operazione che si possa improvvisare, come dimostra la confusione relativa alla “prosperità comune”, il nuovo slogan manifesto della politica economica cinese presentata da Xi il 17 agosto, al termine del consueto ritiro estivo dei vertici del Partito nella località marittima di Beidaihe. Nel giro di poche settimane il termine è stato applicato già a innumerevoli politiche e ha provocato numerose donazioni a cause sociali e filantropiche da parte delle maggiori aziende del Paese.
Ma di cosa si tratta? Nelle parole del Presidente, “la prosperità comune è un requisito essenziale del socialismo e una caratteristica importante della modernizzazione di tipo cinese”. Traducendo, la Repubblica popolare cinese è guidata da un partito comunista che propone una particolare forma di governo che persegue – almeno nei princìpi dichiarati – come principale obiettivo la redistribuzione della ricchezza. Il venir meno di un tale requisito potrebbe minare nel medio lungo periodo la legittimazione del Pcc al potere e metterne in discussione la leadership. E allora cosa resta di “arricchirsi è glorioso”, la famosa massima di Deng Xiaoping, il leader che alla fine degli anni ’70 lanciò la riforma dell’economia cinese con una graduale apertura al mercato? In realtà la frase completa prevedeva la possibilità per alcuni di arricchirsi prima di altri con l’obiettivo di raggiungere proprio la prosperità comune più velocemente. A questo punto si aprono due questioni sulla scelta di Xi Jinping di rilanciare proprio ora la prosperità comune.
Dal punto di vista economico, l’ipotesi è che si sia arrivati a un punto in cui il divario tra precoce arricchimento di una parte e obiettivo egualitario finale si sia ampliato eccessivamente. Gli indicatori che fotografano questa realtà sono molteplici, basti pensare al contrasto tra il numero di miliardari – che secondo Forbes sono passati dai 388 del 2020 ai 626 del 2021 – e le discussioni sulla oppressiva cultura lavorativa del modello “996” che prevede un’attività di dodici ore al giorno per sei giorni alla settimana oltre alla persistente povertà di molte aree del Paese. Il tema è così attuale che nel mese di luglio Yuen Yuen Ang ha paragonato su Foreign Affairs gli ultimi quarant’anni di crescita cinese alla cosiddetta Gilded Age statunitense, ovvero quel periodo alla fine del diciannovesimo secolo caratterizzato da una intensa concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi imprenditori i cui cognomi oggi rappresentano i miliardari per antonomasia, come Stanford, Rockfeller e J.P. Morgan.
Inoltre, la prosperità comune va letta in continuità con la “strategia della doppia circolazione” presentata con altrettante enfasi nel 2020 e che propone di rinforzare la componente interna dell’economia (consumi e innovazione) riducendo la dipendenza dalle esportazioni e dagli investimenti per minimizzare i rischi derivanti dalla volatilità dei cicli economici internazionali – un proposito maturato ai tempi della crisi finanziaria internazionale – e dall’incertezza di un contesto di politica estera sempre più ostile – eredità della presidenza Trump e della pandemia riconfermata con forza da Biden. Tuttavia, l’obiettivo dell’aumento dei consumi – secondo l’interpretazione di Michael Pettis – non può essere raggiunto senza un sensibile trasferimento di risorse dalla pianificazione degli enti locali alle tasche delle famiglie e con una più equa distribuzione. La prosperità comune, dunque, rientrerebbe nella logica di una diversa allocazione delle risorse a sostegno dei consumi e, quindi, proprio della componente interna della doppia circolazione.
Parallelamente, la stretta sui grandi capitali ha evidentemente un significato politico. L’ipotesi che dal potere economico potesse generarsi uno spazio politico alternativo è un problema che era emerso già negli anni ’90 dopo l’apertura economica degli anni ’80 e che era stato risolto incorporando gli imprenditori nel Partito ad opera dell’allora leader Jiang Zemin. La vicenda dello stop alla quotazione della piattaforma finanziaria Ant del gruppo Alibaba è stata anche un modo per limitare l’ascesa del suo fondatore Jack Ma, che in forza del proprio carisma e peso economico si era permesso di entrare in collisione con gli organismi regolatorii. Ma tale vicenda ha anche aspetti più pratici, ovvero la possibilità che alcune grandi famiglie potessero arricchirsi e rafforzarsi dalla quotazione e dal successo di alcuni particolari settori. Bisogna ricordare, infatti, che la prima parte del mandato di Xi Jinping, salito al potere nel 2012-2013, era stata caratterizzata dallo scontro deciso con le oligarchie dentro al Partito contrastate da una campagna anti-corruzione che ha portato a una minimizzazione delle opposizioni interne e al rafforzamento del ruolo di Xi e delle fazioni a lui collegate. L’orizzonte, infatti, è quello del XX Congresso del Pcc che si terrà nel 2022. Un momento storico che porterà con ogni probabilità all’estensione della permanenza al potere di Xi oltre i dieci anni che da tre decenni segnano convenzionalmente il termine per un cambio di passo a Pechino, e alla sua contestuale elevazione a una considerazione assimilabile a quella del Grande Timoniere, Mao Zedong. Colpire i grandi potentati economici serve anche a preparare il terreno per tale cruciale passaggio.
Il tema della prosperità comune non è nuovo né nel dibattito politico cinese né nello specifico nelle parole di Xi, ma l’enfasi posta in queste settimane ne ha fatto un tema centrale. La reazione da parte dei grandi gruppi è stata quella di approntare immediatamente delle consistenti donazioni rivolte alla lotta alla povertà. La scelta non è casuale e dipende da una interpretazione delle forme di distribuzione della ricchezza concepite nel 1994 da Li Yining, un economista cinese. Secondo la sua lettura, la distribuzione primaria avviene per tramite degli stipendi e dei redditi diretti dei lavoratori, quella secondaria con i trasferimenti fiscali e, infine, quella terziaria con le donazioni filantropiche. Nel primo caso è il mercato a intervenire, nel secondo lo Stato e nel terzo gli individui, i quali ora stanno mostrando di essere simpatetici con le direttive del Partito attraverso una gara al rialzo nelle donazioni. La questione della mobilitazione politica è evidente così come il tema del rapporto tra l’attività privata e il ruolo di indirizzo dello Stato. Per queste ragioni molti commentatori cinesi si sono affrettati a specificare come con la prosperità comune non si stia cercando di raggiungere una società egualitaria e, letteralmente, che non si tratta di “rubare ai ricchi per dare ai poveri”. Sono stati manifestati, inoltre, diversi timori sull’efficacia economica di misure che prendono di mira i grandi capitali per il timore che si possa paradossalmente generare una contrazione della spesa.
Contestualmente, le donazioni di tipo “terziario” hanno però un valore limitato rispetto al Pil cinese e pertanto non possono essere considerate l’unico strumento per operare nel senso di una effettiva ridistribuzione e riduzione della concentrazione della ricchezza. Per questo è possibile immaginare che si metta mano a una riforma fiscale, nel caso si voglia davvero proseguire su questa strada. Il tema, però, torna così a essere politico e a intrecciarsi con le vicende del XX Congresso e con la forza di Xi Jinping nel ridurre l’influenza di altre fazioni con potere politico e interesse economico. Così come nel caso della già citata campagna anti-corruzione, il presidente cinese è interessato a presentarsi all’opinione pubblica come fortemente aderente ai princìpi di fondo del Partito Comunista Cinese per rafforzare la legittimazione propria e dello stesso partito. È dunque lecito attendersi nel prossimo biennio – ovvero nel periodo di transizione tra l’attuale ciclo politico quinquennale e il successivo – un rafforzamento dell’attività di indirizzo e controllo da parte del regolatore centrale.