Cina: transizione obbligata | ISPI
Salta al contenuto principale

Form di ricerca

  • ISTITUTO
  • PALAZZO CLERICI
  • MEDMED

  • login
  • EN
  • IT
Home
  • ISTITUTO
  • PALAZZO CLERICI
  • MEDMED
  • Home
  • RICERCA
    • OSSERVATORI
    • Asia
    • Digitalizzazione e Cybersecurity
    • Europa e Governance Globale
    • Geoeconomia
    • Medio Oriente e Nord Africa
    • Radicalizzazione e Terrorismo Internazionale
    • Russia, Caucaso e Asia Centrale
    • Infrastrutture
    • PROGRAMMI
    • Africa
    • America Latina
    • Global Cities
    • Migrazioni
    • Relazioni transatlantiche
    • Religioni e relazioni internazionali
    • Sicurezza energetica
    • DataLab
  • ISPI SCHOOL
  • PUBBLICAZIONI
  • EVENTI
  • PER IMPRESE
    • cosa facciamo
    • Incontri su invito
    • Conferenze di scenario
    • Formazione ad hoc
    • Future Leaders Program
    • I Nostri Soci
  • ANALISTI

  • Home
  • RICERCA
    • OSSERVATORI
    • Asia
    • Digitalizzazione e Cybersecurity
    • Europa e Governance Globale
    • Geoeconomia
    • Medio Oriente e Nord Africa
    • Radicalizzazione e Terrorismo Internazionale
    • Russia, Caucaso e Asia Centrale
    • Infrastrutture
    • PROGRAMMI
    • Africa
    • America Latina
    • Global Cities
    • Migrazioni
    • Relazioni transatlantiche
    • Religioni e relazioni internazionali
    • Sicurezza energetica
    • DataLab
  • ISPI SCHOOL
  • PUBBLICAZIONI
  • EVENTI
  • PER IMPRESE
    • cosa facciamo
    • Incontri su invito
    • Conferenze di scenario
    • Formazione ad hoc
    • Future Leaders Program
    • I Nostri Soci
  • ANALISTI
ASIA

Cina: transizione obbligata

Filippo Fasulo
20 gennaio 2023

Il 2022 economico della Cina si è chiuso così con una crescita del 3%, ben al di sotto del target iniziale del 5,5% definito da Pechino. Si tratta del tasso più basso da quando la Repubblica popolare si è aperta al mercato nel 1979, escludendo l’anno del Covid. In quell’occasione, però, una crescita al 2,2% era l’unica eccezione tra le principali economie, tutte cadute in recessione. Se il risultato di allora dipendeva in buona parte dalla capacità di arginare tempestivamente la circolazione del Covid nel Paese, il valore del 2022 è specularmente da imputare alle incertezze nella gestione della pandemia da parte di Xi Jinping e del Partito comunista cinese. Infatti, con il diffondersi delle nuove varianti nei primi mesi dell’anno passato, Pechino ha gradualmente adottato l’imposizione di severissimi lockdowns in tutte le principali aree del Paese coinvolgendo centinaia di milioni di persone. Il picco si è verificato in primavera, con Shanghai come città simbolo.

L’impatto sui consumi è stato rilevante, con le vendite al dettaglio che tra marzo e maggio sono calate rispettivamente del 3,5%, dell’11,1% e del 6,7%. Il dato dei servizi di ristorazione è stato ancora peggiore, con un calo con picchi oltre il 22%. Dopo una ripresa nei mesi estivi, con l’autunno sono tornati il Covid, i lockdowns e il calo dei consumi.

Dunque, per la pressione degli operatori economici e il malcontento dei cittadini manifestatosi con proteste di piazza, Xi Jinping ha disposto a dicembre una immediata riapertura, con l’obiettivo di normalizzare in pochi mesi la gestione della pandemia, pur accettando in tempi brevissimi un costo umano altissimo. La riapertura ha avuto nelle settimane successive un impatto negativo sull’economia, bloccata per le altissime percentuali di lavoratori alle prese con i sintomi pandemici. Per questo, nel quarto trimestre dell’anno scorso il Pil cinese è rimasto piatto su base trimestrale, pur facendo segnare un +2,9% su base annua, battendo le previsioni degli analisti ferme a +1,6%.

 

Le previsioni migliorano, ma il quadro resta debole

Tuttavia, il quadro resta estremamente debole, come avevano anticipato già i dati della scorsa settimana relativi alla bilancia commerciale. In tutto il 2022 le vendite al dettaglio sono rimaste piatte (-0,2%) contro il +12,5% nel 2021 e la produzione industriale è cresciuta del 3,6% contro il +9,6% nel 2021. Il tasso di disoccupazione è sceso leggermente dal 5,7% al 5,5% a dicembre, ma quella giovanile resta elevata al 16,7%. Inoltre, continua la crisi immobiliare: rispetto a un anno fa gli investimenti nel settore si sono contratti del 10% e le vendite di case di oltre il 20%. Sono arrivati risultati positivi per lo più sul fronte degli investimenti in asset fissi, aumentati del 5,1% l’anno scorso. Gli investimenti in infrastrutture di base (ferrovie, porti e reti di telecomunicazioni) sono balzati del 9,4% e quelli nella produzione di macchinari e apparecchiature elettriche addirittura del 42,6%. Ciò dimostra l’effetto dell’orientamento fiscale, monetario e regolamentare espansivo, che sta sorreggendo un modello di crescita trainato da investimenti ed espansione del credito.

Se le attese di un picco epidemico in discesa dopo il Capodanno lunare dovessero realizzarsi, le aspettative economiche per la prima metà dell’anno potrebbero rivelarsi in crescita. Per esempio, la Banca Mondiale stima il Pil del gigante asiatico espandersi del 4,3% nel 2023 e il consenso Bloomberg si avvicina al 5%. Se lo slancio congiunturale post-lockdown è fisiologico, non bisogna sottovalutare gli ostacoli al rimbalzo nel breve termine: l’esplosione dei contagi e decessi da Covid può deprimere la fiducia dei consumatori; i sempre presenti problemi dell’industria immobiliare da 18 mesi, l’enorme debito accumulato a livello locale e il rallentamento delle esportazioni in un contesto globale particolarmente fiacco possono avere ricadute sistemiche. Inoltre, sul medio-lungo termine è possibile considerare il rallentamento – ormai in corso da anni – del tasso di crescita del Pil come un dato strutturale.

Anche l’evoluzione demografica rappresenta una sfida consolidata nel presente e nel futuro. Il 2022 è stato l’anno della riduzione della popolazione cinese mentre il 2023 sarà quello del sorpasso dell’India come primo Paese al mondo come popolazione. Il primo calo della popolazione registrato in 60 anni avrà gradualmente il suo impatto sulla forza lavoro e sulla crescita potenziale, aprendo una nuova fase per l’economia e per la politica cinesi. Gli analisti di Natixis, per esempio, contrappongono la “Giovane Asia” – composta in buona parte da Asia Meridionale a Sud-Orientale – all’”Asia che invecchia” di cui fanno parte i Paesi dell’Asia Orientale. Nel 2040 l’età mediana dei primi sarà inferiore ai 40 anni, mentre quella dei secondi superiore ai 50 anni. Inoltre, l’Asia Giovane avrà 300 milioni di persone in età lavorativa in più, mentre l’Asia che invecchia ne avrà 145 milioni in meno, di cui il 78% proprio in Cina.

 

Transizione obbligata

L’economia cinese, dunque, si trova in una fase di transizione obbligata che dipende sia da fattori interni che da fattori esterni. Nel secondo caso si tratta della competizione con gli Stati Uniti e del quadro internazionale in disordine che riducono il trasferimento tecnologico verso Pechino e peggiorano il contesto per l’interscambio. Per queste ragioni l’obiettivo cinese è di coltivare le relazioni con il Sud del Mondo e con i Paesi europei che temono il costo di un disaccoppiamento economico con la Cina con l’obiettivo di evitare l’isolamento internazionale. Contestualmente risulta prioritario l’investimento sull’innovazione indigena, per ridurre la dipendenza dalla tecnologia estera sempre più soggetta a valutazioni di tipo politico.

Sul piano interno, invece, il triennio che ha preso avvio con l’avvento del Covid, segna il fallimento – allo stato attuale, come documentato dai dati sulle vendite al dettaglio – delle politiche di rafforzamento dei consumi come fonte di crescita alternativa all’interscambio e agli investimenti pubblici, sostanzialmente la priorità di Pechino almeno dal 2014. Tale transizione non è più rimandabile, perché, come accennato, lo scenario dell’export è instabile e perché un indebitamento ulteriore non sarebbe più sostenibile. Per queste ragioni è possibile attendersi nel 2023 misure rivolte almeno a rafforzare la fiducia dei consumatori pur nella consapevolezza che non sarà sufficiente a sostenere l’economia. L’allentamento delle limitazioni al settore delle costruzioni – accusato di eccessiva speculazione – va letto proprio in questo senso: mantenere tassi di crescita adeguati mentre si tenta di compiere una transizione rimandata nell’ultimo decennio e resa più necessaria dalla congiuntura politica ed economica.

Contenuti correlati: 
Global Watch: Speciale Geoeconomia n.131

Ti potrebbero interessare anche:

Le mani di Pechino su Aden
Eleonora Ardemagni
ISPI e UNICATT
Shipping: rotta sulla transizione
Angela Stefania Bergantino
Università di Bari
Dalla sanzione alla triangolazione
Massimo Nicolazzi
ISPI e Università di Torino
Tassi: retromarcia prossima ventura?
Lorenzo Borga
Sky Tg24
Lombardia: termometro economico n.25
Valeria Negri
Centro Studi Assolombarda
,
Francesca Silingardi
Centro Studi Assolombarda
Quale "shoring" per le imprese?
Fulvio Liberatore
Easyfrontier

Tags

Geoeconomia Asia Cina economia cinese
Versione stampabile

AUTORI

Filippo Fasulo
ISPI

Image Credits (CC BY-SA 2.0): AK Rockefeller

SEGUICI E RICEVI LE NOSTRE NEWS

Iscriviti alla newsletter Scopri ISPI su Telegram

Chi siamo - Lavora con noi - Analisti - Contatti - Ufficio stampa - Privacy

ISPI (Istituto per gli Studi di Politica Internazionale) - Palazzo Clerici (Via Clerici 5 - 20121 Milano) - P.IVA IT02141980157